Omelie 2018 di don Giorgio: TERZA DI QUARESIMA

4 marzo 2018: TERZA DI QUARESIMA
Es 32,7-13b; 1Ts 2,20-3,8; Gv 8,31-59
Idolatria, il vero peccato della religione e della società
Il primo brano della Messa di questa terza domenica di Quaresima richiederebbe non solo tutto il tempo dell’omelia, ma dieci minuti non basterebbero neppure per fare una brevissima premessa.
Comunque, l’idolatria, simboleggiata plasticamente dal vitello di metallo fuso, non è una novità tra i temi che solitamente tratto nei miei scritti, nei miei video e nelle mie omelie festive, e neppure è un argomento che metto sul gradino più basso della scaletta gerarchica delle mie preoccupazioni, nei riguardi di una Chiesa, talora specchio di se stessa, e di una società, schiava di idoli mai sazi di farsi adorare, nelle facili promesse di una felicità a buon mercato.
Una cosa, tuttavia, vorrei ricordare, prima di passare al Vangelo di oggi. Tutti gli antichi profeti hanno condannato duramente l’idolatria come il più grave peccato nei riguardi di Dio.
L’idolatria veniva chiamata prostituzione, adulterio, tradimento dell’Alleanza.
Il popolo, invece che amare Jahvè, nella sua realtà divina, lo tradiva adorando un oggetto, simbolo della divinità divina,  dimenticando che la vera immagine di Dio è lo stesso essere umano.
Quando allora c’è idolatria? Quando si prende come cosa l’Essere purissimo di Dio e l’essere umano nella sua realtà interiore.
Con l’idolatria il rapporto non è più tra due realtà “spirituali”, ma tra due oggetti, e la conseguenza è tra le più tragiche della storia umana: cosa richiama cosa, e tutto è un intreccio di cose che materializzano sentimenti e valori.
Complice di questa idolatria è anzitutto la religione di sempre, che si rende vittima della sua struttura, la quale, in quanto struttura essendo qualcosa di materiale, esige una giustificazione di carattere materialistico.
L’essere: tra libertà, verità e… menzogna
Passiamo al brano del Vangelo di Giovanni. Quando Cristo affrontava argomenti teologici e mistici, non guardava in faccia a nessuno, men che meno attenuava le sue parole, per rispetto della religione ebraica. Ebreo, educato fin dalla fanciullezza alla spiritualità giudaica, nei suoi usi, costumi e tradizioni, si sentiva anzitutto il Figlio di quel Dio che il suo popolo aveva tradito nella sua Essenza divina, come Spirito di verità e di libertà.
Leggendo i quattro Vangeli, abbiamo questa netta sensazione: che Cristo ce l’avesse proprio con i capi religiosi. Sì, è stato duro anche con il potere politico, ma a condannarlo è stato il Sinedrio, per la semplice ragione che Gesù aveva contestato fin nelle radici sia la Legge che il Tempio, i due pilastri della religione ebraica, e lo aveva fatto per difendere la dignità dell’essere umano. «Prima l’essere umano, e poi la legge! E la legge è sempre al servizio dell’essere umano, inteso anzitutto nella sua realtà interiore».
Dunque, Cristo ha ribaltato dalle fondamenta la religione, quella ebraica, ma anche ogni altra religione, quando cade nello stesso perficolo.
Quando leggiamo i Vangeli, dobbiamo stare attenti: Cristo ha messo in crisi un mondo religioso ipocrita e falso, quello di una religione secolare, che era riuscita a mettere sulla realtà divina tutta una serie di veli sovrapposti, tali da coprire il vero volto di quel Dio che, rivelandosi a Mosè, aveva fatto intuire che Lui è l’Essere, proibendo così ogni immagine (idolo) per scoraggiare gli ebrei a confondere le raffigurazioni come se fossero Realtà.
Questo è il contesto per comprendere il brano del Vangelo di Giovanni, capitolo ottavo, versetti dal 31 al 59.
È un brano durissimo, che arriva allo scontro, non solo verbale ma anche fisico, con il tentativo di lapidazione. Ma stavolta a volerlo lapidare non sono gli scribi e i farisei, ovvero i capi della religione ebraica, ma “quei Giudei, specifica Giovanni, che avevano creduto in lui”. Dunque, simpatizzanti di Cristo!
Già questo fa capire che ad essere interpellati sono anzitutto i credenti di ogni epoca.
Prima la verità, poi la libertà
Cristo parla di libertà e di verità. Chiarisce subito: la libertà dipende dalla verità, e non viceversa. Con tutte le conseguenze che potete immaginare, nel campo sia politico che religioso. Non sto qui a elencarle.
Vorrei soffermarmi su un aspetto particolare della dialettica di Cristo. Quando il clima era sereno, Gesù sapeva parlare alto, vedi il dialogo con Nicodemo e con la Samaritana, o quando si rivolgeva alle folle con le parabole o agli stessi discepoli (basterebbe ricordare il lungo discorso dell’addio). Ma quando il contesto si faceva teso, a causa delle provocazioni a cui era soggetto, allora Gesù cambiava tattica: usava un metodo più diretto, contestando cioè le affermazioni dei suoi interlocutori, arrivando anche a deriderli.
Cristo, non poteva certo parlare di libertà a gente menzognera. Ecco perché il discorso si è soffermato sulla menzogna. Chi è nella menzogna, è chiuso ad ogni discorso sulla libertà.
Cristo ha preferito contestare i suoi avversari con argomentazioni molto dirette, denigrandoli per la loro cocciutaggine e la loro ottusità mentale. Lo so che ciò non bastava, ma forse a Cristo non interessava convincere quelle persone, ma denudare il loro peccato: quella ipocrisia che copre la verità con la menzogna.
Ho detto “menzogna”: non si tratta di singole menzogne, ma della “menzogna”, che è quella ideologia perversa che cerca di trascinare tutti nelle proprie braccia.
La “menzogna” non è un peccato da confessare al prete, ma da denudare alla fonte.
Noi cattolici, purtroppo, siamo stati educati male: ad essere misericordiosi, buoni, caritatevoli, rispettosi, e così temiamo di offendere le persone, lasciandole di conseguenza in un sistema balordo, che fa morire milioni e milioni di esseri umani. Nel loro essere umano.
Questa specie di falsa carità è una maniera ipocrita, per salvare la propria ipocrisia.
Certi falsi rispetti umani hanno permesso crimini umanitari.

 

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