Come mai oggi me la prendo tanto per Perego, quando sono rimasto “assente” per più di cinquant’anni?

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Come mai oggi me la prendo tanto per Perego,

quando sono rimasto “assente”

per più di cinquant’anni?

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di don Giorgio De Capitani
Qualche “pereghino”, nella solita maniera di non mostrare il proprio viso, mi ha accusato di essere stato “assente” in tutti gli anni in cui Perego è stato distrutto dal punto di vista amministrativo. Non entro nel campo religioso, perché questo sarebbe un altro capitolo, non certo meno complesso, in cui, però, lo vedremo, ci sono state interferenze, non certo da parte dei pastori, a cui stava a cuore soprattutto l’anima delle proprie pecorelle.
Che cosa rispondere? Che effettivamente sono stato “assente” e che ora di colpo mi son preso a cuore Perego, dopo averlo abbandonato alle proprie sorti?
È vero: sono stato “assente”, ed ora me ne preoccupo. Ma non mi sento in colpa, e lo spiego.
Sono nato a Rovagnate, nel 1938. Figlio di onesti operai, che non ebbero mai la fortuna di avere una casa propria. Nel 1947, fummo costretti a uscire di casa: era di proprietà di Angelo Villa, che aveva una propria impresa edile (tra l’altro, costruì negli anni ‘40 la chiesa di Monte). Un mio zio, anche per sdebitarsi di tanti favori ricevuti, dopo averla acquistata, ci dette la possibilità di prendere dimora nella ex Villa Scuri, a Perego. E qui rimanemmo, fino a quando lo stesso zio, chissà per quali motivi, ci fece lo scherzo di vendere la Villa senza avvisarci, e così di nuovo restammo sulla strada. Ma il parroco don Giovanni ci venne in soccorso, offrendoci in affitto alcuni locali del Palazzo parrocchiale. E qui rimanemmo fino alla mia ordinazione sacerdotale, del 1963. Con papà e mamma (le frattempo le due sorelle si erano sposate) andai a Introbio, per la mia prima destinazione pastorale. Qui rimasi fino all’inizio del 1966. Nel mese di marzo venni destinato a Cambiago. La storia prosegue: potete leggerla nell’ultimo libro che ho appena scritto: “Da Introbio fino a Monte di Rovagnate”. Se qualcuno non avesse 5 euro per acquistarlo, può leggerlo in pdf, sul mio sito.
Le diverse esperienze fuori Brianza mi sono servite ad aprire la testa, e ad acquisire di volta in volta esperienze arricchenti.
Ho sempre seguito un principio, a cui non ho mai rinunciato: darmi anima e corpo sul posto di lavoro, e per me il lavoro era di volta in volta le varie esperienze pastorali. Non ho mai evaso, per nessun motivo. Sì, pensavo talora anche ai miei luoghi di origine, ma, soprattutto negli anni in cui ero a Sesto San Giovanni, dove lo smog sostituiva la fitta nebbia della Val Padana, sognavo di potere – almeno per qualche mezza giornata – respirare l’aria buona della Brianza, e gustarne la natura. Ma il mio dovere mi legava alla mia città.
Sì, per me era sacro anzitutto il luogo dove risiedevo, perché lì, solo lì, era la mia “casa”. In toto. E poi non mi si era mai offerto alcun pretesto per tornare a Perego: non avevo più nessun parente, e, tra l’altro, non ricevevo inviti, forse perché sapevano della mia inflessibile ”inamovenza”.  
E se, in tutti quegli anni del mio ministero pastorale, fosse capitato che qualcuno avesse tentato di dar fuoco all’intero paese di Perego, che cosa avrei fatto? Probabilmente, avrei continuato a fare il mio lavoro, là dove in quel momento ero di casa.
Ma… quando, sotto la guida del cardinale Carlo Maria Martini, risiedei per qualche anno presso una casa privata, a Bernaga Bassa, allora le cose cambiarono. Mi presi a cuore anche i problemi di quella piccolissima comunità. Mi ricordo, tra l’altro, di aver promosso una raccolta firme per ottenere un miglior servizio per l’acqua nella frazione. Cercai, proprio sul territorio di Perego, di realizzare qualche mio sogno: aprire ad esempio presso la Villa di proprietà, prima di monsignor Longoni, e attualmente di Tombini, un Centro particolare per i bisognosi di cure psichiatriche, e, in Val Curone, anche un Centro per il recupero dei tossicodipendenti. Per queste due vicende, che abortirono per tutta una serie di cause e concause veramente allucinanti, vi invito di nuovo a leggere il mio libro già citato.  
Ed è stato in quel momento che venni a conoscenza di quanto succedeva a Perego. Qui, riprendo alcune righe del libro, pag. 81-82:
«All‟inizio del 1986, don Giovanni Premoli lasciava la parrocchia di Perego. Senza dilungarmi troppo, faccio solo alcune riflessioni del tutto personali su questo parroco, che ancora oggi tutti ricordano, nonostante avesse avuto, più che difetti, non pochi “eccessi” di zelo. Non penso di aver conosciuto nella mia vita un altro parroco “zelante” come don Giovanni! Quando risiedevo a Bernaga, ogni giorno, prima dell’alba, scendevo in canonica a recitare insieme il Breviario. Da solo non ce la faceva: si appisolava facilmente. Finita la preghiera, lo lasciavo sfogare. Aveva sempre mille cose da dirmi, anche se alla fine il discorso tornava al solito punto: i soliti due “individui”, ora l’uno ora l’altro, gli rendevano difficile la vita, ed egli ne soffriva da morire. E loro, i due “individui”, quasi si divertivano! In ogni caso, don Giovanni dalla sua aveva tante buone ragioni. Ma, nello stesso tempo, cercavo di convincerlo a pensare al suo futuro. Forse era giunto il momento di lasciare. Mi diceva di sì, ma poi non si decideva. Contemporaneamente, premevo sui superiori perché scegliessero la persona “giusta”, come successore. Mi rimproveravano: “Tu sei sempre il solito! Non ti fidi mai di noi!”. Già! Come fidarsi, dopo tante ‘stecche’ che ho potuto io stesso constatare?
Finalmente don Giovanni si decide a lasciare. Non gli è stato facile, dopo trent’anni di permanenza a Perego!
I superiori mi chiedono la disponibilità, durante l’emergenza, di prendere in mano la parrocchia. Accetto. Ricordo ancora quei pochi mesi: mi sentivo di nuovo pastoralmente utile. La gente, nel frattempo, nutriva qualche illusione: che io fossi nominato parroco. Ma non era ancora giunto il momento di prendere in mano una comunità».
Ecco, uno dei due “individui” era proprio il nostro “caro” maestro Giorgio dall’Angelo. Un maestro che approfittava degli strumenti della scuola dove insegnava per ciclostilare un giornaluncolo (non era “Caffècorretto”!), di odore ideologico-politico, fatto distribuire di casa in casa, dagli stessi alunni. Dico ciò che ho constatato con i miei occhi, e non per sentito dire. Su questo giornaluncolo appariva di tutto, e si contestava, spesso e volentieri, l’operato di don Giovanni, mettendolo in ridicolo, vergognosamente, senza alcun rispetto per la persona.
Lo si sapeva: Giorgio Dall’Angelo, appena aveva a che fare con un debole, ci prendeva gusto, soprattutto se era un prete. Forse per una innata vocazione, voleva lui stesso fare il prete, e l’ha fatto come maestro e poi come sindaco. Che cos’erano le settimane residenziali al mare, quasi un’alternativa all’oratorio feriale? Si diceva miscredente o qualcosa di simile, e poi ogni anno organizzava in paese il Presepe vivente, occupando per le prove ore e ore di scuola, magari intere giornate.
Quando nel 1996 il cardinale Martini mi inviò a Monte, pur essendo vicino al mio Paese di Perego (a qualche chilometro di distanza), dove continuai a mantenere la residenza civica, mi presi subito a cuore la mia nuova piccola comunità, ignorando “quasi” Perego, riservandomi però il mio dovere-diritto di elettore
Ho detto “quasi”, in realtà forse sono stato il primo a suscitare scalpore attorno al Piano edilizio “Gloria”, che prevedeva (e prevede) un gruppo di villette o di condomini sul terreno sovrastante le scuole e il palazzo comunale. Avevo tra l’altro interpellato un geologo, il quale, conoscendo bene il territorio della collina, mi aveva espresso forti perplessità per eventuali costruzioni di notevoli dimensioni sul terreno sopra il Comune. E mi ricordo di aver anche tirato in ballo un altro Piano edilizio, a Lissolo. Anche su questo vorrei qualche chiarezza.
C’è di più. Ci sono stati momenti in cui, durante soprattutto l’amministrazione di Giorgio Dall’Angelo, la canonica di Monte divenne la sede di incontri con la minoranza. Fu in quel momento che toccai con mano l’inconsistenza anche dell’opposizione, la quale si sfasciò del tutto, del resto già divisa tra Destra/Sinistra e Lega, quando il sindaco si aggravò a causa della sua malattia. Mi sentii dire: “Come si fa ora a contrastarlo politicamente?”. Al che risposi: “Amicizie e malattie non devono mai compromettere il Bene comune! Certo, di fronte alla malattia bisogna avere tanto riguardo per la persona, ma non si deve permettere che nel frattempo l’amministrazione faccia le porcate che vuole. Anzitutto: se io sapessi di avere una malattia in corso, non mi candiderei a fare il sindaco; secondo: se, durante il mio mandato, mi capitasse una malattia grave, rinuncerei all’incarico. Il Bene comune richiede salute, efficienza e tempo”. Pensatela come volete. Nessuno deve assumersi un incarico come se fosse un onore o la conclusione di una bella carriera. Ogni incarico è servizio, e, se non si può più servire, si lascia l’incarico. Ho detto questa cosa anche a proposito degli ultimi anni di Giovanni Paolo II, ed è per questo che non smetterò di elogiare il gesto di rinuncia fatto da Benedetto XVI!
Ma torniamo a Monte. Quando venni a sapere che una famiglia della mia parrocchia era stata derubata da un assessore del Comune di Perego nel proprio diritto di prelazione sulla casa dove da cent’anni abitava, come custodi, giardinieri, coltivatori e altro, allora andai su tutte le furie. E l’assessore era l’amico del cuore di Giorgio Dall’Angelo, sindaco! Chiesi al sindaco un appuntamento: mi ricevette con un tono canzonatorio. Mi disse che era una questione del passato. Ma come poteva esserlo, se c’era una causa in ballo? Il sindaco, Giorgio Dall’Angelo, mi assicurò che avrebbe tolto in parte l’incarico all’assessore, senza tuttavia estrometterlo del tutto dall’amministrazione. Ci vuole poco per pulirsi apparentemente il culo e salvare la faccia. D’altronde, l’assessore era suo amico!  Diamine, almeno dovevi consigliarlo a suo tempo, dicendogli di non fare quel gesto di sopruso! No!
Giorgio Dall’Angelo morì, in odore di santità, e furono indette nuove elezioni. Che fece la candidata sindaco, Paola Panzeri, appartenente alla cricca “Giorgio Dall’Angelo”? Rimise in lista l’assessore! Mi salì il sangue alla testa! Contestai pubblicamente e anche privatamente, la nuova lista. Ma la candidata sindaco si ostinava nel sostenere che lei non sapesse nulla della vicenda (era già avviata una denuncia nei riguardi dell’assessore per omissione di atti di ufficio!). Poi seppi che, se Paola Panzeri lo avesse tolto dalla lista, probabilmente avrebbe perso le elezioni: sarebbe mancato l’appoggio di un consistente gruppo legato all’assessore. La lista di Paola Panzeri vinse (io comunque non la votai!), e l’assessore, pur con una causa pendente sulle spalle, rimase, fino a quando arrivò la sentenza. In un colloquio con la sindachessa, le dissi senza mezzi termini: “Ora Lei lo deve buttar fuori dal Comune!”. Mi ripose che non l’avrebbe fatto, ma che toccava alla persona interessata decidere. Da allora iniziai a odiare il Comune di Perego.
Ora chiedo, da parte degli ex amministratori di Perego presenti nella nuova amministrazione, una esplicita e pubblica confessione di quanto è successo. La stessa sindachessa, Roberta Trabucchi, le cose le dovrebbe sapere, se è vero che, come mi hanno riferito, ha preso il posto dell’assessore che ha dovuto lasciare l’incarico. Non si è mai chiesta del perché delle sue dimissioni?
Ma, come si dice, chi odia ama. Ed è per questo che, ora, dopo essere stato rimosso da Monte (leggere il mio libro citato), con la gioia di alcuni parrocchiani di Monte, soprattutto di Rovagnate e di Perego, mi trovo qui a Cereda o a Perego, ad avere tutto il tempo disponibile per pensare al mio paese. Ho lottato per la fusione, ed ora lotto perché la fusione non diventi un fallimento o una catastrofe. 
Lottare per me è continuare a vivere. Guai se avessi niente da fare. Sarei già in stato vegetativo. Quando ci andrò, staccherò la spina. 
NOTABENE
Adesso aspetto repliche, chiarimenti, e magari anche qualche denuncia per diffamazione. In tal caso, aumenterò la dose delle verità, che nessuno finora ha avuto il coraggio di svelare.

 ***

Ha vinto la “cricca Giorgio Dall’Angelo”

consiglio nuovo comune

di don Giorgio De Capitani
Nei miei precedenti articoli, avevo messo in guardia i cittadini di Rovagnate e di Perego, perché non dessero le preferenze agli ex amministratori di Perego.
Ho di nuovo sottovalutato la potenza di certe cricche, che per tenersi a galla si avvalgono del consenso, strappato ad arte, delle suore, di una certa buona fetta di “ottusi”, di legami di parentele e amicizie varie. Altro che il sud!
Da anni lo sostengo: non basta vincere, ma è importante “come” si vince. Tutto sta nelle preferenze delle persone “giuste”, “nuove”, “cariche di entusiasmo per la vera politica”, al di fuori dei soliti giri. Ma come si fa a indicare alla gente queste persone? Talora sono sconosciute, o poco note. E così vincono sempre quelli del giro, anche perché costoro fanno la campagna elettorale “pro domo sua”. Una vergogna!
L’ex Comune di Perego ha quasi sempre vinto le elezioni, con il contributo sostanzioso del voto delle Suore di Bernaga, che ora hanno inciso con le preferenze.
La fetta degli “ottusi” di Perego è tanto cieca da non vedere le strade del loro paese come colabrodo o come il gruviera, e neppure si accorge di non respirare più aria pura e di vedersi ogni giorno scomparire sotto i piedi quel verde che un tempo era il polmone vitale.
A Perego centro, e non solo, non esiste un metro di asfalto a posto, e nella parte più collinare le sterpaglie soffocano il terreno che ha perso la gioia di vedere la luce.
Quanto è rimasto dell’occhio critico di chi, giustamente, vorrebbe un paese diverso?
Già! L’occhio critico è scomparso tra i fumi delle costine o nelle varie feste paesane che sembrano il toccasana per ogni evenienza, in un intreccio di anima e di corpo, possibilmente con qualche risultato economico, a pro di questo o di quello. Un missionario c’è sempre di mezzo!
Una cosa è certa. Ora passerò all’opposizione, e aprirò sul sito una sezione riservata a eventuali critiche dei cittadini nei riguardi del nuovo Comune, anche con servizi fotografici. Togliamo il coperchio, e tiriamo fuori ogni magagna. Ce ne sono, ve lo assicuro.
Se sarà necessario procederemo anche alle denunce. A Perego è tutta una denuncia!
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Non ce l’ho con il paese di Perego,

ma con quanti l’hanno distrutto

scempio amb

di don Giorgio De Capitani
Hanno fatto di tutto, tanto da farmi odiare il mio paese: Perego. Sì, quasi non lo sopporto più, tanto l’hanno distrutto nella sua bellezza naturale. E non solo.
Non lo riconosco più. Mi sembra un altro paese o, meglio, un’altra cosa.
Come posso far finta di nulla?
– Ormai è irrecuperabile. I danni fatti sono irreversibili!
Sì, è vero. Ma quanto vorrei che qualcuno tentasse almeno di restituirmi in parte l’amore antico!
Sarà anche per uno spirito di vendetta che ora tiro fuori tutta la mia rabbia nel constatare quanta idiozia politico-amministrativa sia ancora presente tra quanti vorrebbero di nuovo prendersi carico di un Comune, La Valletta Brianza, nato anche con l’intento di evitare che Perego crollasse definitivamente.
La sfida per i nuovi amministratori non consisterà solo nel saper guidare una nuova realtà politica, la fusione di Perego con Rovagnate, ma nel far sì che Perego possa rivivere, se non altro mettendo fine alle politiche distruttive del passato, anche recente.
Non è che il paese di Rovagnate sia del tutto sano! Problemi se ce sono, e andranno risolti con una nuova e saggia visione politica! Rovagnate deve uscire dal suo buco quasi di privilegio, non per far sentire ancora di più il suo senso di superiorità, ma per riprendere quota, dopo aver vissuto anni e anni di un “fai da te”, che l’ha anche portato a grettezze oggi non più sopportabili. Anche Rovagnate non poteva più camminare da solo! Già l’Unione ha fatto da traino per la salvezza della Valletta.
Dunque, per La Valletta Brianza occorrono energie nuove e aperte, determinate e coraggiose, fuori dai soliti giochi politici, senza ombre di un passato che pesa tuttora, senza quelle logiche politiche di praticoni senza futuro, tanto praticoni da scambiare un pezzo di collina come una possibilità economica!
Credo nella buona fede della gente, e quando metto sotto accusa gli amministratori non lo faccio tacciandoli per forza di disonestà morale. La mia accusa è nei riguardi della loro inettitudine politica, della loro misera visione del Bene comune. A parte casi isolati di palese ingiustizia, che comunque pesano tuttora su famiglie oneste, contesto duramente quella maniera di amministrare un paese, un po’ alla carlona, senza avvedutezza lungimirante, creando di conseguenza disastri ambientali, uno sviluppo selvaggio del paese. Questo è quanto è capitato a Perego, dove, dal punto di vista amministrativo, è successo di tutto, con l’alternarsi di amministrazioni che peggioravano di volta in volta la situazione, ereditando dalle precedenti tutta una serie di scelte sbagliate, senza far nulla o quasi per arginarle.
Bisogna dire BASTA!
Da lunedì prossimo, per chi vincerà cesserà di colpo la campagna elettorale con le promesse da marinaio. Bisognerà subito rimboccarsi le maniche, e prendere coscienza della “realtà”, togliendo i vari coperchi. Occorrerà, dunque, andare a fondo, senza timore di fare qualche danno a parenti o amici. Basta dire: “IO NON LO SAPEVO”. Adesso te ne devi rendere conto, e risalire, risalire, risalire fino a quando non avrai trovato l’origine del marcio.
Sì, via i legami di parentela, affettivi o di amicizia, basta con certi miti del passato. Ci sono stati troppi inciuci.
Le cose anche belle scritte sul vostro programma non devono rimanere lettera morta. Dalle parole ai fatti, e i fatti non bisognerà attenderli dopo anni di rodaggio. E non devo più sentir dire: “Vedremo quali saranno le priorità!”. A furia di dire “vedremo”, le cose si rimandano, e non si capisce quali siano in realtà le priorità.
La priorità assoluta, secondo me, è questa: analizzare la “realtà” dei due ex Comuni oculatamente, obiettivamente, prendendo tutto il tempo necessario. E non voglio più sentire dire: “Che dobbiamo fare? Non è colpa nostra! Non si può cambiare nulla! I permessi ci sono!”. Se ragionerete così, dimostrerete di essere peggiori dei vostri predecessori che hanno fatto disastri su disastri. C’è di più: dando la colpa ai vostri predecessori, non fate altro che risalire ad Adamo ed Eva, giustificando sempre e in ogni caso i vostri amici, quelli della vostra cricca.
NOTABENE 1
Ho notato che su Merateonline “NOI La Valletta” sta facendo da più giorni una notevole pubblicità della propria lista, che occupa addirittura tre spazi e che è presente anche all’interno  degli articoli riguardanti per qualsiasi ragione i paesi della Valletta. Qualche domanda me la sono fatta. Che Fagnani e company siano a corto di soldi per la campagna elettorale tanto da non poter sostenere neppure le spese per pubblicare per intero il loro programma elettorale? Non entro nel merito, ma un’altra domanda riguarda la lista “NOI La Valletta”: era proprio necessario spendere mille e più euro (forse di più!) per farsi una pubblicità così martellante su Merateonline? È vero che non ho tirato fuori di tasca mia nemmeno un euro, ma se l’avessi fatto, mi sarei fortemente arrabbiato. C’è di più. Il Comitato promotore della fusione si era limitato al minimo, e pensare che, in quell’occasione, avevo chiesto sì di fare maggiore pubblicità, dal momento che la vittoria del sì non sembrava scontata.
NOTABENE 2
Anche la lista “NOI La Valletta” ha aperto durante la campagna elettorale una pagina su Facebook: non saprei con quali risultati, visto che è rimasta quasi inutilizzata. Ogni tanto inviavo ai responsabili della lista qualche critica nei loro riguardi, che mi perveniva tramite il mio sito, ma nessuna di queste critiche è stata presa in considerazione, per cui sono ancora qui a non sapere se le critiche avessero un fondamento di verità o fossero del tutto infondate. È seria una campagna elettorale all’insegna dello snobbare gli “avversari”? 
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Se votate la lista “NOI La Valletta”

non date la “preferenza”

agli ex amministratori di Perego!

 

nomi valletta bene

di don Giorgio De Capitani
Credo che, negli ultimi vent’anni e più (mi riferisco al Comune di Rovagnate: quello di Perego è sempre stato un’eccezione diventata quasi regola di sali e scendi!), non abbia mai assistito ad una campagna elettorale così anomala, diciamo: strana, come quella che stiamo vivendo in questi giorni! Una campagna elettorale, in cui uno che conosce bene le cose, e vorrebbe essere obiettivo, si trova veramente a disagio nel dover scegliere chi votare.
Non è sufficiente limitarsi sempre a dire: “Mi tappo il naso, e voto il minor male!”.
Sì, una campagna elettorale anomala, strana, e moscia, all’insegna del “lasciamo stare i cittadini che dormono”. Ciò l’ho notato anche durante la campagna referendaria della fusione. L’ordine era: “Stiamo calmi, non irritiamo …”. Si sono aperte pagine su facebook, rimaste quasi “inutili”, con il minimo indispensabile, con qualche notizia sugli incontri. Sì, ognuno ha messo il proprio programma, ma nessuno è entrato nella pagina dell’avversario per porre domande e critiche imbarazzanti, e tanto meno i gestori della propria pagina hanno riportato critiche sentite altrove per rispondere ai cittadini. Ho segnalato più volte critiche apparse sul mio sito o su Merateonline. Nessuno ha risposto! Tutto all’insegna, ripeto, del “lasciamo gli animi tranquilli”. Fagnani ha rifiutato il confronto con l’altra candidata, Roberta Trabucchi, e non ha organizzato gli incontri con il pubblico. Gli incontri con il pubblico organizzati dalla lista “NOI La Valletta” non hanno avuto un grande riscontro, e tanto meno un duro confronto con gli oppositori. Tutto all’insegna della paura, o di quel menefreghismo di chi pensa: “E chissenefrega? Io ho già deciso come o se votare!”.
Sul mio sito, ho avuto visite di qualche oppositore, che però si è limitato a fare critiche superficiali e talora stupide. E poi si sa: con un nome fasullo si possono dire le cazzate che si vogliono. Invece, presentarsi in pubblico con il proprio volto e dire ciò che si pensa non è da brianzolo che preferisce: o tacere o borbottare fuori posto o sparare menzogne dietro nomi inventati.
Così, ogni tanto qualche anonimo codardo mandava letterine a Merateonline, sempre scrivendo cazzate. C’erano gli incontri pubblici: perché non si sono presentati a dire le stesse cose?
Sì, una campagna elettorale veramente deprimente!
Ma c’è di più. Il problema per me ora è ancora più assillante, proprio perché ho fatto una scelta: votare la lista “NOI La Valletta”. Se, da una parte, la lista di Fagnani è una nullità “politica”, per le tante ragioni che ho spiegato in articoli apparsi sul sito; dall’altra parte, è vero che nella lista “NOI La Valletta” c’è una maggiore garanzia sulla carta, ma ci sono anche punti interrogativi sulla futura (se vincerà) amministrazione, nel caso in cui i cittadini dovessero dare “certe” preferenze, scegliendo candidati secondo me “inopportuni” e di “ostacolo” ad una diversa visione della gestione amministrativa del nuovo Comune.
Ed è qui il punto. Non basta sostenere una lista, ma occorre far sì che vengano eletti i candidati migliori, e per “migliori” non intendo tanto le persone moralmente a posto (questo è indiscutibile!), ma futuri amministratori capaci, preparati, slegati da “logiche” su cui pesano ombre del passato.
Dunque, per essere concreto, invito quei cittadini che voteranno per la lista “NOI La Valletta”, (d’altronde, l’unica  decente!), affinché scelgano candidati aperti al nuovo, disancorati da un passato fallimentare. Faccio questo caloroso appello, perché temo che, se vincesse la lista “NOI La Valletta”, possa prevalere il gruppetto degli ex amministratori di Perego, che non sono stati in grado, neppure recentemente, di frenare se non altro una miope politica che da anni ha ridotto in ginocchio un paese, che, per quanto io ricordi, non ha mai conosciuto amministratori saggi e competenti. MAI!
Non basta dire: “Cittadini de ‘La Valletta Brianza’, votate i migliori candidati!”. Alcuni di questi “migliori” sono poco conosciuti, e, succede, nei nostri piccoli paesi, che si voti per amicizia o per parentela, e il più delle volte amici e parenti votano quelli del “solito giro”.
Non date la preferenza agli ex amministratori di Perego. Se hanno portato l’ex Comune sull’orlo del precipizio dopo averlo distrutto, volete che l’ex Comune di Rovagnate subisca la stessa fine?
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 Andrò a votare, e voterò “NOI La Valletta”,

ma … 

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di don Giorgio De Capitani
Vorrei subito premettere una cosa. Ho sempre parlato di lista “NOI La Valletta” e di Lista  Fagnani, con il preciso intento di evidenziare un dato di fatto: la prima è la lista di un gruppo, mentre la seconda è la lista di una singola persona, senza un gruppo.
Dopo avere fortemente criticato alcuni candidati di “NOI La Valletta” e dopo avere fortemente criticato il programma della Lista Fagnani, qualcuno si sarà chiesto: “Se le cose stanno così, da una parte e dall’altra, allora per chi votare? Meglio non andare alle urne!”.
Io non la penso così. Andrò a votare, e voterò “NOI La Valletta”. Pur votando con riserva, avrò il diritto, oltre che il dovere, di fare eventuali critiche, ogniqualvolta i futuri amministratori verranno meno alle loro promesse. Sostenitore, dunque, e, nello stesso tempo, attento oppositore.
Sì, voterò con qualche riserva la lista “NOI La Valletta”, nella speranza che prevalgano, tra i candidati scelti, gli spiriti liberi, autonomi da ogni “cricca” precedente. Come fare? Basta dare la preferenza al candidato “giusto”. Ce ne sono almeno cinque o sei. 
Quali sono le mie riserve? E quali sono i paletti che vorrei mettere alla nuova amministrazione? 
Quando vedo alla tv il Giro d’Italia – a me piace molto il ciclismo più del calcio – non seguo solo l’andamento della corsa, ma anche i paesaggi, le campagne, i paesi più caratteristici. Rimango davvero impressionato nel notare la bellezza di certe zone e di certi Comuni che sono riusciti a conservare la loro antica bellezza. E, nello stesso tempo, mi viene una stizza, pensando ai nostri paesi brianzoli, brutti e mal ridotti, sempre più cementificati. E pensare che non siamo in zone occupate da casermoni, dove non c’è spazio per un filo d’erba. Da noi c’è ancora tanto verde. Perché distruggerlo con le ruspe?
Questi paesi della Valletta, in senso lato, hanno caratteristiche diverse, anche per la loro posizione geografica: Santa Maria è più al sole, Rovagnate è in valle, Perego è all’inverso, Monte è più isolato. Santa Maria, Perego e Monte hanno ciascuno una loro peculiarità invidiabile, Rovagnate un po’ meno. Sì, la nostra è una zona ancora invidiata da tanti. Perché non rendercene conto?
Certo, è importante fare strade, dare i servizi alla gente, fare questo o fare quello, ma non possiamo dimenticare che la prima cosa è garantire una migliore qualità della vita, rendere cioè il paese “vivibile”. Come ciò è possibile, se ciascuno pensa ai cavoli propri, pretende di costruire come e dove vuole, senza pensare che tutti quanti staremmo bene o meglio, se ci rispettassimo reciprocamente, prima nei doveri e poi nei diritti?
È inutile girarci attorno alle parole: un paese è “vivibile” quando non si permettono speculazioni edilizie, quando si rispetta con cura e amore il territorio, quando si dà un certo limite al numero degli abitanti. Non perché una famiglia ha cinque figli (immaginate poi se la prole fosse numerosa, che cosa succederebbe! Oggi qualche preservativo in più non farebbe male!), allora bisogna garantire ad ogni figlio la possibilità di avere una casa nel proprio paese. Si deve porre un limite, oltre il quale non si va! E questo è per il Bene comune, ovvero per il bene di ogni cittadino. Sono d’accordissimo che ogni famiglia abbia diritto ad avere una propria casa, come sono d’accordissimo che è contro la destinazione universale dei beni l’accaparramento di terre nelle mani di qualche signorotto. Non vale il principio: io pago, perciò compero. Ognuno ha diritto a un pezzo di terra, e se ne prendi due pezzi sei un porco ladro! Ma, ripeto, non tutta la terra va divisa per essere edificata. Senza le piante, non vivo. C’è terra e terra: non tutta può essere edificabile.
Per cui, ecco il principio di saggezza: io sto bene se stai bene anche tu, e viceversa!
Non ditemi che sto facendo discorsi astratti, o che la gente non capisce o che non vuole accettare, perché allora vi manderei tutti a fanculo! Che cosa è più importante: correre veloci su strade asfaltate, oppure respirare aria buona? Stretti l’uno con l’altro, come sardine, tra costruzioni che non permettono di aprire nemmeno le finestre, o che coprono una bella visuale di panorama ridente? Viviamo una sola volta questa esistenza, e allora viviamola al meglio, e non essere continuamente arrabbiati perché qualche fesso o bastardo o barbaro fa i cazzi che vuole, impone i propri termini, sposta quelli degli altri, litiga con tutti i vicini. Ma questa gentaglia meriterebbe una bella lezione o di essere spedita in qualche nazione, dove vigono ben precise regole di convivenza! E poi ce la prendiamo con gli extracomunitari come se questi venissero a toglierci i nostri diritti. Siamo noi, brianzoli egoisti, che ci facciamo del male a vicenda!
Non bisogna guardare in faccia a nessuno! Chi fa il prepotente, va punito e rimesso in riga! Il Comune non deve essere debole coi forti, e forte coi deboli! In teoria, parliamo molto bene di giustizia, di diritto, di legalità, ma poi in pratica ci vendiamo al primo che ci offre un piatto di lenticchie! E non accetto certi ragionamenti che ho sentito di persona dal Presidente del Parco della Valle del Curone: “Però, quel tizio sa fare bene i lavori!”. Se il tizio non “può” costruire, non “deve” costruire o fare i cazzi che vuole, anche se “sa fare bene i lavori”!
Ho letto che si vorrebbero riqualificare il centro storico di Perego e il centro storico di Rovagnate. (Scusate se uso ancora i nomi Perego e Rovagnate). Certo, è vergognoso che prima si distrugge e poi si ricostruisce, supposto che si possa tornare all’antico. Si può riprendere il ciottolato a Perego o ricostruire l’antica cascina che era di fianco al Palazzo? Si possono risanare le ferite prodotte da mostruose costruzioni, sempre a Perego? Certo, sarebbe bello “riqualificare” Perego! Ma che cosa in realtà comporterà ogni tentativo di dare al volto di Perego la sua bellezza originaria? Non sono contro il progresso in sé, ma contro il progresso selvaggio! Dare sì comodità alla gente, ma senza distruggere l’anima di un paese! E a Perego hanno tolto l’anima!
Su Rovagnate, che è in valle, le cose da dire sarebbero altre. Il Comune ha perso ogni identità geografica, ed è stata una delle ragioni per cui si è sollecitata la fusione. Anche a Rovagnate il progresso selvaggio ha eliminato caratteristiche “antiche”. Cito solo un esempio: era proprio indispensabile togliere l’Ossario? Nessuno contesta che nel Comune di Rovagnate si doveva dare la possibilità di costruire fabbriche per operai. Anche qui attenzione: il caso Beretta è un’altra cosa. A parte le questioni di carattere economico ed ambientale, non si può alla cieca fidarsi della parola di un industriale che non mette nero sul bianco. Beretta non ha garantito che avrebbe dato posto di lavoro a tanti operai. E se avesse costruito solo capannoni-deposito?
Sempre a Rovagnate, chi ha una certa età forse conosce qualcosa della storia dell’acquisto della Villa Sacro Cuore di proprietà dell’Azione Cattolica. Una gara tra il Comune e la Parrocchia: una questione di cinque o poco più milioni (vecchie lire). Un affare? “Sembrava”, ma il tempo ha dimostrato che non è stato un buon affare. Allora, non si poteva pensare di costruire il Comune in centro paese? Ma che cosa è successo? Basta dare uno sguardo fugace a come è ridotta la Villa e il Parco annesso. Bisognava vendere tutto il complesso (Villa e Parco) a qualche Ente assistenziale o alla Regione? Forse. Oggi come oggi, coi tempi che corrono, più nessuno, nemmeno un riccone, sarebbe disposto ad acquistarlo. Può darsi che ancora una volta il tempo rimescolerà le carte, e arriverà il momento, magari con la prossima amministrazione, di studiare un piano per il recupero della Villa e del Parco connesso. A questo punto, me lo auguro. Il complesso “recuperato” potrà diventare anche un centro culturale o per altre attività giovanili.
Ma a Rovagnate c’è un altro problema che, prima o poi, dovrà essere affrontato, ed è quello dell’Asilo, ancora parrocchiale, anche se in realtà a gestirlo è una Associazione di famiglie. Lo dicevo già a don Eugenio: “Pàssalo al Comune! Un unico Asilo in un Comune (allora non c’era ancora l’Unione) è anticostituzionale, se è privato!”. Per risolvere questa contraddizione, ci ho rimesso una parrocchia (Balbiano e Colturano). Andate a leggere l’ultimo libro, riguardante le mie esperienze pastorali (“Da Introbio a Monte di Rovagnate”). E con la crisi attuale che cosa sta succedendo? Che i genitori (oggi c’è l’Unione!) mandano i figli a Perego, fregandosene, opportunisticamente e realisticamente, dei nobili principi della educazione cattolica. E così l’Asilo parrocchiale si trova in crisi di bambini. Credo che sia arrivato il momento, anche approfittando di questa emergenza, di creare un unico complesso scolastico, suddividendolo logisticamente, sui due ex Comuni di Perego e di Rovagnate, e sul Comune di Santa Maria Hoè.
Tornando all’ex Comune di Perego, già l’ho accennato in un precedente articolo (“La lista ‘NOI La Valletta’ deve togliersi di dosso ombre ingombranti”), la vera patata bollente sarà il Complesso edilizio “Gloria”, che come una spada di Damocle è lì per cadere sulla testa dei cittadini. Altro che dare possibilità di nuove abitazioni! A parte che oggi non è il momento di costruire, a meno che si tratti di cooperative a prezzo ridotto e accessibile ai comuni mortali. Mi chiedo come sia stato possibile che amministrazioni, di destra e di sinistra, abbiano potuto concedere i permessi! La nuova amministrazione dovrà affrontare il problema e risolverlo con determinazione. Quando lottavo per la fusione, pensavo in continuazione al complesso edilizio ancora lì per essere realizzato, nella speranza che con la fusione, togliendo cioè il paese di Perego alle amministrazioni pereghine, si potesse risolvere la patata bollente. Sarà così? Appena vedrò le ruspe, scatenerò il finimondo. E ve lo giuro, menerò fendenti a tutti.
E che dire del grado culturale dei nostri paesi? Una sola risposta: deprimente! Se ci fosse un decente livello culturale, ci sarebbero così tanti analfabeti leghisti? La Lega attecchisce là dove arrivano non le aspirazioni della mente ma gli stimoli della pancia. E a battere il petto dovrebbero essere un po’ tutti quanti, a iniziare dai preti che, nel passato, hanno sempre tenuto la gente nell’ignoranza, per sottometterla ai voleri di una santa madre Chiesa che di madre aveva ben poco. Ma anche i partiti politici del passato, prima la Dc (non penso che nelle nostre zone ci fosse il Pci!), poi la destra berlusconiana a braccetto con la Lega Nord, hanno pensato solo a sviluppare esigenze di corpo, facendo leva anche sul fatto che la gente contadina di un passato, non troppo lontano, viveva nella miseria. Toccare il tasto illusorio di un prossimo paradiso terrestre è stato facile. La cosa insopportabile e paradossale è stato l’aver assistito a masse di succubi, per secoli, ad un padrone terriero che lasciava solo briciole ai tanti lazzari, che improvvisamente, stavolta per scelta, sono poi passati a venerare altri imbonitori, ma sempre capitalisti.
Chi parlava di cultura? La cultura era vista come un lusso o il perditempo degli sfaccendati. La gente, lasciata ignorante ma con una sua dignità e saggezza, con l’avvento del boom economico è rimasta ancora ignorante, ma perdendo la dignità e la saggezza. Ecco il mondo leghista, che preferisce restare con la pancia a terra, vergognandosi di pensare oltre.
Che cosa hanno fatto le passate amministrazioni locali per togliere la gente dal meschino mondo consumistico, proponendo, più che sporadiche iniziative culturali, una coraggiosa apertura mentale, con dibattiti, incontri, giornali, stimolando interessi superiori?
Quando leggo certi programmi elettorali, ma soprattutto quando poi constato la gestione amministrativa di un paese, mi deprimo: cose, cose, cose, senza avere il coraggio di impegnare anche risorse per elevare la cultura del paese. Se dovessi anche solo fermarmi al mondo dei ragazzi, mi chiedo quale scuola frequentino. Ma non è tanto la tal scuola, è la scuola di oggi che è deprimente: una scuola che non educa al pensare, che sforna ragazzi coglioni, anche se diplomati, giovani socialmente inutili. Bisogna riformare i professori prima, e poi gli studenti. Quando sono tornato a casa, ovvero in Brianza, dopo le mie variegate esperienze precedenti, mi sono messo le mani nei capelli. La mia fortuna e la mia salvezza umana sono stati gli anni passati fuori Brianza. Sono tornato con idee aperte, carico di esperienze arricchenti, deciso a spaccare l’immobilismo di questi paesi, più che ancorati al passato, succubi di paure, di remore, di timidezze, di sudditanze. I giovani! Quale spavento! I primi (anche di Rovagnate!) a contestarmi perché portavo le problematiche esistenziali in chiesa. Mio Dio!, proprio loro, i giovani! Poi fu la volta dei giovani fascistelli di Monte che arrivarono al sodo, tentando di spedirmi in Russia! I giovani: chiusi tra le quattro mura di un cervello ottuso e anche manipolato da pseudo-maestri. Gli stessi, dopo essersi rintanati dopo lo smacco della lettera, ora sono tornati alla luce, dopo la mia rimozione da Monte. Mi sto ponendo mille dubbi in questi giorni: forse qualcosa è rimasto tra la gente comune, ma i giovani fattisi adulti sono rimasti come erano all’inizio. Per loro non vale l’evoluzione!
Ecco, il problema giovanile sarà uno dei problemi-chiave della nuova amministrazione. Anni fa, durante l’amministrazione di Marco Panzeri, dopo una mia provocazione sul fenomeno giovanile, il sindaco, d’accordo con gli altri due colleghi, di Perego e di Santa Maria, mi aveva invitato per un incontro ristretto. Ci andai, e subito rimasi male, quando il sindaco di Santa Maria (mi pare fosse Gilberto Tavola, comunque della precedente amministrazione) definì quell’incontro come una specie di “carboneria”, al che risposi: “Mi avete invitato voi!”. In ogni caso, si discusse senza convinzione, anche da parte del sindaco di Perego, Giorgio Dall’Angelo. Quando dico la verità, chissà perché qualcuno o qualcuna s’incazza. Certo, avere a che fare con sindaci abituati a fare il prete, era difficile per me prete chiedere loro collaborazione, perché prendessero coscienza che il problema dei giovani non era solo compito delle parrocchie, ma anche dei Comuni. Risultato: l’incontro fu snobbato dai sindaci di Perego e di Santa Maria. Alla mia richiesta di incontrarci di nuovo, magari allargando l’incontro anche agli altri preti, dissero di sì, ma poi non se ne fece più nulla. Che cosa chiedevo? Chiedevo semplicemente di studiare la possibilità di una collaborazione tra i Comuni e le Parrocchie (allora non c’era ancora la Comunità pastorale) sul problema dei ragazzi dopo la terza media. Perché – ecco la mia proposta – non individuare sul posto alcuni ambienti “laici”, al di fuori delle strutture parrocchiali, così che i giovani potessero sentirsi a loro agio, senza il cappello del prete? Tutti sanno che, dopo le medie, i ragazzi se ne vanno dall’oratorio, preferendo ritrovarsi in luoghi meno controllati, e, non trovandoli, sono in giro a fare magari danni. Chiedevo, dunque, ai sindaci di studiare la possibilità di dare a questi ragazzi, diciamo più insofferenti, alcuni spazi “laici”. Sapevo anch’io che la soluzione non era immediata e che sarebbe stata anche difficile da attuare, ma sapevo anche che i sindaci non volevano scontarsi con i loro parroci, i quali non avrebbero gradito che si togliesse loro il totale controllo sui ragazzi.
La proposta, ovvero offrire spazi “laici” ai giovani, non potrebbe tornare al tavolo della discussione, dal momento che oggi, sia per la fusione di Perego e di Rovagnate (un unico sindaco) e soprattutto per la Comunità pastorale (un unico parroco), l’intesa potrebbe essere maggiormente facilitata?
Infine, so di trattare ora un tema, che potrebbe sembrare apparentemente strano per un Comune, anche perché perfino la Parrocchia, a cui dovrebbe stare particolarmente a cuore l’educazione nella integralità dell’essere umano, si trova in enorme difficoltà, ma lo ritengo di estrema importanza. Oggi la parola-chiave nei rapporti sociali – una parola che è il campo di battaglia dei sindacati di destra e di sinistra – è il diritto. Sembra che non esista altro che il mondo dei diritti. Si dice diritti al plurale, non perché ci importi molto difendere i diritti altrui (a parole, sì, siamo molto bravi!), ma perché i diritti da difendere o da conquistare sono tanti, sempre più tanti. Più le pretese aumentano, più devono essere supportati dai diritti, come giustificazione. E così l’altra parola, che forse un tempo equilibrava il diritto, è scomparsa dal vocabolario sociale, anche perché è stata intesa come un chinare la testa agli ordini del potere. Parlo del dovere. È il dovere che fonda il diritto, e non viceversa. Il dovere è insito nello stesso essere umano. I diritti ne derivano di conseguenza, altrimenti i diritti staccati dai doveri sono fasulli. E purtroppo oggi assistiamo a questo squilibrio che sta minando i rapporti sociali, e la stessa democrazia.
Provate a parlare di doveri ai cittadini, e vi risponderanno malamente, come è capitato a me: “Siamo stanchi di soffrire, di subire, di pagare tasse, di fare sacrifici…”. Ecco, ci siamo. Doveri = sacrifici. E così, dopo i sacrifici di una vita dura, si è partiti in quinta alla conquista dei diritti, oltrepassando ogni limite, giungendo a pretese assurde, minando lo stesso principio del Bene comune.
Certo, non pretendo che il Comune educhi al senso del dovere, ma che neppure ceda alle pretese assurde di cittadini, che hanno perso di vista quel Bene comune che consiste nell’equilibrio da conquistare tra i doveri e i diritti. I miei diritti forse sarebbero più garantiti, se da parte mia ci fosse un maggior senso del dovere sociale.
Una amministrazione deve tener duro davanti ai ricatti dei cittadini, non importa se poi, al prossimo turno elettorale, cambieranno bandiera. Non si amministra bene un paese, pensando al prossimo consenso dei cittadini.
(4/continua)

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Programma della Lista Fagnani:

Opera pia bonomelli!  

programmafagnani

candidatifagnani1

Premetto subito che avrei ben poco di negativo da dire sul programma presentato dalla Lista “NOI La Valletta”, anche se, nel prossimo articolo, metterò dei paletti ben chiari a chi vincerà le elezioni. Non basta stendere un bel programma! NON BASTA!
Parlare, invece, del programma della Lista Fagnani mi è veramente difficile, perché non saprei da dove partire, non avendo né capo né coda, e tanto meno “intelligenza politica”.
Una premessa doverosa. Ho letto il testo in pdf, che ho trovato sul blog di Fagnani. Non c’è scritto che si tratta di una bozza, per cui l’ho preso come definitivo.
Sono sincero: quando sono arrivato alla fine della lettura, mi è venuto il mal di testa, anche perché mi sembrava di leggere una lunga noiosa lista per la spesa, buttata giù su alcuni fogli sparsi, senza alcuna preoccupazione di forma. Lo so: ciò che importa è la sostanza, ovvero il contenuto. Ma, diamine!, un po’ di rispetto per la lingua italiana non farebbe male!  Forse Fagnani avrà pensato: con gli zoticoni il bel dire non serve, è superfluo, bisogna mettere tanta paglia nel trogolo!
Fermiamoci al contenuto, altrimenti diranno che ho sollevato una questione solo… formale.
Parto da alcune constatazioni.
1. Non ho trovato in nessuna riga del testo l’espressione: “Bene comune”. Nemmeno l’ombra! Fagnani non ne parla mai. Forse lo presuppone, o forse non sa che il Bene comune è il cuore e la mente di ogni buona amministrazione. Dire cuore e mente significa che dal Bene comune parte la vita di un paese. Sul Bene comune non mi soffermo, perché, se Fagnani avesse letto qualche mio articolo, forse si sarebbe almeno in parte reso conto che cosa possa significare amministrare un paese al Meglio.
2. Il “problema giovani” è liquidato in due righe del tutto generiche! Forse il “problema giovani” non esiste o, se esiste, non pone tanti problemi. Qui andrebbe inserito il confronto con la comunità pastorale. Fagnani altrove parla di “comunità cattolica”: una parola vale l’altra, ma dire “cattolica” invece che “pastorale” potrebbe significare tante cose!  
3. Non c’è nessuna riga dedicata al problema “cultura”. Forse a Fagnani la cultura non interessa: gli interessa solo la pancia della gente. D’altronde, per catturare voti, tutti sanno che non basta parlare di cultura (“con la cultura non si mangia”!), ma soprattutto di tasse, di condoni, di beneficenze… Eppure, tutti sappiamo anche quanto la Brianza abbia bisogno di elevare la mente, oltre che di riempirsi il ventre. E per cultura non intendo soltanto organizzare, una o due volte l’anno, qualche spettacolo infarinato di cultura! Ci vuole ben altro! Ma come poter nutrire anche la mente a gente che rifiuta a priori di pensare?
4. Fagnani non si pone neppure il problema (forse un breve accenno vago) che il nuovo Comune è il risultato della fusione di Perego e di Rovagnate. Cavoli! È questa la vera novità! Due Comuni fusi porranno o non porranno problemi nuovi? Il “nuovo” Comune non ha bisogno tanto di moltiplicare i servizi o le cose da fare, ma di una “nuova” visione politico-amministrativa, dando alla parola “politica” il suo vero significato di “prendersi a cuore” il Bene comune del paese. Sta qui la vera sfida: come amministrare il “nuovo” Comune senza farsi tentare di soddisfare le esigenze (e magari le pretese) ora dell’uno ora dell’altro dei due ex Comuni in un gioco di equilibrismi “politici” (qui la parola ha un significato negativo!)? Che cos’è per “La Valletta Brianza” il Bene comune? Se prima il Bene comune di Rovagnate era x e il Bene comune di Perego era y, il Bene comune per “La Valletta Brianza” non sarà x + y, ma un’altra realtà. I due Comuni fusi, pur mantenendo le proprie identità, non cammineranno come se fossero ancora divisi, ma dovranno costituire un Comune “altro”, per cui la visuale politico-amministrativa dovrà superare la concezione matematica del numero delle cose da inventare nell’uno o nell’altro dei due ex Comuni. Le scelte dovranno tener contro che si tratta di una “nuova” realtà, da gestire senza più campanilismi, ma con il criterio dell’”Insieme per il Meglio”. “Ma che stai dicendo?”. Già! Che cosa sto dicendo? “Non vedi che il trogolo è vuoto di paglia?”. Già, il trogolo è vuoto di paglia! Come parlare di Bene comune e di altro a gente che pensa solo al ventre?    
5. Fagnani non parla (forse solo un accenno vago) dell’Unione che esiste già da qualche anno, ma che è fondamentale anche per l’aggancio con Santa Maria Hoè.
6. Fagnani sembra confondere ciò che è di proprietà della parrocchia e ciò che compete al Comune. Forse non sa che il campetto di calcio di Monte è di proprietà della Parrocchia. E tanto meno può sapere che, alcuni fa, si era pensato da parte della comunità di Monte di ampliarlo, di dare un altro orientamento fisico, ma che il progetto “ambizioso” era stato bocciato dal Parco. “Per fortuna!”, così pensai in quel momento. Sì, per fortuna, perché il tempo mi ha dato ragione: a Monte basta il campetto che c’è, dal momento che a Rovagnate ce ne sono diversi, e anche perché (questo è quanto pensavo e quanto penso tuttora) un campetto di gioco non deve essere riservato ai tornei o ai campionati, ma deve dare la possibilità a tutti, bravi o  non bravi, di tirare quattro calci al pallone. Ma questo è un altro discorso.
7. Ho letto nella sezione “Associazioni e volontariato”, numero 3, “Creare gruppo scout con organizzazione di escursioni”. Ci sono già pochi gruppi in questi paesi! Bisogna inventarne altri? E anche mantenerli, con sovvenzioni varie? Scout!? Non dico altro! 
8. Sarebbe interessante, ma non vorrei sembrare troppo pignolo, evidenziare tutte le volte che Fagnani usa i verbi: fare, organizzare, creare, istituire, dare, offrire, attivare, potenziare, promuovere, incentivare, riqualificare, garantire, incrementare, migliorare, fornire, sistemare… cose, cose e cose, ponendo il tutto al di fuori del contesto del Bene comune!
9. Ma l’accento di Fagnani cade in particolare sui verbi: ridurre tassazioni varie, esentare, concedere servizi gratuiti, con la grande scoperta del ricorso agli sponsor, presupponendo che saranno disponibili al primo fischio. Gli sponsor, nel programma di Fagnani, appaiono come la provvidenza “laica” che tampona i buchi, come se: togli pure le entrate facendo la caritas assistenziale, e vedrai che ci sarà sempre una mano generosa che coprirà le spese! Campa cavallo che l’erba cresce! E poi: sarebbe veramente affascinante tornare al vecchio grembiule per gli scolari con la scritta di qualche sponsor! Oppure regalare merendine della tal marca, e, prima di mangiarle, sentire tutti i bambini in coro cantare: W W W… oppure: Grazie grazie grazie, signor benefattore!
10. E a proposito di servizi gratuiti (“pagamento integrale delle rette relative al costo di trasporto per il pulmino sarà a totale carico dell’amministrazione comunale…”, così per le “rette relative al costo del “buono pasto”), le cose da dire sarebbero tante. Ma attenzione alle parole che Fagnani ripete anche altrove: “in via sperimentale” oppure “ancora al vaglio”. Come intenderle? Io le intendo come una presa per i fondelli!
11. Sulla “gratuità” dei servizi sociali vorrei dire una cosa. Se pago un servizio, mi sento più libero davanti agli altri. Se i genitori, ad esempio, non pagheranno più il pullmino o le rette per il buono pasto, con che coraggio poi andranno in crociera, o nei ristoranti la domenica, o semplicemente al bar ogni mattina a bere il caffè o altro, o fumeranno ogni giorno un pacchetto di sigarette? E magari faranno indossare ai propri figli magliette firmate! Ogni cittadino deve pagare ciò che è “giusto”. È chiaro che possono esserci situazioni di emergenza, e allora il Comune interverrà.
12. Ammettiamo pure che si diano servizi gratuiti per il pulmino o per il buono pasto. Perché allora non “pretendere” dai genitori come contropartita altri servizi gratuiti in favore della scuola? Anche i ragazzi dovranno contribuire in altra maniera. È ora di finirla di dare tutto gratuito!
13. Leggendo il testo del programma di Fagnani, appaiono evidenti due cose.
a) Ho notato una grave lacuna nel campo della conoscenza amministrativa del Comune: sembra che Fagnani conosca poco o nulla di come funziona un Comune. Ha una enorme confusione nella testa.
b) Inoltre ho notato una grave lacuna nel campo della conoscenza del territorio: Fagnani non conosce questi nostri paesi, nelle loro vere problematiche sociali, culturali e soprattutto ambientali. Che ne sa della vicenda Beretta? Che ne sa della storia della Villa Sacro Cuore? Che ne sa del Piano edilizio “Gloria” e dei problemi connessi con la geologia? Che ne sa della storia delle rotonde? Che ne sa della storia dei parcheggi? E così via.
14. Per riassumere, il testo del programma di Fagnani è una lunga noiosa fasulla lista di cose da fare, senza l’anima del Bene comune, con l’unica preoccupazione di raccogliere il consenso degli allocchi. Certo, di allocchi ce ne sono anche qui da noi, ma sono convinto, convintissimo, che alla fine prevarrà come sempre il buon senso della gente. Ed è al buon senso che il Bene comune si appella.    
Signor Fagnani, alcune chiarificazioni. Nella presentazione che Lei fa sul suo blog e su facebook dice alcune cose che andrebbero chiarite.
a) «Abito a Rovagnate»: è vero, ma non tutti sanno che Lei ha tuttora la residenza a Lomagna, per cui domenica 31 maggio non voterà.
b) «Non mi sento un politico per cui non mi piace essere etichettato come tale, anche se ho avuto in passato un’esperienza di 5 anni nel settore dei servizi sociali per il Comune di Lomagna». Ancora una volta Lei confonde “politica” con l’iscrizione ad un partito. Tutti i cittadini dovrebbero essere “politici” nel senso più nobile del termine. Ma poi Lei si contraddice: che significa “anche se …”? Ha fatto parte di qualche partito per fare l’esperienza nel settore dei servizi sociali per il Comune di Lomagna? Lei parla di un servizio durato “5 anni”. Ho letto bene? È durato proprio “5 anni” oppure solo “5 mesi effettivi”? Vorrei una conferma! Lei sa che le bugie hanno le gambe corte e incidono poi sulla credibilità di una persona.
c) Lei ha dichiarato su un giornale locale che a dare l’input per presentarsi candidato sindaco per il nuovo Comune è stato il disagio per cinque centimetri di neve, guarda caso, caduti proprio quando c’è stato il trasferimento dei poteri amministrativi. Se Lei dovesse vincere, diversi cittadini hanno già promesso che, quando nevicherà, Le invieranno ogni secondo migliaia di reclami, così pure quando ci sarà il vento e le foglie cadranno sui marciapiedi. Aveva ragione quel tizio, che si trova nella sua lista, che, quando era nella lista di Marco Panzeri, mi diceva: “Bisogna essere in Comune per capire come vanno le cose!”. Anche Lei capirà che di tutto ciò che ha promesso non riuscirà a mantenere neppure le virgole che si è dimenticato di mettere nel suo programma. Lo capisco: la fretta di stendere due cavolate gioca brutti scherzi!
d) Se Lei dovesse vincere, ce la farà ad amministrare il nuovo Comune con quelli del suo gruppo? Tutti sanno come sono stati raccolti: bisognava mettere insieme una lista! Lei sarà costretto ad andare all’estero (fuori Valletta) per trovare almeno tre o quattro tecnici in grado di gestire il nuovo Comune? E che cosa poi succederà?
e) Sia ben chiaro una cosa: non ho dato, non do e non darò mai un giudizio “morale” sui candidati presenti nella Sua lista, signor Fagnani. Il mio giudizio è solo tecnico-amministrativo: riguarda la capacità di una persona a gestire l’amministrazione di un paese. Possiamo anche essere onestissimi o santissimi, ma non è questo il problema. La domanda è: siamo in grado di amministrare un paese? Sono passati i tempi in cui, soprattutto nei nostri piccoli Comuni, ci si limitava a dire: “Quel tizio va bene a fare il sindaco: È un bravo uomo!”. Ci vuole ben altro.
f) E allora, signor Fagnani, perché non evita di vincere le elezioni, sapendo che in ballo ci sono solo due liste, per cui, anche nel caso di sconfitta, Lei farà da opposizione, e così avrà tutto il tempo, nei prossimi cinque anni, di prepararsi adeguatamente e di costruirsi un gruppo di gente preparata, in vista del prossimo turno elettorale? Il mio timore è che, anche sui banchi dell’opposizione, Lei non abbia la cultura “politica” necessaria per capire quando e come controbattere eventuali “deficienze” o ”scelte sbagliate” della maggioranza.  
Chi volesse leggere i programmi delle due liste, eccoli
LISTA “NOI La Valletta”
oppure
Noi La Valletta – Programma
***
LISTA di Fagnani
oppure
PROGRAMMA+ELETTORALE+IMPEGNO+PER+LA+VALLETTA+BRIAZA
(3/continua)

 

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La lista “NOI La Valletta” deve togliersi di dosso

ombre ingombranti 

nomi valletta bene

di don Giorgio De Capitani
Se, come ho già detto nel precedente articolo, quelli della Lista Fagnani in gran parte erano contrari alla fusione di Perego e di Rovagnate,  non è però che quelli della lista “NOI La Valletta”, provenienti dalla ex amministrazione di Perego, fossero del tutto determinati a fare il grande passo. A farli decidere è stata una “strana” serie di circostanze “provvidenziali”, tanto più che, scadendo quest’anno il mandato quinquennale, ancora oggi mi chiedo con quale pudore si sarebbero di nuovo presentati ai cittadini chiedendo loro la fiducia. Probabilmente, non sarebbero neppure riusciti a comporre seriamente una lista. In ogni caso, l’avevo giurato: non sarei andato a votare!
Comunque, non sto dicendo che non ci fosse tra gli ex amministratori di Perego almeno un’idea della “bontà” della fusione, magari coltivata da anni nella culla dell’utopia. Dico solo che mai si decidevano. Se, come sostengono, Giorgio Dall’Angelo era così convinto da essere da loro considerato come il “pioniere” della fusione, perché quando era sindaco di Perego non ha fatto nulla in tal senso?
Non sopporto che non si riconoscano i fatti. E i fatti già parlano da soli: stanno a  dimostrare che a dare l’avvio alla fusione è stata, lo ripeto, una “strana” serie di circostanze “provvidenziali”, tra cui una in particolare:  l’imminente tracollo dell’ex Comune di Perego. E diciamola tutta: anche per colpa di una minoranza (ora nella lista di Fagnani) che non ha fatto il proprio dovere di stimolare “intelligentemente” la maggioranza, preoccupandosi solo di esporre sulla facciata del Comune un lenzuolo inneggiante al ritorno dei Marò. Come dire: la casa sta bruciando, e chissenefrega! D’altronde, questo grave “difetto” della minoranza è la caratteristica di una misera politica di paese, che fa di tutto per vincere le elezioni, ma, se non le vince, tutti poi tornano a casa, lasciando fare e strafare alla maggioranza.
Già qui vorrei anticipare una cosa. Il problema delle due liste non è solo chi vincerà, ma anche chi perderà: in caso di sconfitta, la lista saprà fare una vera, intelligente, costruttiva opposizione? A osservare bene i candidati della Lista Fagnani, bisognerebbe già averne paura! In senso negativo, è chiaro!
Riprendiamo il discorso sulle ex amministrazioni di Perego. È sotto gli occhi di tutti ciò che hanno fatto negli ultimi cinquant’anni. Il paese di Perego ha subìto una tale distruzione ambientale da essere ormai irreversibile. Si può dire che non c’è stata una amministrazione saggia e previdente, all’altezza del compito primario di salvaguardare il Bene comune. Sembrava che il circolo vizioso fosse tale da non essere più possibile uscirne indenni. Non sto qui a elencarne le cause e le colpe. Ma non è neppure onesto far finta di nulla e metterci una pietra sopra, anche perché con la fusione bisogna assolutamente rendersi conto, da parte degli ex amministratori di Perego, presenti nella lista “NOI La Valletta”, che è indispensabile dare una svolta anzitutto al loro modo di fare politica amministrativa. Perciò: o lasciare via libera ai più giovani anche di Perego che sembrano promettere bene, oppure imparare una buona volta  da chi, in questi anni, ha saputo gestire per il meglio il Comune di Rovagnate. Qui il campanilismo non c’entra nulla! Un po’ di sano realismo e di umiltà non farebbe male, e sarebbe un’ottima partenza. 
Sto raccogliendo in questi giorni alcuni malumori e soprattutto alcune riserve nei riguardi dei componenti della lista “NOI La Valletta”, e riguardano proprio coloro che, direttamente o indirettamente, per convinzione o per amicizia o per parentela, richiamano la vecchia guardia di Perego, legata al gruppo di Giorgio Dall’Angelo. Premetto che, anche in alcune precedenti amministrazioni di Rovagnate, c’erano infiltrati “opportunisti”, con cariche di un certo peso. Una volta, era più facile che ci fossero conflitti di interessi, palesi o nascosti. Dietro, c’era sempre un boss che strumentalizzava i più ingenui. Ma ad arrivare, come è capitato recentemente a Perego, ad avere un assessore che ha cercato di prendersi diritti di prelazione su una casa – pensate un po’ – di una famiglia di Perego, questo è veramente il colmo dei colmi! Notate: un assessore, amico stretto di Giorgio Dall’Angelo, facente parte della sua amministrazione, e successivamente anche dell’amministrazione di Paola Panzeri, fino a quando, per forza di cose, ha dovuto lasciare. Conclusione: ora andate a convincere quelli della famiglia usurpata nei suoi diritti, i loro parenti e amici, a votare per la lista “NOI La Valletta”, quando alcuni nomi presenti nella Lista richiamano le “ombre del passato”!
E non tentate neppure di dimostrarmi che i fatti accennati non sono così come li ho presentati, perché ve lo garantisco: vi prenderei a pedate nel sedere! Casomai, dimostrate ai cittadini che le cose cambieranno, e che non dovranno più succedere certi crimini. Garantitelo! Non solo: bisognerebbe anche riparare i danni e possibilmente risolvere le cose secondo giustizia! 
C’è di più. Gli ex amministratori di Perego dovranno garantire un’altra cosa: che cambieranno idea anche sull’ambiente. Per ora faccio solo un accenno. C’è una grossa patata bollente da affrontare: il piano edilizio che prevede decine e decine di villette sul terreno sovrastante le Scuole e il Comune. Dicono che i permessi ci sono, e che potrebbero partire anche domani a costruire, creando così uno dei più grossi scempi ambientali della Valletta, e non solo. E questa situazione allarmante è dovuta all’incoscienza prima e alla indifferenza dopo di diverse amministrazioni di Perego. Quel piano edilizio va bloccato con tutti i mezzi, anche con proteste! Tornerò su questo argomento scottante.
E ora passiamo ad analizzare il programma delle due Liste in lotta per vincere. Mi soffermerò in particolare sul programma della Lista Fagnani. Cose turche! Mi chiedo fino a che punto si possa ancora prendere per il culo i cittadini di un paese! Al prossimo articolo. Sarò duro, durissimo. I cittadini devono aprire gli occhi, per non farsi infinocchiare da imbonitori da quattro soldi. 
(2/continua)
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LA VALLETTA BRIANZA:

le due liste a confronto…

lista elettorale

di don Giorgio De Capitani
È già iniziata la campagna elettorale per scegliere la futura amministrazione che governerà il nuovo Comune “La Valletta Brianza” per i primi cinque anni?
Bene, non sarò certo io a fregarmene o ad assistere passivo come faranno tanti cittadini.
Ho lottato per la fusione, ed è mio sacrosanto dovere lottare perché il nuovo Comune non venga affidato a persone incompetenti o, per lo meno, discutibili.
Premetto subito che ho già letto il programma elettorale delle due liste in competizione. Tuttavia, prima di dire ciò che ne penso, vorrei fare alcune considerazioni sulle liste.
Anzitutto. Ambedue le liste – “Impegno per La Valletta Brianza per un futuro migliore” capeggiata da Alessandro Fagnani e “NOI La Valletta” capeggiata da Roberta Trabucchi – si presentano come “liste civiche”. Ormai è di moda nascondere ai cittadini la propria identità politica con l’aggettivo “civico”, così tanto accattivante, accomodante e omologante. Ma chi ci crede? Diciamo che: la lista di Fagnani è tendenzialmente “leghista”, mentre la lista “NOI La Valletta” è te tendenzialmente “di sinistra”.
Ancora. Leggendo i nomi dei reciproci candidati delle due liste, appare subito una notevole differenza nella loro età. Più anziani i candidati della lista di Fagnani, più giovani quelli della lista “NOI La Valletta”.
Ancora. Ci sono quattro donne da una parte e quattro dall’altra, anche se è proprio una donna a guidare la lista di “NOI La Valletta”, Roberta Trabucchi. Tuttavia, quattro donne su dodici siamo al di sotto della metà. Non sono mai stato d’accordo sulle quote rose imposte per legge. Se ci sono donne seriamente impegnate va bene, altrimenti è meglio farne a meno. Tuttavia, possiamo chiederci il motivo per cui le donne non si impegnino nel campo politico. Solo colpa dei maschi che non lasciano loro lo spazio?
Ancora. Le due liste hanno avuto un’origine del tutto differente. Alessandro Fagnani si è messo subito in gioco, di persona: si è auto-proclamato candidato sindaco, senza sapere inizialmente cosa sarebbe successo. La lista se l’è scelta personalmente, senza avere prima un proprio gruppo affiatato. Perciò, possiamo benissimo parlare di “Lista di Fagnani”. Non è successo così per la lista “NOI La Valletta”. C’era un gruppo abbastanza numeroso, composto di quelli di Perego e di Rovagnate, che si trovava settimanalmente a discutere sul programma ecc. ecc, senza avere però un nome ben chiaro in testa di chi candidare come futuro sindaco, che è arrivato in extremis. Perciò, dobbiamo sempre parlare di lista “NOI La Valletta”, perché in realtà è la lista di un gruppo più che di una persona.
Ancora. Se la lista “NOI La Valletta” è composta di diverse persone che hanno avuto una particolare esperienza nelle precedenti amministrazioni (basterebbe pensare alle due ex sindachesse, Paola Panzeri e Marina Galbusera), la lista di Fagnani è “quasi” del tutto composta di gente “inesperta”, anche se Fagnani fa valere la propria precedente esperienza nel campo amministrativo. In ogni caso, non mi si dica che un paese vale l’altro, e perciò non basta una conoscenza tecnica amministrativa generica, occorre anche la conoscenza del posto dove si è chiamati ad agire. È stato il primo errore della Lega: fare liste con componenti extra territorio, per evitare condizionamenti vari da parte di amici e di parenti. Ben presto, però, anche la Lega ha capito che non si poteva amministrare un paese senza conoscerlo nei suoi dettagli, nei diversi campi da quello sociale fino a quello geologico. Sì, c’è qualcuno nella lista di Fagnani che ha fatto parte della ex minoranza di Perego, e c’è anche un componente che aveva già fatto parte della amministrazione di Marco Panzeri. A proposito di quest’ultimo, vorrei ricordare le discussioni che facevamo, quando mi arrabbiavo perché l’amministrazione di Marco Panzeri mi sembrava rallentasse troppo alcuni permessi che chiedevo per lavori in corso della parrocchia di Monte, e lui mi spiegava, convinto di quello che diceva, che “bisogna essere in Comune per capire come funzionano le cose”. E le discussioni riguardavano anche coloro che si mettevano in lista per portare a casa interessi privati. A Monte sapevano quanta rabbia io provassi nel constatare che ogniqualvolta c’erano le elezioni ci fosse sempre qualcuno pronto a farsi valere per far valere i propri interessi. Chiusa parentesi. Per il momento.
Ancora. Sempre restando ai candidati dei due gruppi, è evidente la composizione apparentemente unitaria della lista Fagnani, e la composizione diciamo più complessa ed eterogenea della lista di “NOI La Valletta”. Provenendo, quest’ultima, dalle due ex amministrazioni di Perego e di Rovagnate, credo che non sia stato facile equilibrare la presenza pereghina e la presenza rovagnatese, e anche fare già subito certe scelte, ad esempio dove sarà la sede del nuovo Comune. Tuttavia, non è da sottovalutare il fatto che la candidata sindaco proviene dalla ex amministrazione di Perego. 
Ancora. A favore della lista Fagnani gioca l’elemento “novità”, nel senso che potrebbe dare una svolta nuova ai due paesi, anche se ciò riguarderebbe solo l’ex comune di Rovagnate, ormai gestito da quasi vent’anni da una amministrazione di sinistra, iniziata con Fabio Sottocornola, continuata poi per due mandati da Marco Panzeri, e ultimamente, per quasi tre anni, da Marina Galbusera. Non si può dire la stessa cosa per Perego, che, negli ultimi decenni, è stato amministrato a fasi alterne, tra commissari e sindaci dimessi o deceduti. Ciò, come vedremo, potrebbe incidere sulla nuova amministrazione, se dovesse vincere la lista “NOI La Valletta”.
Ancora. Se è vero che, nel 1997, con la lista “Voltiamo pagina” si è iniziato a dare una svolta radicale al paese di Rovagnate, governato per decenni, decenni e decenni da amministrazioni diciamo “bianche”, con tendenze anche clientelari, di parentele varie, ecc, e il cambio è avvenuto (davvero interessante!) ad opera di un gruppo di giovani, è anche vero che, se è giusto dopo decenni cambiare le tendenze politiche delle amministrazioni, non bisogna però cadere nella tentazione di pensare: “È ora di cambiare: finora avete fatto i cavoli vostri, ora tocca a noi fare qualche nostro interesse. Un po’ per uno!”. Purtroppo, è un detto che rivela una mentalità reale e pericolosa. Ci si alterna per il “meglio” e non per scambiarsi il “peggio”!
Ancora. Non possiamo dimenticare che quelli della lista di Fagnani sono stati in gran parte, se non tutti, contrari alla fusione di Perego e di Rovagnate. E questo per me sarà un grave handicap, almeno psicologico, per affrontare, in caso di vittoria, la gestione amministrativa del nuovo Comune. 
Ma… per quanto riguarda la lista “NOI La Valletta” il mio discorso non è chiuso. Anzi, come promesso, toglierò qualche velo di troppo. Al prossimo articolo.
(1/continua)
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La prossima amministrazione comunale

e il mondo giovanile

di don Giorgio De Capitani
A maggio, i cittadini del nuovo Comune “La Valletta Brianza” (Perego e Rovagnate) saranno chiamati a votare per eleggere la nuova amministrazione. In quanto cittadino, residente a Cereda, ho il diritto e il dovere di dire la mia. Nessun divieto di Angelo Scola potrà impedirmelo. Non posso dir Messa nella Valletta? Mi adeguo. Ma non posso svestirmi del fatto di essere cittadino, ovunque, iniziando dal contesto dove abito. 
Inizierò a stendere delle riflessioni sul Bene comune, che è il cuore di ogni amministrazione, così come è l’essenza della Politica.
So di parlare magari a vuoto. Non è facile elevare il discorso con gente, che è stata abituata da secoli a obbedire ai propri capi: prima ai padroni e ai preti, poi ai leader politici, che cambiavano sigla e ideologia (prima Dc, poi Lega e Destra berlusconiana), ma sempre nell’ambito di quel gioco altalenante di imbonitori che distribuiscono a piene mani promesse di pancia.
È vero: la religione ha insegnato ben poco di buono, visti gli effetti di oggi. Una religione attaccata alla pelle, ma senz’anima! E si continua ancora così, nella cecità più assoluta, lasciando che i brianzoli si accontentino di qualche salamella o di festicciole con tanta parvenza di solidarismo ipocrita, bestemmiando nello stesso tempo quel Cristo che sulla croce non ha detto al mondo: “Fate i cazzi vostri! Ognuno per sé…”, e non ha insegnato il detto: “Pancia mia, fatti capanna!”. 
Sono andato a rileggere gli articoli che avevo scritto, quando ero a Monte, sul foglio settimanale “A proposito di…”, durante la campagna elettorale per le amministrative di Rovagnate del 2007. Li ritengo ancora degni di considerazione, perciò traggo alcuni spunti per le riflessioni sul Bene comune.  
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Dopo le riflessioni sul Bene comune in genere, ecco ciò che dovrebbe stare più a cuore a un sindaco e ai suoi più stretti collaboratori: quel bene che è il cuore del Bene comune, cioè la realtà giovanile.
La realtà giovanile è il futuro di un paese. Non si possono, tuttavia, dare ai giovani spazi “liberi”, ma lasciando un paese vecchio e senza futuro. Pensare e preoccuparsi della realtà giovanile è costruire un paese giovane, dove i giovani possano trovarsi a loro agio: non per comodo, o solo perché in tal modo creano meno problemi: basti pensare  a quei fenomeni allarmanti, che soprattutto oggi, nelle democrazie passive o delegate, costituiscono spine pungenti nei fianchi di una società immobile e amante del quieto vivere.
Realtà giovanile è quel mondo di energie che danno una tale giovinezza da coinvolgere l’intero paese, il quale potrà in tal modo crescere sempre giovane, così che i giovani di oggi preparino i più giovani del domani a continuare nella novità che rinnova.
Dunque, quello dei ragazzi e dei giovani non è un problema fine a se stesso, non lo si risolve dando loro spazi propri entro cui lasciare che se ne stiano buoni buoni con la libertà assoluta di autogestirsi, il che significa: fare ogni esperienza che viene in mente, o meglio, secondo l’onda del momento che – chissà perché non lo si vuol vedere! – è quella imposta dal sistema perverso di un certo mondo adulto. Poveri questi giovani, in balìa di un sistema che li strozza nella loro libertà; e loro, questi giovani alla mercé dell’imbonitore più accattivante, neppure si accorgono di essere solo “apparentemente” liberi, inseriti in un ingranaggio, i cui componenti meccanici sono così ben oleati che non fanno rumore, che anzi sembrano accarezzare ogni componente con mani vellutate.
Secondo alcuni sindaci (e non solo loro), il problema giovanile è facilmente risolvibile, offrendo ai giovani un locale tutto per loro, o uno spazio all’aria aperta (d’estate, naturalmente), lontano dalle abitazioni, per evitare contestazioni di cittadini disturbati nella loro quiete.
Ma il problema vero è un altro. Non si tratta di anestetizzare gli istinti giovanili, lasciandoli sbollire in una falsa convinzione che quello spazio d’autogestione “conquistato” con chissà quali sacrifici sia un sogno raggiunto (che poi dura poco, solo quei pochi anni di transizione, passati i quali chi si è visto si è visto!). Il vero problema sta nel saper educare i ragazzi e i giovani ad acquisire una “coscienza civica”, tale per cui loro stessi si sentano protagonisti nel dare al Paese la sua misura d’Uomo. A iniziare dal proprio piccolo. Questi giovani cosiddetti impegnati nel sociale (pochi in realtà, per di più timidi e quasi anonimi) credono che basti interessarsi di globalizzazione o fare qualche gesto per la pace o starsene buoni buoni in qualche gruppo di volontariato, per sentirsi “impegnati”. E chi poi li vede nel loro paese, negli ambiti che coinvolgono in qualche modo la realtà del loro ambiente esistenziale?
Il vero problema sta nel far capire ai giovani d’oggi che il mondo è “loro”, non per goderselo in santa pace, ma per cogliere ogni attimo e riempirlo di speranza, di quella vitalità che può fare di ogni istante una grazia rinnovatrice. Altro che “carpe diem” inteso come: prendi per il collo l’attimo che sta per fuggire, fermalo, mungilo, sfruttalo più che puoi, spremilo come se fosse carico di chissà quali frutti! Ma se l’attimo è vuoto, come è vuoto il tuo cervello, quale frutto pretendi?
Sembra che oggi – e lo ripeto fino alla noia! – tutto il problema consista nel dare ai giovani degli spazi di tempo libero autogestibili, ma vuoti di valori. E che cosa si ottiene? Nessun risultato soddisfacente: i giovani rimangono nel vuoto, con la mente scarica. Agli amministratori però resta la soddisfazione di aver fatto qualcosa. Che importa il risultato? Tanto lo si sa: gli apparati statali (e non solo statali) non sono altro che un insieme di formalità, nomi prestati per l’occasione e per iniziative cartacee. Oltre, c’è il nulla. E non è a dire che il nulla di fatto metta poi in crisi gli apparati, i quali rimangono, anche se cambiano i nomi dati in prestito o le iniziative cartacee (i timbri servono per essere usati, altrimenti prendono la ruggine).
Perché gli enti pubblici (sto parlando di amministrazioni comunali) non prendono a cuore, veramente a cuore, la realtà giovanile (la realtà precede il problema: il problema quando si verifica testimonia un precedente vuoto educativo o legislativo), così da farne il cuore più palpitante di un paese, il cui futuro sta nelle sue migliori energie, nelle sue risorse più promettenti? E quali sono le migliori energie, le risorse promettenti?
E quando parlo di energie o risorse non alludo certo a cose, a strumenti, a mezzi tecnologici, a tutto quel mondo di avere che, sfruttato e manipolato a dovere, scatena una serie di impulsi di dominio e di predominio.
Un paese non si sviluppa solo sfruttando le sue risorse economiche e tanto meno – cosa deprecabile – speculando sulle risorse della natura, ma sulla capacità di realizzare al meglio le risorse “spirituali” dei giovani. Non sto qui a ripetere ciò che ho più volte detto a proposito delle risorse cosiddette “spirituali”, che non si limitano ad una questione di fede religiosa, e neppure  riguardano quel mondo intimistico, in cui tanti si rifugiano per trovare quelle compensazioni interiori che hanno lo scopo di controbilanciare il peso di una vita noiosa imposta da una società materialista.
Le risorse “spirituali” dei giovani sono quelle energie interiori che fanno parte costitutiva dell’essere umano. Il problema sta nel disseppellirle, dal momento che fin dalla nascita la società, nel suo insieme (talora con il tacito assenso della religione), non fa che coprirle sotto un cumulo di cose. E il peso delle cose cresce con il crescere degli anni, facendo tacere la voce dell’”essere”. Le cose si impongono con il fascino allucinante dell’apparenza. Allucinante, perché l’apparenza inganna: le cose che non hanno senso – e il senso lo perdono con l’accumulo selvaggio – distolgono l’interesse dall’”essere”, che per la sua stessa natura si fa valere in sé, senza apparire.
La società prima rovina i ragazzi e i giovani fin dalla loro nascita, e poi ipocritamente vorrebbe salvarli, creando loro dei ghetti – li chiamano ambienti autogestiti! –, in cui tenerli a freno, lasciando che essi in tutta libertà (ovvero libertinaggio) sbolliscano i loro istinti, resi ruvidi e impazziti dalla stessa società consumistica, che comprende stato, religione e famiglia.
Non si tratta di fare un’opera preventiva, nel senso che i ragazzi e i giovani debbano essere preparati ad affrontare le cazzate che faranno, perché così è di moda, perché così fan tutti, perché è un passaggio obbligato. Anche la parola “prevenzione”, troppo usata e mal usata, andrebbe rivista e ripensata. Sembra quasi che tutto l’impegno stia nell’avvertire i ragazzi che non devono fare questo o quello, per evitare di cadere nei pericoli, o di entrare nell’onda della stupidità diffusa.
Se la società non fosse quella che è, se la cultura dominante non fosse quella demenziale omologazione del cervello in nome di una ideologia senza idee chiare e lungimiranti, se il potere non fosse quel diabolico predominio sulla libertà della persona, se… forse che saremmo qui a inventare una scalinata su cui lasciare che i nostri ragazzi e i nostri giovani stiano seduti, ammazzando il tempo e giocando con la vita?
È tutto sbagliato questo mondo, in cui ci si scaglia l’uno contro l’altro per occupare propri spazi, inventandosi giorno dopo l’altro motivazioni egoistiche sempre più assurde, in un contesto ormai globalizzato come l’attuale, in cui, che lo si voglia o no, siamo dentro tutti.
Come puoi dire ai ragazzi e ai giovani d’oggi che loro sbagliano a pretendere spazi autogestiti per chiudersi in un ghetto ammazza-futuro, quando la società – e la società ha un nome e un cognome nei suoi rappresentanti! – è la prima colpevole, la prima a dover fare un serio esame di coscienza, ed è la prima ad essere chiamata per ribaltare la situazione, senza tutti quei se e quei ma, che hanno sempre giustificato ritardi se non addirittura la situazione stessa.
E la società sono io, sei tu, siamo tutti noi adulti. Perciò prendiamoci la nostra piena responsabilità e poniamoci seriamente la domanda: se la società corre su binari sbagliati, cosa fare per rimetterla sui binari giusti? A che serve tamponare qualche falla, a che serve trovare spazi favorevoli, a che serve suonare i campanelli d’allarme, se non si ha il coraggio di fermarsi, di bloccare il treno e di prendere la strada giusta?
Ai giovani occorre dire come stanno le cose e coinvolgerli nella rivoluzione. Smettiamo di dir loro panzane e di lasciarli godere con le nostre panzane, educandoli a vivere di panzane, così da convincerli che con le panzane diventeranno i futuri seminatori di panzane. La ruota del mulino continua a girare e a macinare le stesse panzane, sempre più sottili, ma sempre panzane.  
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Chiedete al futuro sindaco se abbia un progetto Politico

per il nuovo Comune 

di don Giorgio De Capitani
A maggio, i cittadini del nuovo Comune “La Valletta Brianza” (Perego e Rovagnate) saranno chiamati a votare per eleggere la nuova amministrazione. In quanto cittadino, residente a Cereda, ho il diritto e il dovere di dire la mia. Nessun divieto di Angelo Scola potrà impedirmelo. Non posso dir Messa nella Valletta? Mi adeguo. Ma non posso svestirmi del fatto di essere cittadino, ovunque, iniziando dal contesto dove abito. 
Inizierò a stendere delle riflessioni sul Bene comune, che è il cuore di ogni amministrazione, così come è l’essenza della Politica.
So di parlare magari a vuoto. Non è facile elevare il discorso con gente, che è stata abituata da secoli a obbedire ai propri capi: prima ai padroni e ai preti, poi ai leader politici, che cambiavano sigla e ideologia (prima Dc, poi Lega e Destra berlusconiana), ma sempre nell’ambito di quel gioco altalenante di imbonitori che distribuiscono a piene mani promesse di pancia.
È vero: la religione ha insegnato ben poco di buono, visti gli effetti di oggi. Una religione attaccata alla pelle, ma senz’anima! E si continua ancora così, nella cecità più assoluta, lasciando che i brianzoli si accontentino di qualche salamella o di festicciole con tanta parvenza di solidarismo ipocrita, bestemmiando nello stesso tempo quel Cristo che sulla croce non ha detto al mondo: “Fate i cazzi vostri! Ognuno per sé…”, e non ha insegnato il detto: “Pancia mia, fatti capanna!”. 
Sono andato a rileggere gli articoli che avevo scritto, quando ero a Monte, sul foglio settimanale “A proposito di…”, durante la campagna elettorale per le amministrative di Rovagnate del 2007. Li ritengo ancora degni di considerazione, perciò traggo alcuni spunti per le riflessioni sul Bene comune.  
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La politica dei futuri amministratori sembra dettata dalla fretta di realizzare il programma elettorale che già, nella sua stesura, non rivela quell’ideale o quel sogno che ciascuno di noi, nelle sue migliori intenzioni e volontà di Bene comune, dovrebbe avere ben fisso nel cuore. Parlo naturalmente dei cittadini a cui sta a cuore la società, il proprio paese. Saranno pochi, purtroppo, ma qualcuno c’è. 
La fretta di stendere un programma raffazzonato – messo insieme all’ultimo momento, con troppa carne al fuoco, ma senza un disegno “intelligente” e “previdente” – è la premessa del fallimento delle amministrazioni che, alla prima difficoltà, si bloccano, anche perché, oltre al programma raffazzonato, la lista dei vincitori (anche quella dei vinti) il più delle volte è anch’essa raffazzonata, messa insieme all’ultimo minuto. Alcuni candidati servono per riempire la lista. Una volta eletti, giorno dopo giorno li vedi defilarsi, per mille motivi, per nulla giustificabili da parte dei cittadini che li hanno votati credendo in loro. 
Sono convinto che, se non c’è un chiaro disegno globale (chiamalo sogno o ideale, è la stessa cosa) non si potrà realizzare il Bene comune di un paese, proprio perché manca quel quid che dà l’anima al Bene comune: quel quid che eviti di ridurre il Bene comune a un caotico insieme di cose da fare, l’una staccata dall’altra, col rischio che l’una danneggi l’altra, come succede spesso nella realtà. L’ho già ripetutamente detto: se tu sviluppi selvaggiamente il paese, danneggi tutto il paese. Se dai preferenza a certi interventi che possono benissimo aspettare, tu ritardi altri interventi più necessari.
Non sono convinto che nei nostri amministratori – parlo in genere – ci sia quella chiarezza di idee che illuminano il disegno globale sul paese. O, se c’è un disegno, non è quell’ideale o quel sogno che sta al di sopra dei numerosi caotici interventi che riguardano cose o strutture varie.
Quando, in occasione delle elezioni, viene presentato al pubblico il programma elettorale (già dire programma dice poco), si fa un elenco di “cose”, di “interventi”, ma difficilmente sento parlare del sogno del sindaco, del suo ideale di paese, del suo disegno globale. Cosa intende il sindaco per sviluppo? Come vede la crescita del paese? Dalle risposte derivano poi i vari interventi, le cose da fare, e soprattutto le priorità da realizzare.
Nessuno più dovrebbe credere alle promesse elettorali, tanto meno dar fiducia a chi fa a gara nell’elencare più promesse, o a coloro che promettono ribassi di tasse. Purtroppo ci sono ancora milioni di cittadini che hanno una visione distorta della politica, e la intendono come un super-mercato dove andare a comperare le cose a basso prezzo, non importa se il prodotto è scadente. Che strani questi cittadini che non vogliono mai pagare le tasse, però chiedono servizi sociali sempre più efficienti! Non si pongono neanche il problema come lo Stato possa offrire servizi qualificati, senza soldi! È vero che non è giusto che le tasse le paghino i più poveri, mentre i ricchi trovano sempre il modo per evadere. Forse per questo le tasse sono eccessive, perché i poveri devono pagare per i ricchi che non pagano. 
Ma perché i cittadini hanno una visuale distorta della politica, e non pensano ad altro che alle tasse? Non è perché la stessa politica li ha educati così? Chi ha parlato loro di un sogno, di un ideale, di un progetto globale? Chi li ha convinti che con le tasse equamente distribuite si possono realizzare quei servizi qualificati che tutti desideriamo?
Non credo più alle promesse elettorali, se non tocco con mano quella convinzione di fondo che è in grado di animare un programma elettorale. Il programma deve rivelare un progetto, un ideale, un sogno.  
Perché insisto? Il motivo è semplice: non vedo dietro a un programma un disegno, un ideale, un sogno. Ci sarà anche, ma non riesco a vederlo. E se non riesco a vederlo, un motivo ci sarà. Forse c’è, ma non è chiaro; forse c’è, ma non è evidenziato come dovrebbe. Forse per paura che la gente se ne freghi del progetto e, se non vede una lista di cose da fare, non dia il proprio consenso.
Anche qui, siamo schietti. Si ha paura del salto di qualità, si ha paura di rischiare proponendo un progetto azzardato. Perché non tentare? Perderai le elezioni, ma almeno avrai avuto la soddisfazione di tentare. Ma sono convinto che tanti, tantissimi tra i cittadini capiranno il salto di qualità, e daranno fiducia. D’altronde, bisogna pur partire. Qualcuno deve pur rischiare. Altrimenti, saremo sempre al solito punto di partenza: i cittadini saranno costretti a scegliere tra un programma che promette di più (senza qualità) e un programma che promette di meno (con  qualità). 
Anch’io temo che non ci sia ancora quella convinzione di fondo per cui le amministrazioni non si lascino tentare più dal fare che dal progettare. D’altronde, se è giusto puntare sull’educazione dei cittadini al meglio, non dimentichiamo che gli amministratori provengono dalla cultura del mediocre. Forse, educando i cittadini al meglio, potremmo avere fra poco amministratori diversi. Fra poco? L’educazione al meglio (che è il risveglio dell’essere) richiederà lunghi tempi. Non so se basteranno decine e decine di anni: la cultura dell’avere si è così diffusa nell’anima da spegnerla, e l’anima spenta, per risvegliarsi dal coma, richiederà un’energia tale da spaccare la pietra.
Non si può sganciare la politica delle nostre amministrazioni dalla politica generale, che è quella cultura o mentalità di vita in base alla quale si pretende di gestire il mondo intero. E oggi la cultura generale, in particolare quella italiana, è fortemente borghese, capitalista, una cultura che privilegia il mercato folle, l’uso e getta, il consumo. Qui non è questione di partito, di sinistra o di destra. È questione di cultura che, fatta propria dalla destra politica che ha nel suo dna l’avere, attraversa ogni partito, anche quelli di sinistra.
Sono il primo a sostenere che un’amministrazione comunale non debba essere una coalizione partitica, anche se, personalmente, ognuno può avere la sua idea politica. Il Bene comune non è prerogativa di un partito, anche se ciascuno è tentato di far prevalere la propria ideologia politica. Ma il Bene comune è al di sopra delle varie ideologie. Casomai, se un’amministrazione fosse composta di diversi partiti, ciascuno dovrebbe far prevalere il “meglio” della sua cultura politica, al servizio del Bene comune.
Ma ho una paura: che, essendo ogni partito una frammentazione ideologica della cultura dell’avere, il rischio c’è che si fatichi enormemente a uscire da questa logica perversa, e che la si traduca poi sul campo del proprio agire come amministratore. Tu puoi anche parlar bene di Bene comune, ma questa logica ti costringerà a pensare solo allo sviluppo selvaggio del paese. Se tu hai nella testa la logica dell’avere, immancabilmente la tradurrai nell’agire. Non ti accorgi neanche. Questo è il dramma. E non c’è religione che tenga. Anzi, la religione servirà a giustificare la logica perversa dell’avere o del mercato o dello sviluppo insostenibile di un paese. Non c’è peggior connubio in un amministratore credente: quando la sua fede mercifica il Bene comune. Per me non è questione di essere credenti o di essere atei, è questione di credere o di non credere in un sogno, che è quello di volere a tutti i costi un mondo migliore.
L’ho detto più volte, e lo ripeto: non posso sostenere il capitalismo che è nel dna della destra politica, ma non identifico la mia sinistra con un partito, con nessun partito della cosiddetta sinistra politica. Il mio partito è il Vangelo. Il Vangelo non è una religione. È il mio essere, perché il Vangelo più di ogni altra ideologia lo coinvolge e lo appassiona. Il Vangelo coinvolge l’essere umano, credente o non credente, che tu lo voglia o no.
In nome del Vangelo, io credente nel Vangelo, potrò battermi con maggiore convinzione e passionalità per un Bene comune che è al di sopra di quelle banalità che, purtroppo, segnano le ideologie dei partiti politici. Non mi legherò mai ad alcun partito politico (e neppure religioso!), ma l’unico mio vincolo è quel Vangelo che è il Cristo radicale, la cui unica forza sta nella sua libertà e nella libertà dell’Uomo, per la quale si è spogliato di tutto, perfino del suo diritto alla vita.
Questo lo dico per coloro che si vantano di essere cristiani e lo proclamano, soprattutto in occasione delle elezioni, come se fosse un titolo acchiappa-voti essere credenti. E vorrei, con una certa titubanza, dirlo anche a coloro che si vantano di non essere credenti e lo professano apertamente in nome di una laicità che non so ben definire.
Lasciamo da parte la nostra religiosità o il nostro laicismo e accordiamoci sull’unico comun denominatore che è l’Uomo inteso nel suo essere. Qui risiede il Bene comune.   
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I doveri e qualche diritto del Bene comune

di don Giorgio De Capitani
A maggio, i cittadini del nuovo Comune “La Valletta Brianza” (Perego e Rovagnate) saranno chiamati a votare per eleggere la nuova amministrazione. In quanto cittadino, residente a Cereda, ho il diritto e il dovere di dire la mia. Nessun divieto di Angelo Scola potrà impedirmelo. Non posso dir Messa nella Valletta? Mi adeguo. Ma non posso svestirmi del fatto di essere cittadino, ovunque, iniziando dal contesto dove abito. 
Inizierò a stendere delle riflessioni sul Bene comune, che è il cuore di ogni amministrazione, così come è l’essenza della Politica.
So di parlare magari a vuoto. Non è facile elevare il discorso con gente, che è stata abituata da secoli a obbedire ai propri capi: prima ai padroni e ai preti, poi ai leader politici, che cambiavano sigla e ideologia (prima Dc, poi Lega e Destra berlusconiana), ma sempre nell’ambito di quel gioco altalenante di imbonitori che distribuiscono a piene mani promesse di pancia.
È vero: la religione ha insegnato ben poco di buono, visti gli effetti di oggi. Una religione attaccata alla pelle, ma senz’anima! E si continua ancora così, nella cecità più assoluta, lasciando che i brianzoli si accontentino di qualche salamella o di festicciole con tanta parvenza di solidarismo ipocrita, bestemmiando nello stesso tempo quel Cristo che sulla croce non ha detto al mondo: “Fate i cazzi vostri! Ognuno per sé…”, e non ha insegnato il detto: “Pancia mia, fatti capanna!”. 
Sono andato a rileggere gli articoli che avevo scritto, quando ero a Monte, sul foglio settimanale “A proposito di…”, durante la campagna elettorale per le amministrative di Rovagnate del 2007. Li ritengo ancora degni di considerazione, perciò traggo alcuni spunti per le riflessioni sul Bene comune.  
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Il Bene comune è ciò che riguarda ogni cittadino, come soggetto di doveri e di diritti. Do la colpa alla filosofa Simone Weil se non riesco più ad accettare di sentir parlare di diritti e solo di diritti, dal momento che il nostro essere umano è anzitutto fondato sul dovere, che è lo stesso essere umano. I diritti procedono dai doveri, che sono insiti nel nostro essere umano in quanto tale.
Non solo. Non siamo esseri singoli, ma sociali. Facciamo parte di una società. E la società, perché sia armonica, deve equilibrare i doveri e i diritti. Tentare di comunicare questa elementare verità, sarebbe già una sfida.
Il Bene comune, allora, riguarda i doveri e i diritti perché i cittadini possano vivere armonicamente nella società che, come tutti possono constatare, non è perfetta o ideale, ma caotica e talora poco disposta ad ogni miglioramento in vista del Bene comune.
Ma la società che cos’è? Non basta dire che è l’insieme delle convivenze e delle convenienze sociali. Gli esseri umani vivono in un contesto, che è anzitutto ambientale. Viviamo su un pezzo di terra, e ogni pezzetto fa parte del globo terrestre. Il nostro primo dovere consiste nell’amare il proprio habitat, ovvero la propria casa, che è la terra, ma dentro il contesto globale. 
Il sindaco e la sua amministrazione non possono mettere il contesto ambientale al servizio di un vantaggio economico, con l’assurdo o il grottesco che con i proventi di uno scempio ambientale potranno costruire servizi ai cittadini: strade, scuole, fognature ecc. Ed è paradossale che un’amministrazione comunale ponga il contesto ambientale al servizio dei diritti “fasulli” dei cittadini. I cittadini non hanno sempre ragione o delle buone ragioni per far valere i loro diritti, quando questi non sono che pretese a discapito del Bene comune.
Il Bene comune è il rispetto per l’ambiente: l’ambiente è la prima casa di ogni cittadino. Forse sarebbe il caso che a tal proposito si istituissero scuole ecologiche, allo scopo di educare i cittadini, a partire dai più piccoli, al rispetto del contesto ambientale.
Il Bene comune è rispettare il respiro profondo del cittadino. È ciò che si dice con la parola “vivibilità”. Non basta avere una casa, se poi l’ambiente in cui vivo non mi fa respirare come dovrei. Non ci vivo più. O vivo male, con tutte le conseguenze che tutti conosciamo. Oggi si pretendono cose sbagliate, e poi, ottenuto ciò che si pretende, ci si lamenta perché “così non si può vivere”. Si permette di tutto, con il favore di leggi follemente economiche, col beneplacito passivo delle amministrazioni comunali e con le forti pressioni di cittadini “pretenziosi”, e poi ci si lamenta che c’è lo smog, lo stress, l’intasamento delle auto ecc.
Il Bene comune richiede un’altra scelta, altrettanto coraggiosa: dare ad ogni cittadino la possibilità di esercitare il diritto alla prima casa: sempre nel rispetto del contesto ambientale, che è sacro e intoccabile. Il paese dovrebbe essere diviso in parti di terra accessibili ad ogni cittadino. Il che significa che non si deve permettere o, almeno, si dovrebbe a tutti i costi ostacolare la corsa al capitale, cioè all’accumulo di terre o di case. Sogno una legge che vieti l’acquisto di terre oltre il dovuto, stabilito dal Bene comune del paese. È vero – chi non lo sa? – che, fatta la legge… trovato l’inganno. Qui s’inserisce il dovere di un’educazione civica nel vero senso della parola e di un’educazione cristiana che appoggi ancor più il senso civico. Come si possa conciliare fede e accumulo di beni non riesco proprio a capirlo. O, meglio, lo capisco fin troppo, finché perdura la concezione di una fede solo intimistica, o di una religione che si presta a giustificare gli interessi degli egoisti, dietro un lauto compenso economico.
Il Bene comune non ha partito, e non ha religione. Si inserisce in quei valori umani e sociali che fanno parte dell’Umanità. E l’Umanità non è soggetta a spartizioni di potere né politico né religioso. L’Umanità è un patrimonio di tutti, accessibile a tutti, prerogativa di tutti, purché ciascuno se ne senta responsabile, fortemente responsabile. Responsabile di essere Uomo o Donna: il sesso non conta, conta la dignità che è insita nell’essere “umano”. Avrei dovuto virgolettare l’essere, perché l’essere è qualcosa che va oltre i confini del tempo e dello spazio. Preferisco non virgolettare l’essere, perché è la sostanza di ciascuno: purtroppo l’uomo o donna (ecco perché ho virgolettato “umano”) se ne dimentica, e mai come oggi l’ha lasciato nel subconscio più irrazionale.
Il Bene comune è rimasto solo una parola di convenienza in occasione di programmi elettorali. Del Bene comune se ne parla a sproposito da politici mestieranti e da imbonitori accalappia-allocchi. Sinceramente mi sento a disagio quando parlo di Bene comune, e tremo di paura al solo pensarci, perché il Bene comune è un bene così prezioso che non può essere “comune” nel senso peggiore del termine. Quando si parla di Bene comune, ognuno pensa: “Ecco, questo è mio!”. E… non pensa al vicino. Rendere il bene veramente comune a tutti – la comunione implica l’unione degli esseri prima che degli averi – è oltremodo difficile, perché a parole siamo tutti d’accordo di volerci bene, in pratica saltare il fosso creato dall’egoismo individuale è assai pericoloso.
Il Bene comune lo si deve prima amare, farlo proprio, lasciarlo palpitare dentro, farlo pulsare con i battiti del proprio cuore. Utopia? Certo, per i mestieranti. Ma dei mestieranti dobbiamo farne a meno. Toglierli dalle liste elettorali. Bandirli da ogni campo educativo. Smettiamo di dire che sono parte necessaria di una società imperfetta. La società è imperfetta proprio perché permettiamo ai mestieranti di assumere incarichi, che comportano grandi responsabilità nel campo degli ideali.
Il Bene comune va messo in mani sicure, affidato alle coscienze prima che ai titolari di uffici burocratici. E non va assolutamente consegnato a gente che si prende gioco dei diritti dei cittadini per fare il proprio sporco interesse. Chi si assume un incarico pubblico nel campo politico-amministrativo non deve trarre vantaggi. Deve cioè mettere in conto che perderà tempo, denaro, clientela, affari, amicizie.
Il Bene comune è al di sopra delle amicizie personali, addirittura degli affetti familiari. Per questo il compito dell’amministratore (termine, comunque, limitativo, per non dire brutto) mette in crisi ogni rapporto, anche familiare, anche con la stessa religione quando questa si intromettesse per far prevalere privilegi indebiti.
Il Bene comune ama la dialettica (cioè il confronto costruttivo), non vive sugli antagonismi ideologici.
Il Bene comune richiede dialettica tra le diverse energie presenti sul territorio, nella ricerca non del compromesso per andare tutti d’accordo o per dare qualche contentino ora a destra ora a sinistra, ma per cercare il “meglio”, che si può trovare anche in una proposta del cittadino più semplice, senza un diploma di quelli che contano.
Il Bene comune è allora la ricerca del “meglio” tra coloro che vogliono veramente bene al loro paese. Non importa se oggi è la maggioranza a proporlo, e domani la minoranza. Si vedono ancora, nei nostri piccoli paesi, cose vergognose, che fanno male al Bene comune.
Il Bene comune è qualcosa da conquistare ogni giorno. Non dire: “È così, e basta!”. Il Bene comune di oggi richiede profezia, tanta profezia: saper cogliere il domani, e il domani è già potenzialmente nell’oggi. Dunque, leggi attentamente il presente, se vuoi capire il domani.
Anche il sindaco è un profeta! Guai se non lo fosse!
*** 

Anzitutto, il Bene comune 

di don Giorgio De Capitani
Fra qualche mese, i cittadini del nuovo Comune “La Valletta Brianza” (Perego e Rovagnate) saranno chiamati a votare per eleggere la nuova amministrazione. In quanto cittadino, residente a Cereda, ho il diritto e il dovere di dire la mia. Nessun divieto di Angelo Scola potrà impedirmelo. Non posso dir Messa nella Valletta? Mi adeguo. Ma non posso svestirmi del fatto di essere cittadino, ovunque, iniziando dal contesto dove abito. 
Inizierò a stendere delle riflessioni sul Bene comune, che è il cuore di ogni amministrazione, così come è l’essenza della Politica.
So di parlare magari a vuoto. Non è facile elevare il discorso con gente, che è stata abituata da secoli a obbedire ai propri capi: prima ai padroni e ai preti, poi ai leader politici, che cambiavano sigla e ideologia (prima Dc, poi Lega e Destra berlusconiana), ma sempre nell’ambito di quel gioco altalenante di imbonitori che distribuiscono a piene mani promesse di pancia.
È vero: la religione ha insegnato ben poco di buono, visti gli effetti di oggi. Una religione attaccata alla pelle, ma senz’anima! E si continua ancora così, nella cecità più assoluta, lasciando che i brianzoli si accontentino di qualche salamella o di festicciole con tanta parvenza di solidarismo ipocrita, bestemmiando nello stesso tempo quel Cristo che sulla croce non ha detto al mondo: “Fate i cazzi vostri! Ognuno per sé…”, e non ha insegnato il detto: “Pancia mia, fàtti capanna!”. 
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Qualcosa si sta muovendo, verso… La Valletta Brianza.
Chi sarà il nuovo sindaco, o, meglio, chi sarà la nuova amministrazione che avrà il compito di dare l’avvio al nuovo Comune che, come tutti sanno, è nato per volere dei cittadini dalla fusione di Perego e di Rovagnate?
Già ci sono le prime scintille, ma da parte di una minoranza, che è stata battuta al referendum, e che vuole vendicarsi con il solito metodo dei sospetti, delle paure, delle lamentele. Le solite comiche!
Mi sembra di capire che questi leghisti non abbiano nulla da proporre. Sono nel vuoto più assoluto di idee, e non trovano di meglio che sparare nel vuoto o nel mucchio. Ma soprattutto si rendono conto di essere quattro gatti, per di più incapaci di prendere in mano una situazione che richiederà un progetto ambizioso. Ma (vedi Salvini, il capo banda dei duri di cervello), non riescono proprio a volare alto, non ce la fanno, per loro tutto è cipolla e patate, ovvero pancia da riempire.
Mi auguro che, nei prossimi giorni, si riesca a formare più liste, almeno tre, che scendano in campo a competere per il “meglio”, in vista del governo del nuovo Comune. Poi, toccherà alla popolazione scegliere i “migliori”. Ma questo sarà un altro problema: quello di convincere la gente a scegliere il “meglio”. Non sarà per nulla facile!
Nel frattempo, a me, cittadino de La Valletta Brianza, interessa che sia presente, nei candidati delle varie liste, quel forte amore al Bene comune, che non mi sembra così bene e così comune, anche se tutti ne parlano, tutti lo mettono nei loro programmi, ne fanno una bandiera, tanto scontata da dimenticarsi di guardarla ogni tanto, nei suoi colori, nei suoi simboli, nei suoi richiami. Più che di una bandiera tricolore (anche questa!), si tratta di una bandiera arcobaleno, che poggia gli estremi sulle sponde più inaccessibili, non per allargare le distanze, ma per congiungerle. Immaginate la difficoltà di raggiungere gli estremi confini del mondo; e noi abbiamo paura a congiungere due piccoli paesi, già in realtà incastonati l’uno nell’altro, anche per colpa di una politica che ha tenuti i paesi chiusi in se stessi? Abbiamo la memoria corta o volutamente miope?
I piccoli paesi della nostra Brianza – e qui vorrei che qualche “luminare” direttore di giornale se lo ricordasse (supposto che ci arrivi!) – sono stati rovinati da uno sviluppo selvaggio, proprio perché erano separati tra di loro, tanto separati da non accorgersi di invadere, l’uno il bene comune dell’altro. E non può bastare nemmeno l’unione dei servizi! Lo sbaglio enorme della Brianza “leghista” è stato che ogni paese pensasse per se stesso. E, se pensiamo poi alla cultura miope della Lega, potete immaginare come siano stati rovinati questi piccoli paesi. E ancora oggi cocciutamente si persiste in questa miopia politica!
Ma non sentite come ragionano questi leghisti, anche nel campo nazionale (vedi il rottame Matteo Salvini)? Che senso del bene comune hanno? Qual è la loro filosofia di vita? Certo, non è che la cosiddetta sinistra agisca diversamente, ma almeno possiamo avere qualche speranza che, prima o poi, dalla sua testa si possa ricavare qualcosa di meglio. Il problema è che il leghista, per natura, rifiuta di pensare. Lui non pensa, lui si aggrappa con tutte le proprie mani al pezzetto di terra che egli crede sia suo, quando in realtà tutto fa parte della destinazione universale dei beni. Certo, è comodo oggi passare dalla parte della sinistra, per poi fare i porci comodi, comperando mezzo paese, con tutti i permessi di questo mondo, ottenuti guardando a destra o a sinistra secondo le opportunità!
Se a priori rifiuto di accettare l’ideologia (!) leghista, non sono però così ingenuo da farmi incantare dal primo che passa con la bandiera rossa.
Soprattutto nei piccoli paesi le bandiere contano finché contano. Vorrei guardare al di là delle bandiere: la bandiera oggi di moda è la “lista civica”, con il rischio di accorpare visioni diverse ma di un bene comune frazionato in mille pezzi. Qui sta il rischio e il pericolo delle liste “civiche”.
Al di sopra di tutto, ci sia il Bene comune, che non significa che deve essere “comune” a tutti i vari schieramenti, come qualcosa che omologhi o accomuni per arrivare ai soliti compromessi.
Già la parola Comune per indicare il Municipio o l’amministrazione dovrebbe farci riflettere.
Ciò che chiedo è semplicemente questo: ogni lista faccia la sua proposta di Bene comune, tenendo conto di ciò che è il Bene comune; e il migliore sarà scelto. Il migliore, come Bene comune.
Smettiamola di fare promesse su promesse sempre in riferimento alla pancia. Smettiamola di fare un programma tenendo unicamente conto del consenso popolare. Certo, la gente ha i suoi interessi da salvare. Ed è sacrosanto tenerne conto. Ma fino a che punto? In fondo, se ci crediamo, il Bene comune prima o poi ricadrà sul vero “ben-essere” della gente. E la gente dovrà capire – altro problema – che il vero ben-essere non è qualcosa che si va al mercato a comperare con gli sconti. Se fossi sindaco, sconti ne farei a nessuno! E lo dico proprio perché sono convinto che il vero ben-essere alla fine paghi, e che a beneficiarne sarà proprio la gente comune.
Come cittadino non voterò mai un programma con promesse di pancia. Voglio credere in un futuro diverso. E il futuro parte dall’oggi, dal poco, dai nostri Comuni, purché osino qualcosa di grande, oltre l’immediato, puntando su progetti ambiziosi.
Non è vero che, unendo più comuni, si perda in qualità, in futuro, in ben-essere. Tutto dipende dal progetto “politico” (da intendere nel senso più nobile del termine), e il progetto non è garanzia di ben-essere per il semplice fatto che i piccoli comuni rimangano separati, nel loro gretto mondo. Non date retta alle farneticazioni del direttore di Merateonline!
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L’aspetto “comunicativo” è importante…

di don Giorgio De Capitani
I cittadini di Perego e di Rovagnate, domenica 30 novembre 2014, hanno detto sì alla fusione: è stato il primo passo decisivo, ma non l’ultimo.
Ora, occorre fare il secondo, quello di dare ai due paesi riuniti (e non fusi) in un unico Comune amministratoti capaci di dare le giuste risposte alle aspettative della gente, ma non solo: capaci soprattutto di dare un volto “nuovo” al nuovo Comune. 
Non sarà facile trovare le persone “giuste”.
Certo, occorrono: competenza, impegno, tempo, dedizione, ma anche volti nuovi.
Cose che ho già detto e ripetuto.
Vorrei invece soffermarmi su un aspetto che ritengo non marginale, ovvero l’aspetto diciamo “comunicativo”. Non mi pare che le nostre amministrazioni abbiano ancora capito l’importanza del “saper comunicare”.
“Comunicare” significa saper trasmettere alla popolazione le cose, importanti e meno importanti, del Comune: iniziative, proposte, informazioni sui servizi sociali, ecc. Tempestivamente, capillarmente e con la maggiore chiarezza possibile.
“Comunicare” significa dare ai cittadini risposte adeguate e concrete alle loro richieste, senza metterli a disagio o creando ostacoli burocratici che irritano, soprattutto nei momenti più dolorosi.
“Comunicare” significa prevenire eventuali richieste, rendendo noti i vari passaggi che si stanno compiendo, quando si tratta di opere di un certo peso o di una certa utilità comune.
“Comunicare” significa non lasciare ai mezzi locali di comunicazione di precedere le notizie, sapendo che queste informazioni non saranno mai del tutto obiettive e soprattutto di seconda mano.
“Comunicare” richiede di avere a disposizione non solo mezzi, ma anche persone competenti, che siano attente e puntuali.
Competenza, attenzione e puntualità: ecco tre parole per una efficace “comunicazione”.
Non si deve dire: non ci sono soldi o c’è ben altro a cui pensare.
La gente va avvertita, va aiutata, va educata, va stimolata a conoscere ciò che succede nel proprio Comune. Soprattutto, quando si tratta di fare certe scelte importanti per il bene comune, bisogna fare di tutto per risvegliare nei cittadini il loro dovere civico.
Lo dico anche per la prossima campagna elettorale in vista del nuovo Comune “La Valletta Brianza”. Certo, sarà importante catturare i voti della gente, ma ancor più importante rendere chiaro il programma elettorale.
1 gennaio 2015
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Il bene comune del nuovo Comune

chiede agli ex amministratori

di fare un passo indietro

di don Giorgio De Capitani
Anche quando commento fatti locali (e non potrei fare diversamente, dal momento che vivo in un certo posto, in un certo ambiente, in certe situazioni esistenziali, a contatto con determinate persone, e l’espressione “i care” è d’obbligo: ciò mi deve coinvolgere) non vorrei però limitare le mie considerazioni entro un cerchio chiuso, quello del mio paese o della mia zona. Ciò che succede qui è un esempio o un modello di ciò che potrebbe succedere altrove.
Quando si chiamano i cittadini a fare scelte importanti, e la gente risponde, bisogna poi avere il coraggio di assumersi le proprie responsabilità, andando fino in fondo, ovvero realizzando ciò che si è promesso, ma uscendo da quello spirito campanilistico sempre pronto a rivendicare: Questo è mio, questo è tuo.
Non è che, fondendo due Comuni, lo spirito campanilistico scompaia automaticamente. Fosse così, sarebbe troppo bello!
In matematica, uno + uno fa due, ma nel caso della fusione dei Comuni il risultato dovrebbe essere qualcosa di diverso da una semplice addizione. È una “nuova” realtà, che nulla ha a che fare con la matematica, anche se i numeri possono ancora contare, almeno nel campo economico e amministrativo. Ma se con mille ragioni accusiamo l’Unione Europea di essersi limitata finora soltanto o quasi agli aspetti puramente economici, perché non partire dai nostri piccoli paesi che, se decidono di accorparsi, non dovrebbero però farlo solo in vista di benefici di tipo materiale o anche sociale, ma puntando più in alto, verso quella qualità della vita che tutti desidereremmo, almeno inconsciamente, ma che poi magari mettiamo in secondo ordine, quando si tratta di risolvere concreti problemi esistenziali?
Ma c’è una buona parte di cittadini che sanno usare anche la testa. Se avessero dato retta ai ragionamenti di pancia della Lega, i cittadini di Perego avrebbero detto no alla fusione con Rovagnate. Invece, ciò non è successo: hanno creduto nel futuro di Perego con Rovagnate.
Ma insisto: se la fusione non dovrà far scomparire le identità dei singoli paesi, neppure dovrà permettere che sopravvivano antichi campanilismi, o che ne sorgano di nuovi. Questo sarà il virus da sradicare.
Ora avviene il bello: fatta la fusione, bisogna partire da una nuova logica di politica amministrativa. Non sarà facile.
Ma l’impresa è affascinante. 
4 dicembre 2014

1 Commento

  1. GIANNI ha detto:

    Ho seguito con attenzione i vari articoli sulla questione.
    Alla domanda perchè non si punta più in alto, vorrei dare una mia risposta.
    Probabilmente, perchè la crisi economica avviluppa in se stessa anche gli altri aspetti.
    Quando la base economica pone problemi assillanti, come commissariamento di paesi o crisi economica di singoli e famiglie, poi è difficle sollevarsi dal solito tran tran.
    Ma confido che, se si risolverà qualcosa, poi un comune più ampio assuma anche una prospettiva esistenziale più ampia.
    E quindi si riesca a oltrepassare il solito quotidiano.
    Ad esempio con iniziative culturali o sociali di vario tipo.
    Comunque, forse i tempi non sono ancora maturi, ma la funzione è stata un primo passo importante.
    Sul nome del paese, ripeto, non condivido affatto la denominazione di La valletta brianza..i residenti come dovrebbero chiamarsi, allora, la valletta brianzesi?
    No, occorre un nome solo, non composito, anche a rimarcare che si tratta di un comune come gli altri, non di un esperimento…..
    Anche i nomi sono importanti per dare una svolta…..

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