Uno squilibrio ben più che drammatico

di don Giorgio De Capitani
Oggi assistiamo ad uno squilibrio, che definire semplicemente drammatico non rende bene l’idea di uno dei più gravi paradossi della storia umana.
C’è da una parte una grave assenza, e dall’altra una allarmante presenza: c’è l’assenza del bene, e c’è la presenza del male.
Ma, attenzione! Specifichiamo i termini, bene e male, per evitare di cadere nella solita morale di una religione che parla magari bene, ma poi inevitabilmente ruzzola nel vuoto.
Anche lo stato ha le sue fisse moralistiche che gridano vendetta ad ogni buon sensi di civiltà.
E allora, io intendo il bene come ogni valore d’essere, e il male come mancanza d’essere.
Non mi piace, comunque, fare il solito filosofo da strapazzo che vende fumo di cultura saccente.
Viviamo, dunque, in una società dove l’avere ha il primato su tutto, per di più un avere che proviene dal sedere di un materialismo ideologico, che emana odori che sembrano ai più come profumi di cibi succulenti.
L’avere è offerto su un piatto vuoto, perché, pur in tutta la sua massa di cose e di beni e di prodotti, è solo promessa di promesse di promesse. Quindi, l’avere è pura illusione.
L’avere di per sé non esiste,m perché il male non esiste, se non come assenza di bene o di essere.
L’avere, ovvero, è quel vuoto che si crea quando l’essere si ritrae, creando così uno spazio dove ha luogo quel volere o quel piacere, che si traduce in un mondo di oggetti, che sembrano veri, ma che in realtà sono solo apparenti.
In altre parole, l’essere è “realtà”, mentre l’avere è “apparenza”.
L’avere è “apparenza” di qualcosa che sembra bene, ma che si incarna in oggetti che catturano i sensi, perfino i desideri, le speranze, le aspirazioni dell’essere umano.
Più l’essere viene a mancare, più l’avere impone le sue apparenze o illusioni di bene.
Oggi sembra che l’essere sia quasi scomparso, ecco perché la società è maledettamente una massa di illusioni di un bene che non è altro che il peggior male che possa intaccare la realtà dell’essere.
Se, dunque, l’essere è “realtà” e l’avere è “apparenza”, allora siamo nel fondo di un burrone, dove c’è solo una valle di ossa inaridite, secondo la visione profetica di Ezechiele (capitolo 37).
Ed è qui che tiro in scena la religione (o la Chiesa) che non sento mai parlare di essere, ma solo di avere.
Dunque, la religione benedice, consacra, divinizza le cose, definendole “sacre” per coprire l’inganno dell’idolatria.
Ecco dove sta lo squilibrio più vergognoso e blasfemo: le cose sono rimaste da sole a dominare la scena di questo mondo, dal momento che l’essere o la realtà spirituale è del tutto assente.
E allora tutto è apparenza: stato, società, religione, chiesa, il cosmo intero.
L’essere è stato messo sotto silenzio, reso innocuo, sterile.
Le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti, ma ben pochi se ne accorgono: anche gli occhi sono cose, il cuore è una cosa, ogni respiro è cosa.
E Dio è un idolo o immagine di un mondo di cose.
Dio cosa!
La bestemmia più atroce.

 

1 Commento

  1. don ha detto:

    La purificazione del tempio compiuta da Gesù di cui ci parla il Vangelo di questa terza domenica di quaresima (nel rito romano) va nella medesima linea di questa tua riflessione

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