Omelie 2016 di don Giorgio: FESTA DI TUTTI I SANTI

1 novembre 2016: TUTTI I SANTI
Ap 7,2-4.9-14; Rm 8,28-39; Mt 5,1-12a
Tutti i santi o solo qualche santo?
Anch’io, più volte, mi sono chiesto che senso possa avere festeggiare in un solo giorno tutti i santi della Chiesa cattolica. Don Angelo Casati mi ha risposto, invitando a porre un’altra domanda: che senso ha festeggiare un singolo santo, staccandolo da un altro e costruendo altari in onore di questo o di quel santo? Nelle nostre chiese quanti altari per l’assemblea dei santi? Forse pochissimi, forse nessuno.
Festeggiare insieme tutti i santi è sentire la coralità nel suo variegato fascino di totalità, come quando si guarda il cielo notturno e ci si sente immersi con gli occhi nella assemblea delle stelle.
Invece, noi preferiamo un singolo santo. Diciamo: questo santo è più simpatico di un altro, e ci aggrappiamo alle sue sottane per ottenere qualche favore. Ma come poi possiamo parlare di comunione dei santi? Che cos’è “comunione dei santi”? Non significa forse comunione tra noi e loro, tutti i santi, nelle cose sante?
Sconfinamento
La parola “comunione” richiama una parola che potrebbe sembrare strana, ed è sconfinamento, che significa andare oltre i confini. Anche la prima lettura di oggi parla di sconfinamento, ovvero di un numero incalcolabile, appunto sconfinato, di santi che, a loro volta, sconfinano al di là del reticolato razziale, culturale e religioso. La santità non è occidentale o orientale, bianca o nera, colta o analfabeta, e neppure è per forza cattolica. Perché escludere dalla rosa dei santi anche gli islamici o i buddisti o gli esseri semplicemente umani?
La comunione dei santi sconfina, al di là delle nostre conoscenze limitate di santi più o meno simpatici (non c’è, per fortuna, solo san Francesco d’Assisi!) e al di là delle nostre credenze religiose.
Uno solo o pochi santi, magari ristretti nel campo strettamente religioso e della nostra religione, non potranno mai dare l’idea della sconfinata santità divina. Un santo occidentale non potrà mai farci gustare quel mondo interiore, che gli orientali da millenni e millenni hanno colto nel profondo dell’essere umano. Ecco, ho toccato il cuore della santità, nella singolarità dell’essere umano, ma partecipe della coralità divina.
Riflessioni personali
Non sono invidioso di nessun santo in particolare. Sono invece geloso di me stesso, per paura che qualcuno mi derubi, nel mio essere interiore.
La santità è essere se stessi, o, meglio, sta nell’adeguare il più possibile il proprio spirito al mondo dello Spirito divino.
Ognuno di noi ha la sua santità, che non è fatta di doti o di modalità particolari, ma di quella voglia così matta del Divino da svuotarci di ogni “nostra” virtù, reale o presunta che sia.
Ogni santo è frutto del suo tempo, ovvero di un contesto di Grazia particolare, che incarna la generazione divina nel tempo.
Il santo di ieri è frutto di una Grazia di ieri, il mio essere vive della Grazia di oggi.
La Grazia non ha tempi, ma s’incarna nel tempo.
La Grazia è sempre generazione perenne del Divino, ma il Divino non può fare a meno del molteplice di ogni essere umano, per farne l’Armonia cosmica. Il molteplice è frutto del tempo, e il Divino s’incarna nel tempo.
L’essere umano non è un’astrazione a-temporale: l’Eterno sublima il tempo, ma dal di dentro, nei suoi contenuti, nelle sue realtà che sono di oggi, e non di ieri.
Ogni santità è perciò “temporale” e “a-temporale”. I santi di ieri sono di ieri, oggi il mio essere è investito da una Grazia sempre nuova.
Non devo imitare i santi, ma ammirare in loro il capolavoro della Grazia di farsi sintesi umano-divina, che continua in ogni tempo e in ogni luogo, oggi in un modo più originale di ieri.
I santi vengono “canonizzati” per le loro virtù e per i loro miracoli, ma la santità è un’altra cosa. L’essere interiore ha una sola qualifica: “Io sono”. Sta qui l’originalità intoccabile di ciascuno.
Le Beatitudini
Mai abbastanza si potrà dir bene di una tra le pagine più famose di tutto il Testo Sacro, dove si sente veramente vibrare il cuore dello Spirito divino. Mi riferisco alla pagina delle Beatitudini.
La parola “beato” può anche essere provocatoriamente negativa, quando viene usata per sottomettere la dignità umana, facendone quasi un pretesto di rassegnazione in vista di un premio dell’aldilà.
Ma Cristo nel Gesù di Nazaret ha detto qualcosa di positivamente sconvolgente, se è vero che ha fatto, fa e farà riflettere milioni di esseri umani. Più che la quantità dell’avere, conta la qualità dell’essere: l’essere in sé non potrà più sentirsi emarginato, ovvero maledetto.
La beatitudine evangelica riguarda proprio il cuore della realtà umana che, se s’incarna per necessità in un mondo di creature in lotta per sopravvivere, non perderà mai di vista se stesso, ovvero la sua origine divina.
Smettiamola di distinguere, contrapponendole, povertà materiale da povertà spirituale: esiste una sola beatitudine, ed è la rinuncia a quell’ego che è la radice di ogni male, anche di quel male che divide in nome di beni posseduti o anche solo desiderati mortificanti la libertà dello spirito.
Sì, esiste una sola beatitudine, ed è quella del cuore puro, ovvero libero da ogni egoismo appropriativo.
Cristo nel Gesù di Nazaret non solo ha colto in pieno l’origine di ogni male – nell’”amor sui”, come direbbero i mistici – ma ha indicato con forza il segreto della salvezza per l’intera umanità.
Sarò beato, quando mi riprenderò il mio essere interiore, liberandolo da ogni infrastruttura possessiva.

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