Emanuele Macaluso, un riformista con gli occhi di sindacalista

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IL BLOG
01/10/2021

Emanuele Macaluso,

un riformista con gli occhi di sindacalista

Rigore, passione e intelligenza al servizio non solo di lavoratori e cittadini più deboli, ma dell’intero Paese
Valeria Fedeli
Senatrice Pd
Il testo dell’intervento svolto in occasione dell’iniziativa “Emanuele Macaluso. Una vita nella sinistra” promossa da Senatori Pd, Deputati Pd e Fondazione Gramsci il 1 ottobre 2021 presso la Sala Capitolare del Senato della Repubblica.
La prima esperienza politica di Macaluso è stata quella da sindacalista. Nei primi anni del dopoguerra, quando Emanuele era poco più che un ragazzo, a Caltanissetta prima e poi come segretario regionale della Sicilia, nella Cgil unitaria, al fianco dei contadini e degli zolfatari, dei muratori e degli impiegati, come di tutti i lavoratori e le lavoratrici, nelle lotte per la terra, per il lavoro, per un salario decente, per i diritti e le condizioni di vita, per la legalità, in un territorio dove la presenza violenta della Mafia si faceva sentire ogni giorno, spesso proprio contro i sindacalisti.
Sono gli anni dei primi scioperi, ma anche di stragi, come quella di Portella della Ginestra del 1 maggio 1947, un evento che Emanuele ha ricordato per tutta la vita, continuando ad omaggiare ogni anno contadini e lavoratori uccisi dai banditi mafiosi (fu suo il primo comizio l’anno dopo, ancora era lì due anni fa).
Sono gli anni – anche – della formazione della repubblica, in termini istituzionali, socio-culturali, e coincidono per Emanuele con gli anni della piena formazione politica, accanto a Di Vittorio (colui che lo volle appena 23enne a capo del sindacato siciliano, ricordando come “per allargare il fronte del rinnovamento siciliano, lo strumento più adatto per unificare le grandi masse popolari siciliane fosse l’organizzazione sindacale unitaria che faceva capo alla Cgil”) e a tanti altri esponenti di quella generazione di sindacaliste e sindacalisti pronti a dare la vita per la democrazia e i diritti.
Quella prima – e poi lunga e importante – esperienza nel sindacato ha segnato tutta la vita di Emanuele, esempio perfetto di quello che sa bene chiunque abbia vissuto un pezzo di quella storia: non si smette mai di essere sindacalista.
E infatti l’attenzione al mondo del lavoro è stata una costante della sua vita, della sua attività politica e giornalistica, del suo pensiero, dei suoi scritti.
“Ecco cosa era allora il sindacato – ha detto una volta in un’intervista-: strumento di affermazione dei diritti e della dignità, a qualsiasi costo.”
Quando ci siamo conosciuti – a Rimini in occasione di un’Assemblea del partito durante una riunione dell’area migliorista – e lungo tutta la frequentazione che ho avuto la fortuna di poter condividere con lui da quando nei primi anni ’80 mi sono trasferita a Roma da Milano, ho sempre ammirato questo suo essere intimamente sindacalista e molto ho imparato dal suo essere in particolare un sindacalista riformista, o forse meglio un politico riformista con gli occhi e l’anima di sindacalista.
Abituato a guardare alle condizioni reali di vita delle persone, in termini sociali, economici e culturali: ai bisogni, ma anche alle aspettative, ai desideri, alla vita tutta.
Abituato a conoscere, ricercare, riflettere, rappresentare, sostenere il miglioramento di quelle condizioni, con azioni concrete, dentro un quadro di valori forti che mai diventavano ideologismi.
Anzi Emanuele in ogni funzione che ha svolto ha sempre lavorato per smontare gli eccessi di dogmatismo, di ritualità che perdeva il proprio significato per diventare una forma vuota di conservazione di assetti e poteri, non smettendo mai di esercitare lo spirito critico, di discutere, di mettere mettersi e metterci in discussione – grazie anche a una infinita curiosità e vitalità, che sono stati i tratti fondamentali anche del suo lavoro di giornalista.
Quest’azione culturale di rottura delle sacralità era per lui uno strumento per tenere le organizzazioni di rappresentanza e la sinistra tutta a contatto con le persone e il mondo del lavoro, perché il suo – come ha detto Peppe Provenzano nel suo bellissimo saluto davanti alla nostra Cgil – era un “socialismo possibile: in cui tutto ciò che si può fare per migliorare la condizioni di vita dei molti, anziché dei pochi, va fatto”.
È rimasto sempre vicino e attento a lavoratori e lavoratrici, convinto che questo fosse il compito della sinistra, perché – diceva – “una sinistra senza popolo non è sinistra”.
E tutte le sue critiche – al sindacato e al Partito, dal Pci fino al Pd – sono sempre state legate alla capacità di rappresentanza reale, alle debolezze mostrate in questo senso dalle classi dirigenti della sinistra – in particolare negli ultimi anni – ogni volta che si è trovata distante dalle persone, ogni volta che ha perso contatto con quella che per anni abbiamo chiamato la base, ma che oggi potremmo semplicemente definire la vita.
“La battaglia di una sinistra che è sinistra se è per l’uguaglianza. Una battaglia per i diritti, per il lavoro” – ricordava ancora in un’intervista a Il Riformista del 29 aprile 2020, con la forza di chi ha fatto del valore dell’uguaglianza una bandiera appunto di vita – uguaglianza tra persone, tra lavoratori e lavoratrici, tra territori, mai dimenticando le difficoltà ma anche le potenzialità del suo Sud, che non si è mai rassegnato a vedere come una terra dove tutto si può fare, in cancellazione di regole, rispetto, umanità.
Emanuele ha sempre rappresentato quella cultura di sinistra comunista e riformista che ha servito con il massimo del rigore, della passione e dell’intelligenza gli interessi non solo di lavoratori e cittadini più deboli, ma dell’intero Paese.
È anche per questo, per uno sguardo che non ha mai smesso di essere rivolto alla tutela dei più deboli dentro una visione di interesse generale, Emanuele è sempre stato – come tutti i sindacalisti riformisti – per l’unità sindacale, strumento per dare forza non solo alle organizzazioni ma soprattutto alle persone che esse devono e vogliono rappresentare, che sono sempre danneggiate dalle divisioni e dalla conflittualità.
Fino in fondo Emanuele è stato sindacalista, riformista, intellettuale e maestro.
Con la sua estrema lucidità, che dispensava pubblicamente e privatamente, fatta di acutezza di osservazione, finezza di pensiero, capacità divulgativa, Macaluso ha segnato tante volte una strada che, talvolta immediatamente altre in ritardo, tante e tanti abbiamo riconosciuto come quella giusta.
Ha insegnato a vedere lontano, a provare sdegno e vergogna, resistenza e coraggio, a non perdere mai la speranza e ad accompagnarla sempre con l’azione concreta. A stare in campo seriamente – provando come lui ad essere riformiste e riformisti con gli occhi di sindacalista – per il cambiamento, che mai è altro che migliorare le condizioni di lavoro e le condizioni di vita.
Grazie Emanuele, per averci tutta la vita ricordato – e cito le tue parole – che “il lavoro è un faro sicuro per chi crede nella democrazia e nella lotta per il cambiamento” e che “la sinistra è tale se sa porre e affrontare la questione sociale, se c’è lotta, iniziativa non solo di denuncia ma di azione concreta”.
(Citazioni tratte da un colloquio con Giorgio Frasca Polara pubblicato nel volume della Cgil per celebrare il 50mo anniversario dello statuto dei lavoratori)

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