Omelie 2018 di don Giorgio: SECONDA DOPO PENTECOSTE

3 giugno 2018: SECONDA DOPO PENTECOSTE
Sir 16,24-30; Rm 1,16-21; Lc 12,22-31
Il terzo brano, capitolo 12 del Vangelo secondo Luca, versetti dal 22 al 31, è uno dei più noti, anche se probabilmente lo ricordiamo nella versione di Matteo, inserito nel Discorso della Montagna, capitolo 6, versetti dal 25 al 34.
Lo ricordiamo anche per le sue belle immagini, che lo hanno reso una delle pagine più liriche dei Vangeli.
Verbi all’imperativo
Anzitutto, nelle parole di Gesù troviamo verbi all’imperativo. L’imperativo è qualcosa di più dell’esortativo. Gesù non si limita a esortare: ordina. Dunque, le parole di Gesù sono un richiamo forte. Sono un ordine.
Di fronte ai valori non c’è libertà di scelta. I valori in quanto valori s’impongono da soli. Certo, ci vuole qualcuno che mi aiuti a vederli, a testimoniarli. Purtroppo, oggi, c’è quasi una rassegnazione, o, meglio, essendoci una pallida percezione dei valori, c’è anche una pallida educazione ai valori.
Non sarebbe necessario imporre, se ci fosse una forte percezione dei valori. Se vedessi realmente la tal cosa, non ci sarebbe alcun bisogno che qualcuno mi ordinasse di vederla.  Ma se fatico a vederla, ecco allora che si fa forte la necessità che io apra gli occhi.
“Guardate…”
Ecco perché Gesù ordina: «Guardate i corvi… guardate come crescono i gigli».
Guardate, ovvero osservate attentamente, ma prima dovete aprire gli occhi.
Quante cose vediamo, ma è come se non le vedessimo. Vediamo, ma non le osserviamo con l’occhio del poeta o del mistico.
Certo che vediamo le cose, ma le vediamo per ciò che esse rendono, per ciò che servono, per ciò che possono esserci utili, da usare e sfruttare contro la natura stessa delle cose, che hanno un valore interiore che non può essere usato o sfruttato per secondi fini.
In ogni realtà c’è qualcosa di misterioso che solo gli occhi interiori possono vedere.
Pensate ad esempio ai corvi, che erano considerati animali immondi e inutili (Lv 11,15). In più, si diceva, i corvi abbandonano molto presto i loro piccoli nel nido. Per cui è proprio Dio che li nutre. Ecco come vedere al di là delle apparenze: vedere anche nei corvi la provvidenza divina.
Dunque, occorre guardare, scrutando il divino che è nelle cose. Il vero progresso non sta nel consumare più cose, ma nella Civiltà che è la scoperta del dono che è presente in ogni realtà creata.
Don Angelo Casati commenta: «Si tratta di ritornare a incantarsi per l’oltre, per il volto che abita le cose e le fa dono. Ma l’incantamento viene da un indugio, da una capacità di sostare: indugiare sulla soglia delle cose. La fretta è nemica, radicalmente nemica, dell’incantamento. L’ansia non ci lascia guardare il presente. La fretta ci fa predatori. L’incantamento ha bisogno di sosta: “Guardate!”, dice Gesù. “Guardate!”. Un invito importante per i nostri occhi che si sono fatti opachi, opachi per cataratta dello spirito, e di conseguenza incapaci di sorprendere i colori, la bellezza, il mistero che abita le cose».
Nel primo brano della Messa, tolto dal libro del Siracide, troviamo queste bellissime parole: «… il Signore guardò alla terra e la riempì dei suoi beni».
“Non preoccupatevi…”
Ci sono anche imperativi al negativo. Gesù dice: «… non preoccupatevi per la vita, di quello che mangerete; né per il corpo, di quello che indosserete». E poi: «… non state in ansia».
Ecco, anzitutto, una domanda: perché Gesù non solo ci distoglie dall’affanno per l’accumulo o capitale dei beni, ma anche per ciò che sembra necessario, come il cibo e il vestito? Che significa “preoccuparsi”?
Ancora don Angelo Casati chiarisce: «… Mi si fa strada nella mente una distinzione tra “occuparsi” e “pre-occuparsi”. O, se volete, tra occuparsi delle cose, anche le più necessarie, ed essere occupati, cioè subire una occupazione, un’invasione, un dominio. Non hai più la mente sgombra, non hai più l’anima libera. La tua testa è altrove. Sei occupato. Perdi le persone, le cose, gli eventi. Con la testa sei altrove».
In altre parole, possiamo dire che non siamo noi a governare le cose o, meglio, a scoprire in loro il dono divino, ma le cose vengono usate male, e alla fine queste cose occupano la nostra mente, il nostro cuore, la nostra libertà. Restiamo occupati dalle cose che usiamo sfruttandole per fini sbagliati, e così diventiamo schiavi delle cose.
Questo è il pensiero di Gesù: è giusto preoccuparci delle cose, senza però farci occupare dalle cose. La pre-occupazione deve lasciare libera la nostra mente, in modo tale che sappiamo valutare al meglio l’uso delle cose.
Non è vero, dunque, che Gesù ha detto di non preoccuparsi dei beni di questo mondo, soprattutto di ciò che è necessario per la nostra esistenza, ma ci ha messo in guardia dall’abuso dei beni materiali.
Ed è proprio l’abuso delle cose che crea falsi desideri, false attese, e, dunque, una marea di ansie che assillano la nostra vita.
Ma perché volere il troppo, quando basterebbe poco per essere felici? Ma come si fa a capire il limite oltre il quale non andare?
Ciò che manca oggi è la saggezza
Occorre la saggezza, ovvero quella capacità di saper cogliere l’essenziale, per evitare di cadere nel mondo schiavizzante del superfluo.
Perché non capire, anzitutto, che siamo per natura precari? Perché non capire che tutto è provvisorio? Perché non capire che le cose passano?
I Mistici invitavano al taglio, al distacco, ovvero a togliere, togliere, togliere, invece siamo continuamente bombardati dalla necessità di aggiungere, aggiungere, aggiungere.
Ecco dove sta il nostro dramma: nella stoltezza di appesantire corpo e spirito, sotto una marea di cose inutili.
Gli stolti di ieri e di oggi parlano di sacrifici come se fossero qualcosa di negativo, i Mistici invece parlavano di sacrifici come libertà interiore.

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