“Evitato l’accanimento terapeutico”

da Vatican Insider

"Evitato l'accanimento terapeutico"

"Su un 85enne in fin di vita col Parkinson non ha mai senso accanirsi", dichiara a "La Stampa" il professor Girolamo Sirchia-. L'eutanasia non c'entra nulla con la morte del cardinale Martini e, sette anni fa, di Giovanni Paolo II". Scienza e fede concordano nel distinguere la "dolce morte" dalle cure spropositate e non in grado di salvare il paziente
  
Giacomo Galeazzi 

VATICANISTA DE LA STAMPA

Già nel 1957, in un celebre discorso agli anestesisti, Pio XII stabilì l'inaccettabilità dell'accanimento terapeutico. «Per Giovanni Paolo II e per il cardinale Carlo Maria Martini, entrambi 85enne malati di Parkinson ad uno stato molto avanzato, è scientificamente infondato parlare di eutanasia», precisa a «La Stampa» il professor Girolamo Sirchia, ex primario del Policlinico di Milano, luminare di immunoematologia e ministro della Salute dal 2001 al 2005. «Solo la strumentalizzazione politica può aver indotto alcuni a confondere la morte indotta in modo attivo (e cioè l'eutanasia) con l'interruzione di cure, interventi invasivi e somministrazioni di farmaci che non possono portare alcun beneficio duraturo ad un paziente ma che ne protraggono solamente l'agonia», precisa Sirchia: «Il Parkinson è una malattia terribile che nella sua fase terminale, come accaduto a Giovanni Paolo II, arriva a togliere il respiro ed è scientificamente oltreché eticamente inaccettabile fare ulteriore ricorso a pratiche sanitarie che si dimostrano totalmente inefficaci». Il Magistero della Chiesa cattolica non lascia margini ad equivoci. «Qualunque ne siano i motivi e i mezzi, l'eutanasia diretta consiste nel mettere fine alla vita di persone handicappate, ammalate o prossime alla morte. Essa è moralmente inaccettabile», puntualizza il Catechismo: «Così un'azione oppure un'omissione che, da sé o intenzionalmente, provoca la morte allo scopo di porre fine al dolore, costituisce un'uccisione gravemente contraria alla dignità della persona umana e al rispetto del Dio vivente, suo Creatore. L'errore di giudizio, nel quale si può essere incorsi in buona fede, non muta la natura di quest'atto omicida, sempre da condannare e da escludere». Inoltre, stabilisce il Catechismo della Chiesa cattolica, «l'interruzione di procedure mediche onerose, pericolose, straordinarie o sproporzionate rispetto ai risultati attesi può essere legittima. In tal caso si ha la rinuncia all'« accanimento terapeutico ». Non si vuole così procurare la morte: si accetta di non poterla impedire. Le decisioni devono essere prese dal paziente, se ne ha la competenza e la capacità, o, altrimenti, da coloro che ne hanno legalmente il diritto, rispettando sempre la ragionevole volontà e gli interessi legittimi del paziente». Quindi, «anche se la morte è considerata imminente, le cure che d'ordinario sono dovute ad una persona ammalata non possono essere legittimamente interrotte. L'uso di analgesici per alleviare le sofferenze del moribondo, anche con il rischio di abbreviare i suoi giorni, può essere moralmente conforme alla dignità umana, se la morte non è voluta né come fine né come mezzo, ma è soltanto prevista e tollerata come inevitabile. Le cure palliative costituiscono una forma privilegiata della carità disinteressata. A questo titolo devono essere incoraggiate». Inoltre nell'enciclica «Evangelium vitae» di Giovanni Paolo II si puntualizza che «per un corretto giudizio morale sull'eutanasia, occorre innanzitutto chiaramente definirla». Per eutanasia in senso vero e proprio si deve intendere un'azione o un'omissione che di natura sua e nelle intenzioni procura la morte, allo scopo di eliminare ogni dolore. «L'eutanasia si situa, dunque, al livello delle intenzioni e dei metodi usati». Da essa va distinta la decisione di rinunciare al cosiddetto «accanimento terapeutico», ossia a certi interventi medici non più adeguati alla reale situazione del malato, perché ormai sproporzionati ai risultati che si potrebbero sperare o anche perché troppo gravosi per lui e per la sua famiglia. In queste situazioni, quando la morte si preannuncia imminente e inevitabile, si può in coscienza «rinunciare a trattamenti che procurerebbero soltanto un prolungamento precario e penoso della vita, senza tuttavia interrompere le cure normali dovute all'ammalato in simili casi». Si dà certamente l'obbligo morale di curarsi e di farsi curare, ma tale obbligo deve misurarsi con le situazioni concrete; occorre cioè valutare se i mezzi terapeutici a disposizione siano oggettivamente proporzionati rispetto alle prospettive di miglioramento. La rinuncia a mezzi straordinari o sproporzionati non equivale al suicidio o all'eutanasia; esprime piuttosto l'accettazione della condizione umana di fronte alla morte. «Le ultime ore terrene del cardinale Carlo Maria Martini sono state accompagnate da molti commenti sulla sua scelta di non sottostare ad “alcun accanimento terapeutico”», sintetizza il quotidiano «Il Foglio». In concreto, il cardinale, malato di morbo di Parkinson da diciassette anni e arrivato a una fase della patologia tale da impedirgli la deglutizione, ha deciso di non farsi applicare un sondino per la nutrizione artificiale. Lo stesso meccanismo attraverso il quale è stata nutrita e dissetata per diciassette anni Eluana Englaro (la quale però non aveva nessuna patologia terminale. A chiedere e a ottenere il distacco del sondino, dopo una battaglia giudiziaria durata anni, è stato suo padre). «E anche nel caso, evocato ancor più a sproposito, di Piergiorgio Welby, a essere contestato non era il suo diritto di rifiutare il respiratore, ma la sua richiesta di ottenere una sedazione letale. Nulla di tutto questo, dovrebbe essere evidente, riguarda la morte del cardinale Martini».

1 Commento

  1. Gianni ha detto:

    E’ un tema difficile,
    basato sul distinguere tra procurare la morte,
    per azione od omissione, e l’evitare accanimenti terapeutici.
    A ben vedere, dipende tutto da giudizi soggettivi, cioè dal fatto di ritenere di poter ancora intervenire con delle cure e quale efficacia queste avrebbero.
    Ma in tale campo, non esistono certezze, proprio perchè la medicina è arte, non scienza.

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