Omelia di don Giorgio: Festa della SS. Trinità 2012

3 giugno 2012: Festa della SS. Trinità

Es 33,18-23; 34,5-7a; Rm 8,1-9b; Gv 15,24-27

3 giugno 2012: Festa della SS. Trinità
Es 33,18-23; 34,5-7a; Rm 8,1-9b; Gv 15,24-27

 

Non so che senso possa avere celebrare una festa in onore della Santissima Trinità. Le altre festività – Natale, Pasqua e Pentecoste – riguardano di per sé un evento: la nascita di Cristo, la sua passione, morte e risurrezione, la discesa dello Spirito santo. Già gli ebrei celebravano gli eventi: pensiamo all’uscita dall’Egitto, alla promulgazione della legge sul monte Sinai. Gli eventi fanno parte della storia di ogni popolo, di ogni religione. Ancora oggi celebriamo degli eventi. Anzi, ogni giorno c’è qualcosa da ricordare. Forse si sta esagerando: ciò ha prodotto da una parte un rigetto e dall’altra un menefreghismo. Abbiamo celebrato l’anno scorso il 150° anniversario della nascita dell’Italia (1861-2011) ma quanti tra gli italiani se ne sono ricordati?
Tuttavia c’è un senso nel commemorare un evento, se non altro per tenere ancora vivo  un avvenimento che ha lasciato un certo solco nella storia. Certo, tutto dipende dal come si vivono poi queste celebrazioni. Anche qui si cade nel rischio di programmare una miriade di iniziative che finiscono poi per far perdere il senso dell’evento da commemorare. Le celebrazioni servono nella misura in cui ci fanno rivivere l’evento che si vuole ricordare. Questo dovrebbe essere l’intento di ogni celebrazione civile e religiosa.
Torniamo alla festività liturgica di oggi. Celebrare il mistero trinitario in sé che senso teologico può avere? Non c’è il rischio di ridurre il più grande Mistero ad una celebrazione che finisce al termine del giorno? Una prova di tutto questo è la poca o nulla consapevolezza da parte del popolo cristiano che non sa neppure che oggi è la festa della Santissima Trinità. Ma immaginate il mio disagio nel tentare di dirvi qualcosa sul mistero trinitario! Anche qui, cerchiamo di riflettere: un tempo i cristiani erano come immersi in un contesto vitale di fede per cui le festività entravano quasi naturalmente nella sequenza liturgica. Oggi, che fatica anche solo recuperare il senso cristiano di certe festività: pensate al Natale consumistico!
Ad ogni modo, ogni occasione – anche la festa di oggi – è buona per stimolare ad una maggiore presa di coscienza. Guai se dovessimo arrenderci, e dire: a che serve? Sarebbe la fine. Ma attenti: evitiamo di dire le solite cose. Un tentativo di approfondimento non è mai azzardato, anche se la mia impressione è che partire da zero in fatto di fede non è affatto facile per nessuno. Tenterò di dirvi qualcosa di nuovo. Magari con mille interrogativi. D’altronde se la Trinità è uno dei più grandi Misteri, chi può avere delle certezze?
Diciamo subito una cosa. Che il mistero trinitario sia una verità rivelata, rivelata da Gesù stesso, ciò non significa che sia una prerogativa del cristianesimo, e tanto meno che sia un dogma esclusivo della Chiesa cattolica. Rivelazione non significa di per sé che quella verità prima di essere rivelata era del tutto sconosciuta. Dio, quando ha dato l’input iniziale per dare origine al mondo, ci ha messo del suo, ovvero ha lasciato la sua impronta. La Bibbia lo dice chiaramente quando parla della creazione dell’essere umano: “lo ha fatto a sua immagine e somiglianza”. In altre parole, Dio ha creato l’universo già come immagine del suo essere trinitario. Pur senza saperlo, tutto ciò che esiste ha in sé nel suo dna il mistero trinitario.
Certamente, con Gesù Cristo la realtà diventerà più chiara: ora sappiamo che Dio è trinitario: Dio è Padre. Dio è Figlio, Dio è Spirito santo. Ma ciò non significa che il Mistero trinitario non fosse già presente nell’Universo, e non fosse già presente, benché confusamente, in tutte le religioni. Col senno di poi o, meglio, con la rivelazione di Cristo, ciò sarà più evidente, ma Cristo non ha fatto che togliere dei veli sul profondo segreto divino e anche sull’Umanità intera che, indipendentemente dal fattore religioso, porta in sé impressa l’immagine del Dio trinitario. Ho detto “indipendentemente dal fattore religioso”: sì, perché, che sia credente o no, che me ne renda conto oppure no, sono trinitario. Qualcuno ha detto che, volere o no, siamo tutti “cristiani”, possiamo anche dire che, volere o no, siamo tutti trinitari: siamo a immagine e somiglianza del Dio Trinitario.
Si è anche arrivati a dire che il numero tre è quasi la caratteristica costituiva dell’universo. In ogni cosa si può notare la presenza di una triplice realtà. Certo, si è anche esagerati nel voler a tutti i costi vedere nella realtà il numero tre. Comunque, non possiamo negare che ci sia qualcosa di suggestivo, diciamo anche di vero.
In ogni caso, la presenza trinitaria è innegabile se non altro come modello a cui ispirarsi. Vedete: la cosa notevole di una certa ricerca teologica di oggi è l’aver abbandonato il cosiddetto dogmatismo un po’ fine a se stesso, diciamo meglio: quel dogmatismo che, pur creando discussioni a non finire tanto da far nascere diverse scuole teologiche, talora più formali che sostanziali (si litigava sui termini da usare!), era però lontano dalla vita reale del popolo di Dio, il quale, lasciando nelle loro beghe i teologi del tempo, si rifugiava nelle devozioni per trovare qualche appagamento interiore.
In breve, oggi si guarda al mistero trinitario con un altro occhio: l’occhio ad esempio della mistica, oppure con l’occhio più pastorale che è anche quello più realistico. Ad esempio, è noto come don Tonino Bello abbia preso la Trinità come un ideale a cui ispirarsi per il fatto stesso che Dio è uno e trino, ovvero che in Dio convivono nello stesso tempo unità e molteplicità, ma nell’armonia più perfetta. Don Tonino Bello parlava di “convivialità delle differenze”, proprio pensando al Mistero trinitario. Come possono coesistere tre persone senza perciò dividersi e separarsi? Scrive don Tonino Bello: «Una delle cose più belle e più pratiche messe in luce dalla teologia in questi ultimi anni è che la SS. Trinità non è solo il mistero principale della nostra fede, ma è anche il principio architettonico supremo della nostra morale. Quella trinitaria, cioè, non è solo una dottrina da contemplare, ma un'etica da vivere… Gesù, pertanto, ci ha rivelato questo segreto di casa sua non certo per accontentare le nostre curiosità intellettuali, quanto per coinvolgerci nella stessa logica di comunione che lega le tre persone divine. Nel cielo tre persone uguali e distinte vivono così profondamente la comunione, che formano un solo Dio. Sulla terra più persone, uguali per dignità e distinte per estrazione, sono chiamate a vivere così intensamente la solidarietà, da formare un solo uomo, l'uomo nuovo: Cristo Gesù. Sicché l'essenza della nostra vita etica consiste nel tradurre con gesti feriali la contemplazione festiva del mistero trinitario, scoprendo in tutti gli esseri umani la dignità della persona, riconoscendo la loro fondamentale uguaglianza, rispettando i tratti caratteristici della loro distinzione…  L'imperativo etico che ne deriva per coloro che vivono sulla terra è che se tengono sotto sequestro le proprie risorse spirituali o materiali senza metterle a disposizione degli altri, non possono esimersi dall'accusa di appropriazione indebita».
Continua don Tonino Bello: “… il genere umano è chiamato a vivere sulla terra ciò che le tre persone divine vivono nel cielo: la convivialità delle differenze. Che significa? Nel cielo, più persone mettono così tutto in comunione sul tavolo della stessa divinità, che a loro rimane intrasferibile solo l'identikit personale di ciascuna, che è rispettivamente l'essere Padre, l'essere Figlio, l'essere Spirito Santo. Sulla terra, gli uomini sono chiamati a vivere secondo questo archetipo trinitario: a mettere, cioè, tutto in comunione sul tavolo della stessa umanità, trattenendo per sé solo ciò che fa parte del proprio identikit personale. Questa, in ultima analisi, è la pace: la convivialità delle differenze. Definizione più bella non possiamo dare. Perché siamo andati a cercarla proprio nel cuore della SS. Trinità. Le stesse parole che servono a definire il mistero principale della nostra fede, ci servono a definire l'anelito supremo del nostro impegno umano. Pace non è la semplice distruzione delle armi. Ma non è neppure l'equa distribuzione dei pani a tutti i commensali della terra. Pace è mangiare il proprio pane a tavola insieme con i fratelli. Convivialità delle differenze, appunto… Come è dato vedere, il Signore Gesù se ci ha rivelato questo mistero, non l'ha fatto certo per complicarci le idee. Ma l'ha fatto per offrirci un principio permanente di critica cui sottoporre tutta la nostra vita nelle sue espressioni personali e comunitarie, e per indicarci, nel contempo, il porto al quale attraccheremo finalmente la nostra barca. Sicché la Trinità non è una specie di teorema celeste buono per le esercitazioni accademiche dei teologi. Ma è la sorgente da cui devono scaturire l'etica del contadino e il codice deontologico del medico, i doveri dei singoli e gli obblighi delle istituzioni, le leggi del mercato e le linee ispiratrici dell'economia, le ragioni che fondano l'impegno per la pace e gli orientamenti di fondo del diritto internazionale. La Trinità, dunque, è una storia che ci riguarda. Ed è a partire da essa che va pensata tutta l'esistenza cristiana. Ernst Bloch (scrittore e filosofo tedesco marxista, nonché teologo dell’ateismo) diceva che Dio è un padrone collocato così in alto che l'uomo, il servo, di fronte a lui rimane a bocca asciutta. Nulla di più falso, almeno per il nostro Signore, il quale, se si è rivelato uno e trino, è perché vuol far sedere il servo alla tavola delle sue ricchezze».

 

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