Candy: chiusura definitiva del sito produttivo entro la fine ’13.

 

 

di don Giorgio De Capitani

La chiusura definitiva del sito produttivo della Bessel (gruppo Candy) a Santa Maria Hoè non può che lasciare costernati non solo i lavoratori che da anni stavano lottando per salvare il loro posto di lavoro, ma anche coloro che hanno a cuore il problema dei lavoratori, soprattutto in questo duro momento di grave crisi economica.
Anche come Chiesa dovremmo sentirci coinvolti. Ma la Comunità pastorale S. Antonio Abate finora non ha fatto minimamente sentire la sua solidarietà. Dall’inizio della sua istituzione, durante le sue periodiche riunioni mai e poi mai si è parlato di lavoro e delle ditte in crisi della zona. I preti non si ponevano nemmeno il problema, e i laici tacevano. Tutti chiusi in una struttura religiosa allucinante!
Ma la colpa della chiusura è anche da attribuire ai sindacati inefficienti. Hanno fatto solo qualche comparsa per salvarsi il culo. E se devo dare una certa responsabilità anche alle amministrazioni comunali, non è certo per lo stupido motivo che hanno addotto i sindacati. Anche la politica locale dovrebbe fare il mea colpa, ma la vicenda Beretta non c’entra proprio nulla, ed è da idioti incolpare le tre amministrazioni (che c’entrano poi quella di Perego e di Santa Maria?), “ritenute colpevoli di aver perso l'occasione di garantire nuovi posti di lavoro con la Beretta. L'area verde di Rovagnate è stata infatti mantenuta agricola all'interno del Pgt, mentre la realizzazione di una nuova unità industriale sul territorio avrebbe potuto, a loro dire, dare una risposta ai lavoratori Bessel in difficoltà”. Queste parole rivelano tutta la stupidità dei sindacati locali, i quali o sono del tutto ignoranti, o sono in mala fede. Nel primo e nel secondo caso, dimostrano il loro totale fallimento sul campo sindacale, e dovrebbero all’istante farsi da parte e dare casomai una mano al traffico stradale.
Quando sento parlare questi sindacalisti in modo così scriteriato, veramente m’incazzo, e se ne avesse uno davanti a me gli darei una pedata nel sedere, e lo manderei chissà dove.
La vicenda Beretta è da prendere con le pinze. Certo, si può valutare l’offerta. Ma nei dovuti modi, e con tutte le cautele del caso, senza possibilmente avere tra i piedi degli stupidi sindacalisti, che non si sono nemmeno posti la questione se la Ditta Beretta aprirà un magazzino-deposito o darà il posto di lavoro a centinaia di operai. E poi, se anche avesse avuto il permesso di realizzare ciò che intendeva, forse che in poco tempo sarebbe stato possibile assumere gli operai della Bessel di Santa Maria?
Smettiamola di buttare fumo negli occhi della gente, soprattutto degli operai che stanno seriamente lottando per trovare una nuova sistemazione di lavoro.  

 

da Merateonline

 Candy: chiusura definitiva del sito produttivo entro la fine ’13.
90 lavoratori verso la mobilità.
I sindacati contro i comuni
Santa Maria Hoè
 

Il sito produttivo della Bessel (gruppo Candy) di Santa Maria Hoè chiuderà definitivamente i battenti entro la fine dell'anno, e per una novantina di dipendenti l'unica prospettiva futura è ora quella della mobilità. Da oltre 2 anni i lavoratori utilizzano gli ammortizzatori sociali a causa della decisione del gruppo industriale di spostare la produzione in Cina e ridurre il personale in Italia, colpita da una grave crisi del settore dell'elettrodomestico. Ma se da una parte è la politica industriale ad aver penalizzato i dipendenti, dall'altra i sindacati puntano il dito contro le amministrazioni dei comuni della Valletta (Rovagnate, Perego, Santa Maria Hoè), ritenute colpevoli di aver perso l'occasione di garantire nuovi posti di lavoro con la Beretta. L'area verde di Rovagnate è stata infatti mantenuta agricola all'interno del Pgt, mentre la realizzazione di una nuova unità industriale sul territorio avrebbe potuto, a loro dire, dare una risposta ai lavoratori Bessel in difficoltà. Il confronto con il gruppo industriale, che conta 143 lavoratori in forze a Santa Maria e 300 a Brugherio, è attivo a livello sindacale da anni.

La protesta dei lavoratori era esplosa nel maggio 2011 con un corteo in Via Papa Giovanni e la rotatoria lungo Via Como per manifestare contro la delocalizzazione della produzione in Cina. Nei mesi successivi si era giunti ad un accordo che aveva permesso la continuazione dell'attività con l'attivazione della cassa integrazione straordinaria per alcuni lavoratori, di un contratto di solidarietà per altri e di uno "spostamento" di parte dei dipendenti lecchesi sul sito di Brugherio. A luglio di quest'anno è arrivata un'altra "doccia fredda" con l'annuncio da parte dell'azienda di 260 esuberi su 450 lavoratori totali. Da allora la trattativa tra proprietà industriale e sindacati, svolta presso il Ministero del Lavoro e dello Sviluppo economico, è continuata con l'obiettivo di garantire la continuità lavorativa per tutti. Un risultato purtroppo disatteso, e ora per 90 lavoratori di Santa Maria Hoè si prospetta la fine del rapporto di lavoro. "L'azienda aveva garantito il riassorbimento a Brugherio di 60 persone. Una decina sono già state spostate, altre 50 arriveranno dalla Bessel" ha spiegato Luigi Panzeri, Fiom Cgil. "Sono in 143, questo significa che 90 di loro andranno incontro alla mobilità".

Attualmente 61 di questi lavoratori sono in contratto di solidarietà dal 1° gennaio 2012, che scadrà il 31 dicembre 2013. Altri 82 sono in cassa integrazione straordinaria, in scadenza a fine anno. "Siamo contrari a una politica di questo genere, che garantisce la continuità lavorativa ad alcuni dipendenti e ne lascia a casa altri" ha spiegato Panzeri. "A Brugherio alcuni sono stati riassorbiti, ma a Santa Maria Hoè ci sono persone che hanno dato la vita per questa azienda, e ora si trovano a piedi. Si tratta anche di uomini e donne di mezza età, che difficilmente arriveranno alla pensione. Questo mentre in Cina è stato aperto un sito produttivo con 1000 addetti, e qui amministrazioni locali non hanno permesso ad una nuova realtà di offrire occupazione sul territorio. Alla fine dell'anno la cassa integrazione sarà prorogata di 6 mesi, rinnovabile un altro anno se sarà garantito un recupero in termini di forza lavoro". Nel frattempo lo stabilimento di Santa Maria Hoè chiuderà definitivamente i battenti entro la fine del 2013.

 

15 Commenti

  1. Pietro ha detto:

    Quando manca totalmente una politica programmatica sul piano industriale, del coordinamento tra mondo della FORMAZIONE e quello del LAVORO, si creano intasamenti incongruenti e deleteri per l’intera economia.
    In Italia ci sono più avvovati, ingegneri, dottori in ogni settore, di quelle che sono le effettive richieste del mercato del lavoro. Altrimenti non si spiegherebbe come mai molti ragazzi laureati facciano i fattorini, i lavapiatti, i camerieri, i raccoglitori in campagna.
    Non occorre una laurea per lavorare in una pizzeria!
    RISORSE SPRECATE.
    Non consideriamo il problema dell’ANALFABETISMO DI RITORNO.
    Una politica corretta pare finalmente concretizzarsi con le facoltà a numero chiuso, ove le selezioni avvengono prima dell’ingresso nei corsi di laurea.

    Inoltre, nel mondo della FORMAZIONE manca del tutto un vero esercizio sul campo dove imparare praticamente “il mestiere”.
    Una volta si praticava l’affiancamento tra neo-assunto ed addetto esperto. Perchè non è più così diffuso?
    Motivi economici? Intervengano il Governo, la Regione, la Provincia, anche sui regolamenti.
    C’è una miriade di istituti privati che promettono mari e monti sul piano della formazione, ma offrono servizi scadenti e discutibili, in cambio di un vero e proprio salasso economico per le famiglie!
    LA VERA RORMAZIONE PROFESSIONALE SI OTTIENE SUL CAMPO, PREPARANDO I “QUADRI” PER UN EFFETTIVO ED EFFICACE TURN-OVER.

  2. Nicola Alberta - Fim-Cisl ha detto:

    Sono della Fim, il sindacato dei metalmeccanici della Cisl.
    Continuiamo da anni a condurre la battaglia per tutelare l’occupazione.
    I sindacati non sono stupidi nè passivi.
    Facciamo sindacato con la forza e le idee delle lavoratrici e dei lavoratori, e ci confrontiamo con la crisi e la delocalizzazione del settore dell’elettrodomestico.
    Per difendere l’occupazione non servono le parole, ma occorrono proposte e idee concrete e realizzabili, tra queste i contratti di solidarietà, che la Cisl propone fin dal 1984.
    Occorrono anche politiche industriali di sostegno, che ancora mancano, e un’attenzione delle istituzioni locali per progettare lo sviluppo equilibrato del territorio.
    Il sindacato da solo non ce la può fare, la politica non ci sta aiutando.
    E’ una battaglia difficile, impari, che continua giorno per giorno, ed è fondamentale il sostegno della gente.

    • Andrea ha detto:

      Voi sindacalisti avete distrutto il sistema produttivo italiano con le vostre battaglie demagogiche ed ora è quasi impossibile fare qualcosa.
      Dovevate imparare dai sindacati tedeschi che aiutavano le aziende ad aumentare la loro efficienza e produttività e a fine anno chiedevano ai datori di lavoro una parte degli utili. E li ottenevano. Ed ora gli operai tedeschi guadagnano più degli italiani.
      Voi sindacalisti eravate, e in parte lo siete ancora, contro il capitale “a prescindere” e i lavoratori italiani l’hanno preso in quel posto grazie a voi. Quando imparerete la lezione?

  3. Paolo ha detto:

    Ha pienamente ragione Enrico. Ora però bisogna fare qualcosa: innanzi tutto impedire la speculazione: l’area è industriale e tale deve restaqre. Se il signor Beretta vuole aprire una fabbrica, che la faccia lì. Oppure i Comuni si diano da fare per richiamare qualche iniziativa imprenditoriale concreta, magari sostenibile. Una fabbrica di biciclette, di fotovoltaici o di solare termico, il ricondizionamento di computer oppure qualcos’altro di veramente utile, non il solito centro commerciale!

  4. Giuseppe ha detto:

    Purtroppo si tratta di una situazione che coinvolge diverse aziende. C‘è pure chi tornando dalle ferie “obbligatorie” ha trovate le fabbriche chiuse e vuote, perché nel frattempo “l’imprenditore” di turno aveva trasferito tutto altrove. Ho l’impressione che gran parte dei sindacalisti oggi siano più dediti a “far politica” nelle sedi che contano, piuttosto che a tutelare i lavoratori nelle aziende e nelle fabbriche.

  5. Andrea ha detto:

    Finalmente cesserà, come dice lo striscione in fotografia, lo sfruttamento dei lavoratori. Niente industrie, niente sfruttamento, per la gioia dei sindacalisti nostrani che capiscono tutto dei problemi dei lavoratori. Io a calci nel culo prenderei quei cinque coglioni (una forse è una donna) che reggono lo striscione. Ognuno si improvviserà agricoltore e mangerà solo le patate che riuscirà a coltivare.

    • giovanni non padano ha detto:

      Vuoi forse negare che i lavoratori,specialmente i più giovani,sono sfruttati e sottopagati?

      • Andrea ha detto:

        Cosa cazzo vuol dire sfruttati? Hanno un lavoro e ricevono un salario. Forse questo salario non è molto ma è sempre meglio di niente!

        • giovanni non padano ha detto:

          In nome del “sempre meno di niente” non si può continuamente calare le braghe,due euro e cinquanta all’ora per fare la cassiera al supermercato alla domenica è uno sfruttamento del cazzo!
          Il tuo commento ci propone una corsa al ribasso, un abbassamento di stipendio e una rinuncia ai diritti.Il confronto si fa con chi sta meglio non con chi sta peggio e soprattutto non ci si “abbassa” a lavorare ma si lavora con la testa alta e la schiena dritta.
          I tuoi sono discorsi da bar tipici degli artigianelli e industrialetti brianzoli il cui sogno è una società ignorante dove i furbi si fanno i loro porci comodi, ecco perchè vi danno fastidio gli studenti.

          • Andrea ha detto:

            Senti Giovanni non padano,
            mio nonno faceva il boscaiolo in Germania e veniva a casa una volta l’anno. Ha allevato in modo dignitoso tre figli. Mio padre ha cominciato come “garzone” in una drogheria (allora si diceva così) per finire operaio alla Innocenti ed ha allevato me e mio fratello facendoci studiare.
            Ha sempre tenuto la testa alta ma ha sempre accettato di lavorare dove capitava facendosi apprezzare per la sua serietà’ ed impegno.
            Con la dignità di vive, mi diceva, ma con l’arroganza e la presunzione si fa la fame.
            Lascia stare gli industriali brianzoli di cui non conosco la razza!

      • Andrea ha detto:

        Non ti sei mai chiesto perché ormai oltre un milione di extracomunitari lavorano in Italia (e io aggiungo che lavorano sodo) e si meritano la posizione che si sono fatti?
        Semplice, perché si sono rimboccati le maniche senza fare alcun casino.
        Parla con molti datori di lavoro. Dicono che questi extracomunitari lavorano meglio degli italiani. Gli italiani sono disoccupati per il semplice motivo che non si sono “abbassati” a lavorare. Quale impiego credi che possa ottenere un laureato in “Scienze della Comunicazione” che non sa assemblare un armadietto dell’IKEA?

  6. Pietro ha detto:

    Caro don Giorgio,
    dove sono finiti i cortei di protesta civile composti da un milione di metalmeccanici organizzati dal neo-borghese Fausto Bertinotti? Dove va il sindacato?
    Non fosse per la voce isolata di Landini della FIOM, avremmo perduto il senso e la dimensione della funzione sindacale che rappresenta sempre e comunque la CONTROPARTE.
    Invece, i sindacalisti nicchiano in attesa di qualche incarico politico che li sistemi per carriera ed economicamente. Sono stato sindacalista e ne ho visti parecchi di questi tipi, spesso politicamente improvvisati.
    Dovrei pensare cose peggiori?
    Cosa c’è dietro ? I tentacoli arrivano dappertutto!
    Vogliamo mandare l’Italia allo sfascio più totale?
    Mens sana in corpore sano! Ma senza fare del vano vittimismo, c’è da auspicare che la solidarietà tra le varie categorie di lavoratori può dare frutti insperati.
    In passato, la vertenza-scuola per gli aumenti stipendiali dei docenti non c’era verso di snodarla, sino a quando scesero in campo i metalmeccanici che, minacciando lo sciopero, sbloccarono la trattativa.
    La capacità contrattuale deve ritrovare, specie nelle organizzazioni sindacali confederali, questa unità, per poter incidere in maniera significativa sulle scelte di un governo che ha tutto ancora da dimostrare.

  7. Giuseppe ha detto:

    Purtroppo si tratta di una situazione ‘è pure chi tornando dalle ferie “obbligatorie” ha trovate le fabbriche chiuse e vuote, perché nel frattempo “l’imprenditore” di turno aveva trasferito tutto altrove. Ho l’impressione che gran parte dei sindacalisti oggi siano più dediti a “far politica” nelle sedi che contano, piuttosto che a tutelare i lavoratori nelle aziende e nelle fabbriche.

  8. enrico ha detto:

    Condivido pienamente la valutazione di Don Giorgio,ma l?Italia,il governo,i sindacati dov’erano quando la Candy ed altre centinaia di aziende con il mito della delocalizzazione hanno deciso di regalare 40 di tecnologia ed esperienza ai cinesi?Certamente non lo hanno fatto gratuitamente,ed ora che pagano sono gli operai con le loro famiglie.Le aziende dicono che in Italia non c’e’ piu’ mercato ,per forza a furia di delocalizzare e licenziando dipendenti sono venuti a mancare gli aquirenti dei loro stessi prodotti.

  9. GIANNI ha detto:

    E questo, ahimè, dimostra come i problemi attuali non possano essere risolti dalle politiche sinora seguite.
    Anche le vicende di questi giorni lo dimostrano.
    Mentre assistiamo inermi a nuovi tentativi di sbarchi che sfociano in immani tragedie, un altro tipo di tragedia segna l’ennesimo segnale d una crisi economica ormai brutale.
    Proprio in questi giorni entra in crisi il governo Letta.
    Secondo me, anche perchè nessuno voleva intestarsi la responsabilità di un incremento delle tasse, e questo, a sua volta, dimsstra una cosa.
    LA coperta è troppo corta, i conti pubblici non si sa più come coprirli, e via di questo passo.
    Se non torniamo, come io penso da tempo, ad un potere di stati sovrani di batter moneta, tutto rimene nella precarietà.
    Qualcuno obietta che battendo moneta si crea inflazione, ma non è necessariamente vero.
    Infatti, se grazie a quel denaro cresce la produzione di beni e servizi realizzati nel nostro paese, allora la moneta continua a mantenere il proprio valore.
    E quel denaro in più potrebbe servire non solo per sistemare i disastrati conti pubblici, ma anche per destinare risorse finanziarie allo sviluppo economico, ad esempio tramite finanziamenti a fondo perduto alle aziende che salvaguardano l’occupazione lavorativa, ma certo, finchè ci si limita ad arrabattarsi per non metter IVA ed IMU, peralro neppure riuscendovi, non è che andremo molto lontano…

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