Omelie 2015 di don Giorgio: Domenica dopo l’Ottava del Natale

4 gennaio 2015: Domenica dopo l’Ottava del Natale
Sir 24,1-12; Rm 8,3b-9a; Lc 4,14-22
I testi della Messa meriterebbero, ciascuno, una approfondita riflessione. Ma il tempo dell’omelia è quello che è: i pochi minuti a disposizione non ci permettono di soffermarci troppo a lungo. D’altronde, l’omelia non è solo una esegesi dei testi biblici. Cercherò di dire qualcosa sul primo e sul terzo brano: ho già avuto modo, e avremo qualche altra opportunità, di soffermarmi sul brano di san Paolo, dove si parla del rapporto tra Legge e peccato, tra Spirito e vita.
Il primo brano, che sono i primi dodici versetti del capitolo 24 del Siracide, è un capolavoro di poesia e di teologia. Non possiamo non farci incantare dalla bellezza del testo, ma nello stesso tempo dobbiamo cogliere quel significato profondo che tocca il divino.
Si parla di Sapienza, con la S iniziale maiuscola. È lei che parla. Ho detto ”lei”, non “essa”. La Sapienza non è una cosa, ma una persona. Ma non ci troviamo davanti a una bella favola, dove anche gli animali parlano. Sappiamo che in realtà gli animali, pur avendo un loro modo di comunicare, non parlano con il linguaggio umano. La Sapienza prende la parola: una parola che va oltre la parola umana; una parola che è la voce che proviene dall’inizio dei tempi.
Ho detto “lei”. Ma non è solo una persona astratta: la Sapienza si presenta come una donna. Interessante, per non dire sconvolgente! Una donna che si permette di auto-elogiarsi: canta se stessa. Lo può fare, perché si tratta di una donna del tutto eccezionale. È vicinissima a Dio, tanto da essere creata prima del tempo. La Sapienza, in altre parole, è lo stesso pensiero di Dio, il suo disegno, il suo progetto. Un pensiero, un disegno, un progetto che è sempre rimasto nascosto, un mistero (parola che indica, appunto, qualcosa di celato, di racchiuso), ma, successivamente, questo pensiero è diventato sapienza, ovvero una realtà aperta, manifesta, chiara (il termine sapienza vuol dire, appunto, qualcosa di terso, di luminoso, di evidente). In effetti, il pensiero-progetto di Dio si è rivelato palesemente, quando ha creato l’universo, con l’uomo al centro. Non solo: il pensiero-progetto divino si è di-svelato anche nelle vicende della storia umana, ma soprattutto in quelle di un popolo particolare, quello scelto da Dio, il popolo d’Israele: vicende queste che costituiscono ”la storia della salvezza”. In sintesi, possiamo dire che la creazione tutta quanta e la storia umana, segnatamente quella d’Israele, sono il libro aperto in cui si può leggere la Sapienza di Dio. Lì c’è da scoprire il progetto del Signore.
Non può non attirare la nostra attenzione, al di là della bellezza poetica delle parole, quando si dice che la Sapienza ha passeggiato, in lungo e in largo, in superficie e in profondità, su tutta la terra e presso ogni nazione. Questo che cosa può significare? Vuol dire che luci di quella Sapienza non possono essersi del tutto spente, ma che si trovano tuttora nelle viscere di tutta la terra e sono presenti nella storia di tutti i popoli. Non è vero, dunque, che tutto è male, che non c’è possibilità di risalire la china, che siamo nelle mani di forze tenebrose. Purtroppo a noi manca la volontà di scendere in profondità, nel cuore della terra, per scoprire le energie migliori, là dove la Sapienza ha lasciato i segni della sua presenza.
Possiamo chiederci giustamente: come mai la Liturgia della Chiesa ha scelto questo brano del Siracide per il periodo natalizio? Credo che non ci voglia molta fantasia per collegare l’ordine del Creatore alla Sapienza: «Fissa la tenda in Giacobbe e prendi eredità in Israele», alla espressione simile che troviamo nel Prologo di Giovanni: «E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi”. Il Verbo richiama la Parola di Dio, che si è personificata nella Sapienza, e il testo originale greco dice: “pose la sua tenda in mezzo a noi”. L’espressione “porre la tenda” fa pensare a qualcosa di mobile, e non di fisso, come invece può far pensare quando si prende casa. Del resto, sappiamo che, nel suo ministero pubblico, Cristo non aveva di suo neppure un sasso su cui appoggiare il capo per riposare durante la notte.
Tuttora lo Spirito di Cristo gira in lungo e in largo per il mondo intero, forse per aiutarci a riscoprire i segni lasciati dalla Sapienza divina.
Veniamo al Vangelo di oggi. Il brano è noto. La Liturgia natalizia, con un volo pindarico, anticipa un episodio che sta all’inizio della vita pubblica di Cristo. Dopo le tentazioni, a cui fu sottoposto nel deserto, Gesù torna in Galilea, precisamente a Nazaret, il piccolo borgo, dove aveva vissuto gli anni della sua fanciullezza e giovinezza. È un giorno di sabato, giorno sacro per un ebreo, come per noi cristiani la domenica. Secondo l’usanza della religione giudaica, ci si recava nella vicina sinagoga, e qui si leggevano brani delle Sacre Scritture. C’era la possibilità che qualcuno tra i presenti potesse alzarsi e andare a leggere un brano, commentandolo. Cosi fa Gesù, quel sabato. Non sceglie a caso, ma di proposito  legge un passo del profeta Isaia, là dove si annuncia la liberazione definitiva: tutti, in particolare i poveri e gli oppressi, saranno restituiti finalmente alla libertà. Ma ciò che lascia il pubblico nello stupore è il commento lapidario di Gesù: «Oggi, si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato». Tutto sta in quell’avverbio temporale, così breve: “Oggi”. Come a dire: è finito il tempo degli annunci. L’annuncio della liberazione diventa un fatto. Per tanti secoli i profeti avevano detto: “arriverà un tempo in cui…”. Gesù dice semplicemente: “oggi” quel tempo si è realizzato. In altre parole, Gesù dice: Io sono l’oggi! Il passato è passato. Sono qui per realizzare i vostri sogni. Il sogno diventa realtà.
Gli esegeti concordano nel dire che la pagina di Luca contiene il programma di Gesù. Parlano di un discorso programmatico, anche se è una citazione del profeta Isaia. Gesù la fa propria. Ma c’è una differenza con i discorsi programmatici dei nostri politici. Gesù non lancia un programma elettorale. Gesù stesso si identifica con la profezia di Isaia, e la rende così attuale che dice: “Oggi si è adempiuta in me”. Anche Gesù si è trovato una squadra di collaboratori, i più sgangherati, senza voler offendere gli apostoli. Collaboratori raccolti un po’ dovunque, con culture completamente diverse. Ma lui, Cristo, solo lui è rimasto il vero leader, l’unico maestro, il rabbì per eccellenza. Cristo non si è accontentato di avere attorno un gruppo di seguaci, che gli obbedissero in tutto. Non ha voluto circondarsi di fanatici, pronti a tutto pur di seguirlo. Li ha continuamente ammaestrati, ma nell’arte di comunicare quella lieta novella che ha solo un nome: liberazione. I poveri, i prigionieri, i ciechi, gli oppressi di cui parla il profeta Isaia diventano ogni singolo essere umano, in balìa di forze cieche e perverse.
Le parole di Cristo potevano sembrare di grande sollievo per l’assemblea presente nella sinagoga. E così è stato sul momento. Il brano di oggi termina con la meraviglia generale. Ma Luca sembra cadere in una grande contraddizione. Prima scrive che “tutti” sono rimasti meravigliati. Poco dopo, nei versetti che seguono il brano di oggi, l’evangelista scrive: “tutti nella sinagoga si riempirono di sdegno”, arrivando al punto di voler prendere Gesù e di buttarlo giù nel precipizio.
Perché questo improvviso passaggio dalla meraviglia allo sdegno? Gesù non si era limitato a dire: Oggi vi libero tutti, voi compaesani, e poi, ciao e arrivederci. Aveva fatto capire che lui non era un mago, dai miracoli facili e a buon mercato. E tanto meno avrebbe iniziato a distribuire favori a quelli del suo paese. Lui era venuto per allargare i confini delle teste chiuse, per fare di ogni paese parte dell’umanità intera. Basta razzismi, basta campanilismi, basta visuali localistiche, basta con frasi come: questo è mio, questo è tuo.
Il messaggio programmatico di Cristo è inclusivo, non esclusivo. Tutti, veramente tutti, sono partecipi della sua liberazione. Una liberazione che fa parte dell’«anno di grazia del Signore». Dunque, una liberazione che parte dalla gratuità di Dio, e da qui la missione gratuita di ogni collaboratore di Cristo.
Come intendere l’”anno di grazia del Signore”? Grazia significa gratuità. Chi parla oggi di gratuità? Chi vive di gratuità? Non deve essere la gratuità la qualità caratteristica del credente?

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