Il sindaco Efrem Brambilla, ovvero una assurda concezione “personalista” della gestione del bene comune

Il sindaco Efrem Brambilla,

ovvero una assurda concezione “personalista”

della gestione del bene comune

di don Giorgio De Capitani
Quando penso a certe situazioni così assurde e allucinanti da chiedermi che cosa fare per stare a galla, mi sento del tutto impotente, ma con tanta rabbia addosso da frantumare una catena di montagne.
Quando penso a certi luridi personaggi politici di oggi, che ogni giorno fanno e disfano sulla pelle della gente onesta, la quale ha il diritto di star bene in un paese civile, la tentazione ce l’avrei di prendere un mitra e fare piazza pulita di tutto un marciume oramai insopportabile.
Quando ho a che fare con una imbecillità oramai diffusa in ogni angolo della terra, mi chiedo quali armi usare per far rinsavire un popolo ridotto a uno straccio, neppure buono per pulire lo sporco dei suoi piedi.
Eppure, talora basterebbe un po’ di buon senso, o un granello di intelligenza per risolvere le cose, anche quelle più complesse.
Probabilmente il sindaco di Santa Maria Hoè, Efrem Brambilla, ha perso ogni buon senso, forse non l’ha mai avuto, e per fare il sindaco oggi non basta un po’ di buona volontà, e tanto meno raccogliere consensi accarezzando la pancia della gente.
Ho conosciuto nella mia vita numerosi sindaci, e tra questi ottime persone seriamente impegnate per il bene del paese. Ma non ho mai incontrato un sindaco come Efrem Brambilla. Difficile da classificare, da valutare. Ogni aggettivo scatenerebbe una querela, visto che tra l’altro la suscettibilità di certi individui è imprevedibile, e, alla scuola del capitano, farebbero di tutto per far tacere voci dissidenti. Sì, perché in casa Brambilla, ovvero nel palazzo comunale di Santa Maria Hoè, sembra che regni un consenso unico, un tacito assenso su tutto ciò che il capitano pensa e fa. A suo arbitrio.
Se c’è una cosa che odio è la politica di chi fa uso del suo potere in modo del tutto “personale”. Questa cosa va condannata. L’uso “proprio” della gestione amministrativa danneggia quel concetto di bene comune che va al di là di ogni protagonismo, anche mediatico.
Forse il sindaco di Santa Maria non si accorge, perché in lui è così naturale una concezione “personalista” della politica da accusare gli altri di essere troppo autorevoli nel gestire il bene comune.
In ogni caso, questi sindaci così personalisti da far perdere loro il controllo, generando di conseguenza gravi disagi allo sviluppo armonico del loro Comune e mettendo a rischio l’Unione dei servizi che interessano più Comune, vanno messi in riga o invitati a tornare a casa loro.
Il mio non è solo un invito, molto di più. Dovrebbero andarsene a casa, solo se avessero un po’ di coscienza, e si rendessero conto del male che stanno facendo al bene di questi paesi.
Non sono un cittadino di Santa Maria, ma se lo fossi farei come quel papà o quella mamma che, davanti al figlio impenitente, ricorrono ai vecchi sistemi: qualche sonora sculacciata. E forse non basterebbe.

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