Omelie 2013 di don Giorgio: Festività di tutti i Santi

1 novembre 2013: FESTA DI TUTTI I SANTI

Ap 7,2-4.9-14; Rm 8,28-39; Mt 5,1-12a

Solitamente, in occasione della ricorrenza della festività di tutti i santi, ci si limita a parlare della santità, alla quale siamo tutti invitati a tendere, prendendo come esempio o come modello qualcuno tra i numerosissimi santi, in particolar modo quelli proclamati ufficialmente dalla Chiesa cattolica con il rito solenne della canonizzazione.

Anzitutto, un po’ di storia. In sintesi. Nei primissimi secoli, quando era frequente il fenomeno delle persecuzioni, erano altrettanto frequenti le testimonianze dei martiri. Questi uomini e queste donne avevano dato il loro sangue a causa della fede, e i fedeli vedevano un parallelismo tra il loro martirio e la morte di Gesù, tanto che nei racconti sembra di leggere in filigrana proprio la Beata Passione del Cristo.

Le prime tracce di una celebrazione unica di tutti i martiri sono attestate nella comunità cristiana di Antiochia, e fanno riferimento alla domenica successiva alla Pentecoste. Nel IV secolo, anche la Chiesa di Roma adottò tale usanza, e la estese a tutte le altre chiese. Nel frattempo, venivano venerati non solo i martiri, ma anche coloro che si erano distinti per la loro testimonianza al Vangelo di Cristo, anche senza dare fisicamente la loro vita.

Il 13 maggio 609, Papa Bonifacio IV dedicò il Pantheon in onore della Madre di Dio e di tutti i martiri: da allora il Pantheon venne chiamato S. Maria ad martyres. Nello stesso giorno, 13 maggio, spostò anche la festa in onore di tutti i santi e di tutti i martiri. Nell’835 Gregorio IV trasferì la festa dal 13 maggio al 1° novembre. Più tardi, nel 998, Odilo abate di Cluny aggiungeva la celebrazione, nel giorno seguente, della festa di tutte le anime a soddisfare l’aspirazione generale per un giorno di commemorazione dei morti. In seguito, tra il XII e XIII secolo si stabilizzava la prassi della canonizzazione dei santi come la conosciamo oggi.

Perché fu scelta la data del 1 novembre? Penso che sia una domanda più che lecita. Fu scelto il primo novembre, per fare coincidere la festa cristiana di tutti i santi con il Samhain, l’antica festa celtica del nuovo anno, a seguito di richieste in tal senso provenienti dal mondo monastico irlandese. Secondo le credenze celtiche, durante la celebrazione del Samhain, i morti avrebbero potuto ritornare nei luoghi che frequentavano mentre erano in vita, e celebrazioni gioiose erano tenute in loro onore. Da questo punto di vista le antiche tribù celtiche erano un tutt’uno col loro passato ed il loro futuro. Questo aspetto della festa non fu mai eliminato pienamente, nemmeno con l’avvento del Cristianesimo.

Ora vorrei fare alcune osservazioni e riflessioni.

1. La Chiesa, fin dagli inizi, usò il metodo di cristianizzare le feste pagane e trasformò i templi pagani in chiese cristiane. Pensate al 25 dicembre: anticamente si celebrava il solstizio d’inverno, per i pagani che adoravano il dio Mitra divenne la festa del “Dies Natalis Solis Invicti” (giorno della nascita del Sole invincibile). I primi cristiani, non conoscendo la data (né l’anno, né il mese, né il giorno e tanto meno l’ora) della nascita di Gesù ritennero opportuno prendere il 25 dicembre, ritenendo che il vero Sole invincibile fosse Cristo. Abbiamo detto che il Pantheon fu trasformato in una chiesa cristiana. Tra parentesi. Il Pantheon, nome che significa “la totalità degli dei”, era un grandioso tempio romano, a forma circolare, ricostruito dall’imperatore Adriano tra il 118 e il 125 d.C. sui resti di un precedente tempio del 27 a.C.: in questo tempio si veneravano tutte le divinità pagane, anche quelle delle popolazioni conquistate dall’impero romano. Oggi diremmo che fu un gran bel colpo per la Chiesa: distruggere tutte le divinità in nome dell’unico vero Dio. E pensare che, come dicono gli studiosi, nel Pantheon, dove, ripeto, i romani mettevano tutte le loro divinità e anche quelle delle popolazioni vinte, Cristo non ebbe mai ospitalità. Per i romani era troppo pericoloso per essere venerato.

Ma la cosa che mi fa pensare è questa: è il ritorno dei riflussi. Intendo dire: sembra di assistere ad una rivincita continua. Tu, cristiano, ti sei preso una mia festa pagana, ora me la riprendo. Non è così? Non assistiamo alla ri-paganizzazione del Natale? Così si dica di altre feste cristiane. Ritornano pagane.

2. Mi ha sempre colpito il fatto che i primi ad essere onorati dalla Chiesa fossero i martiri. I martiri hanno sempre avuto un onore particolare nella Chiesa. Il loro stesso martirio costituiva la prova della loro santità, e quindi motivo per la loro venerazione. Il martirio, durante le persecuzioni, erano un forte stimolo perché i cristiani non tradissero la loro fede. Tertulliano (scrittore e apologeta cristiano vissuto tra il secondo e il terzo secolo d.C.) ha scritto: “Il sangue dei martiri è il seme dei cristiani”.

Quando uno ha dato la stessa vita per la causa del Vangelo, perché aspettare l’approvazione ufficiale della Chiesa perché sia venerato o proposto come modello per i cristiani? Non so in quale periodo, ma a un certo punto la Chiesa, per canonizzare i santi, ha chiesto a Dio uno, due o tre miracoli, come prova. Sì, a Dio, perché i miracoli li compie Dio e non i santi, casomai i santi intercedono. Vi rendete conto della gravità di questa cosa? Si sfida Dio, imponendo che faccia un miracolo. Nei primi tempi della Chiesa, bastava la “vox populi”: il popolo, durante i funerali, gridava “santo subito”. Ancora oggi è tornata questa prassi, ma con ben altre motivazioni che non sempre condivido.

Già la parola “canonizzazione” fa riflettere. Canone di per sé significa regola, norma. Quali sono le regole che la Chiesa usa per riconoscere pubblicamente che una persona è santa, perciò da venerare con un culto ufficiale? Questa è la vera domanda. La Chiesa stabilisce alcune regole, ovvero che i santi abbiano osservato fedelmente alcune virtù, e guarda caso, quelle virtù che sono in linea con la struttura della Chiesa stessa. E allora un dubbio ci viene: la Chiesa propone modelli che fanno comodo alla stessa religione. La Chiesa non canonizza i profeti scomodi, se non dopo secoli, quando ormai la profezia si è spenta oppure, se è ancora attiva, basta poco alla Chiesa: mettere un cappello sopra, e la profezia viene coperta. Non sarei per nulla contento se ad esempio don Milani o don Mazzolari venissero un giorno riconosciuti santi dalla Chiesa. Perderebbero il loro fascino proibito. Non parliamo poi delle pressioni perché ad esempio un fondatore di un ordine religioso o di una congregazione o di un movimento ecclesiale salga agli onori dell’altare. Così anche il Movimento acquisterebbe maggiore credibilità, soprattutto se si trovasse in crisi di identità.

Non vorrei parlare dei costi di tipo economico che comporta una canonizzazione. Anche qui: chi ha soldi ottiene la canonizzazione del proprio fondatore. I poveri cristi rimangono sempre ai piedi dell’altare. Quanto costa diventare santi? È la domanda che ha spinto Papa Francesco a indagare sui conti delle cause di beatificazione e di canonizzazione. Ciò che aveva fatto insospettire Bergoglio, spingendolo ad aprire l’inchiesta interna, è stato l’esame dei bilanci relativi al fondo per le cosiddette “cause povere“. Sembra, infatti, che esso non sia stato più incrementato e che quindi non sia stata rispettata la norma che impone agli attori di ogni processo di beatificazione e di canonizzazione di versare un contributo per sostenere queste cause. Da qui, quindi, è scattata l’indagine che doveva consentire, entro la fine del mese di agosto, di consegnare al Papa le entrate e le uscite di ciascuna causa di beatificazione e di canonizzazione. Ma, a oggi, le indagini non hanno ancora portato a nessun risultato e c’è chi mormora da tempo nei sacri palazzi che soltanto le congregazioni religiose più ricche possono permettersi di vedere il proprio fondatore elevato alla gloria degli altari. È proprio questo il sospetto che ha animato le verifiche chieste insistentemente dal Pontefice.

Terza e ultima osservazione. Oggi è la Festa di tutti i santi, perciò non solo dei santi ufficiali, quelli canonizzati dalla Chiesa. Carlo Maria Martini parlava spesso della santità popolare, la santità della gente più umile. Una santità anonima, senza un nome di rilievo che va sulle pagine dei mass media. La santità del quotidiano. fatta di piccole cose, di fedeltà al proprio dovere. Bertolt Brecht scrisse: «Guai a quel paese che ha bisogno di eroi», intendendo dire che, avendo bisogno di eroi, la normalità non funziona. Se eroe significa uno che paga le tasse sempre e comunque, vuol dire che la maggior parte dei cittadini non paga le tasse. Se essere eroe significa soccorrere uno che è in situazioni veramente disastrose, vuol dire che esiste una generale indifferenza.

Anche per la Chiesa valgono le parole di Bertolt Brecht. Chissà perché noi cattolici ci aggrappiamo sempre allo Spirito santo perché ci tiri fuori da qualche guaio! Eppure basterebbe vivere quotidianamente il cristianesimo, senza aver bisogno di interventi straordinari. Proprio nella Chiesa c’è quel fenomeno detestabile, almeno da parte mia, di ricorrere ai miracoli, dimenticando che basterebbe un pizzico di fede, piccolo come un granello di senape, per trasportare una montagna. L’ha detto Gesù Cristo.

Noi crediamo di fare del bene alla Chiesa ingigantendo i suoi santi. Invece facciamo del male, perché togliamo alla vita ordinaria la sua efficacia. La Chiesa non sta in piedi con i grandi santi, sta in piedi casomai con l’umile profezia del popolo di Dio. Profezia che è saggezza, quella sapienza appunto popolare che riesce a dare il gusto di vivere anche alle cose più insignificanti.

Oggi è la festa di tutti i santi, quindi anche dei nostri cari defunti, che ci hanno lasciato un grande esempio di vita. Noi pensiamo che, quando riceviamo una grazia particolare, ciò lo dobbiamo al merito di Padre Pio o della Madonna o dei santi più venerati del cielo. Loro non possono pensare a tutti. Credo invece che, a intercedere per noi, siano le anime dei nostri cari. Più che ricordare il loro ricordo con qualche mazzo di fiori che subito appassisce, il nostro dovere sta nel rivivere la loro saggezza di vita. Nel cimitero di Monte, sulla facciata esterna della cappella dei sacerdoti, ho voluto mettere questa frase in latino: “Vivere memento”: ricòrdati che devi vivere. Dal cimitero si torna per vivere. Questo è l’insegnamento dei nostri morti. Vivi intensamente!     

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