Omelie 2016 di don Giorgio: SETTIMA DOPO PENTECOSTE

3 luglio 2016: SETTIMA DOPO PENTECOSTE
Gs 24,1-2a.15b-27; 1Ts 1,2-10; Gv 6,59-69
Il primo brano della Messa riporta alcuni versetti dell’ultimo capitolo del Libro di Giosuè, che in realtà non è stato scritto dal successore di Mosè, ma sarebbe nato nell’ambito religioso e letterario, successivo all’epoca dei fatti narrati.
Il credo storico d’Israele
Giosuè aveva ricevuto da Mosè l’incarico di conquistare la Terra promessa, dividendola tra le dodici tribù d’Israele: una conquista che è avvenuta con versamento di sangue e distruzione di popolazioni locali.
Prima di morire, Giosuè convoca in un’assemblea generale i capi tribù e i rappresentanti del popolo, a Sichem, al centro della Terra promessa, per rinnovare l’alleanza con il Signore. Apre la celebrazione, pronunziando un discorso che contiene anche quello che gli studiosi hanno chiamato “il credo storico d’Israele”. La fede d’Israele non si basa su astratte dichiarazioni di fede e tanto meno su un Dio spirituale, ma sulla sua presenza operativa nella storia del popolo eletto: attraverso miracoli, opere prodigiose, vittorie sui nemici, ovvero sulle popolazioni politeiste. Questo è il credo storico d’Israele: una professione di fede nell’agire grandioso di Dio nella storia: quasi un violento gigante che avanza facendo la strada al suo piccolo popolo. Il popolo eletto, a sua volta, dovrà mantenere la parola data nell’Alleanza, ovvero non farsi contaminare dalle popolazioni straniere, evitando contatti con loro e con i loro idoli.
Il brano della Messa si sofferma sull’impegno di Israele a mantenere la parola, attraverso un giuramento, espresso con un dialogo serrato e reiterato, in cui Giosuè chiede al popolo di aderire ufficialmente al Signore e alla sua legge. La parola che esprime l’impegno di Israele è il verbo “servire”, ripetuto all’interno del brano quattordici volte, secondo un numero simbolico di piena perfezione (due volte il numero perfetto sette).
Al termine, viene posta una grande pietra, sotto un terebinto, albero considerato sacro, all’interno del recinto del tempio, che fungerà da documento pubblico commemorativo dell’evento. Sono interessanti le parole di Giosuè a proposito della lapide: «Questa pietra sarà una testimonianza per noi, perché essa ha udito tutte le parole che il Signore ci ha detto; essa servirà quindi da testimonianza per voi, perché non rinneghiate il vostro Dio».
La pietra è presentata come un essere animato che ha udito tutte le parole pronunciate dal popolo. La mentalità antica vedeva in alcuni oggetti la presenza della divinità.
“Scegliete oggi chi servire… “
«Sceglietevi oggi chi servire: se gli dèi che i vostri padri hanno servito oltre il Fiume oppure gli dèi degli Amorrei, nel cui territorio abitate… ». Commenta don Angelo Casati: «Che cosa era successo oltre il fiume e che cosa può succedere oggi attraversato il fiume? Di per sé il Signore non lo si era abbandonato nei giorni oltre il fiume, ma si mescolava il servizio a Dio con il servizio ad altri dei. Che sia questa – mi chiedo – la tentazione permanente, quella che mescola, servire a Dio e vendersi ad altri. Una tentazione cui Giosuè si oppone, parlando di un Dio che non ci sta, non ci sta a questa mescola, a questa coabitazione, perché Dio, dice Giosuè, “è un Dio santo, un Dio geloso”.
Mi sono fermato a pensare, sì, a pensare alla tentazione dei credenti, la tentazione nostra, la tentazione di mettere insieme tutto. Adorare Dio nelle chiese e adorare il potere, il successo, l’immagine nella vita. Proclamarci servitori di Dio e poi servire il denaro, gli interessi, l’ambizione, nella vita. Confessare Dio come l’unico Signore e poi vendere l’anima a una infinità di altri signori, che chiedono ubbidienza e sottomissione da servi, espropriandoci della nostra capacità di pensare e di scegliere, delegando a loro il pensiero e la voce, in un affidamento che richiama quello agli idoli. Sono loro (gli altri signori) che pensano e parlano per tutti, perciò si circondano di una corte di menestrelli, di corifei, di prezzolati. Dovremmo chiederci se non siamo anche noi uomini e donne della mescola e se non tocchi a noi resistere, resistere a questa contaminazione, a questa corruzione oggi dilagante. Dovremmo ringraziare ancora una volta Dio che non ci vuole in condizione servile, ma donne e uomini liberi, ci vuole sospettosi di chiunque intende essere arbitro della nostra dignità di esseri pensanti. Lui geloso della nostra libertà».
Sottoscrivo in toto come mie le riflessioni di don Angelo Casati.
“Volete andarvene anche voi?”
Passiamo al brano del Vangelo. Numerosi discepoli si sono allontanati da Gesù, dicendo: «Questa parola è dura! Chi può ascoltarla?». Allora il Maestro si rivolge ai Dodici, chiedendo loro: «Volete andarvene anche voi?». Commenta di nuovo don Casati: «Dura la Parola che può capovolgere e rovesciare criteri ampiamente codificati praticati ed esaltati non solo nel mondo civile, ma a volte nello stesso mondo ecclesiale o nel nostro mondo interiore. “Dura” definiscono la parola i molti che tornano indietro».
Fenomeno strano e contraddittorio
Una riflessione personale. Oggi assistiamo ad un fenomeno strano: da una parte, sembra che ci sia un ritorno di consenso per la Chiesa cattolica, con questo Papa che ha suscitato fin dall’inizio del suo pontificato un caloroso applauso generale, mentre dall’altra parte le chiese si sono svuotate, i sacramenti screditati, il vangelo de-radicalizzato, la dottrina ecclesiastica ridotta ad una miscela di credenze le più svariate, ecc.
Come possiamo dire che ci sia un ritorno alle origini del cristianesimo, quando in realtà vediamo che si tratta di un cristianesimo “sradicato”, aleatorio, in balìa di un vento che non è certo lo Spirito santo che soffia dentro il nostro essere? Alienati da una società balorda e da una religione idolatra, gli esseri umani non si sentono più tali, ovvero esseri umani, ma schiavi di padroni che cambiano di nome e di volto, ma sono sempre imbonitori-idoli di se stessi. E questo fa paura, tremendamente paura.
Non ci si salva cambiando le strutture della società o le religioni, ma rientrando nel nostro spirito, là dove la parola è silenzio, e l’ascolto è fede pura. Lo Spirito ha i suoi gemiti, che non sono richiami che fanno presa sulla massa, ma sono talmente impercettibili che richiedono tutta l’attenzione del nostro cuore: un cuore sempre in attesa, ovvero teso a farsi catturare dal Mistero divino. Siamo sempre qui: a giocarci la nostra esistenza e il futuro dell’umanità, scommettendo sul mondo interiore o sul mondo esteriore. Mistica o religione? Mistica o Chiesa-struttura? Mistica o politica dell’avere?

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