Omelie 2016 di don Giorgio: TERZA DOPO PENTECOSTE

5 giugno 2016: Terza dopo Pentecoste
Gen 3,1-20; Rm 5,18-21; Mt 1,20b-24b
Forte disagio
Quando la Liturgia ripropone come lettura da meditare il racconto della Genesi sul peccato cosiddetto originale, sinceramente vado in crisi: mi chiedo che cosa dovrei dire ai fedeli presenti in Chiesa, senza cadere nelle solite scontate considerazioni sul peccato dei nostri progenitori e sulla salvezza riparatrice di Cristo, prendendo per buono ciò che ha attraversato per millenni l’immaginario di un popolo, che è stato costretto a credere in un mito risolutore dell’origine di tutti i mali.
Un racconto enigmatico e affascinante
Vedete: basta talora una paginetta per dare avvio a una storiella, a cui nessuno nega un misterioso fascino accattivante, scritta con immagini e allusioni che hanno avvinto per millenni e millenni non solo la credenza popolare, ma generazioni di grandi geni.
Sì, basta poco: un bel racconto, e per trovarne qualche spiegazione sui simboli, anche senza dover necessariamente prenderlo alla lettera, si sono scritti volumi e volumi tali da riempire intere biblioteche. E si continua ancora a scriverli, anche se oggi non si teme così tanto la possibilità di qualche anatema della Chiesa.
Che cosa c’è di vero?
Ma… ecco il punto: che cosa c’è di vero e che cosa c’è di mitico in tutta quella storiella che sta all’inizio del Testo Sacro?
So che dire storiella può già irritare la credenza di un popolo che oggi si chiama popolo di Dio, in quella Chiesa cattolica che del peccato originale ha fatto un dogma di fede. Siamo però sinceri: se i teologi sono ancora ancorati al dogma senza avere il coraggio di togliere qualche velo di troppo, è proprio il comune popolo di Dio che ci crede di meno, ridicolizzando talora la vicenda dei nostri progenitori, che per un frutto proibito, prendendo mela per male (in latino la stessa parola, “malum”, può riferirsi sia al frutto del melo, sia al “male”), avrebbero rovinato l’intera umanità, finché ci sarà anche un solo filo d’erba. Sì, perché non solo gli esseri umani, ma anche il creato sarebbe stato contaminato da quel maledetto frutto, gustato con così tanta avidità.
Eppure, anche gli esegeti sanno che si tratta di un mito che risale a un periodo della storia ebraica, quando, di fronte a dolorose catastrofi che avevano colpito il popolo eletto, ci si pose il problema dell’origine del male, tanto più che a esserne coinvolte erano persone innocenti. Quindi, il racconto del peccato di Adamo ed Eva nacque tardi, anche se, nella stesura della Bibbia, venne messo all’inizio. Non dimentichiamo che già altri popoli avevano cercato di trovare la fonte di tutti i mali, tranne che, a differenza del popolo ebraico la cui fede era fondata sul monoteismo più puro, i popoli antichi erano politeisti, e perciò è stato per loro più semplice giustificare l’origine del male, inventando, accanto al dio del bene, un altro dio: quello del male.
La religione ebraica non ha dato importanza al peccato originale
Ma c’è da dire un’altra cosa. In realtà, a parte il racconto della Genesi, il peccato cosiddetto originale originante (da distinguere dal peccato originale originato, che è quello di ciascun essere umano), non è presente nell’Antico Testamento e non si trova mai accennata la sua trasmissione all’intera umanità. Gli stessi profeti non si rifanno mai al peccato di Adamo e di Eva, ma si soffermano particolarmente sull’Alleanza e sulla infedeltà responsabile del popolo eletto. Neppure nei Vangeli viene richiamato il peccato originale.
San Paolo e Sant’Agostino
Chi l’ha riscoperto e l’ha promosso è stato San Paolo, e poi via via i Padri della Chiesa, in particolare Sant’Agostino, a cui si deve l’espressione “peccato originale” (mai del resto presente nella Bibbia), il quale se ne è servito per combattere l’eresia pelagiana. Infatti, secondo il pelagianesimo (il cui nome deriva dal monaco britannico Pelagio, vissuto tra il quarto/quinto secolo d.C.) il peccato originale non macchiò la natura umana, per cui la volontà dell’essere umano è da sola in grado di scegliere ed attuare sempre il bene, senza necessità della grazia divina; il peccato di Adamo fu quello di portare un «cattivo esempio» alla sua progenie, ma le sue azioni non hanno altra conseguenza, ossia non esiste nessun “peccato originale”, trasmesso ai singoli uomini. È di Sant’Agostino l’espressione “felix culpa”: una colpa felice quella di Adamo e di Eva, perché, se non avessero peccato, il Figlio di Dio non si sarebbe incarnato.
Uomo vecchio e uomo nuovo
Anche San Paolo fa questo ragionamento: Cristo è venuto per redimere o per riscattare il mondo contaminato dal peccato di Adamo e di Eva. E l’Apostolo parla di Cristo come di un nuovo Adamo, dando al termine ebraico “adam” il suo significato di “uomo”. Non voglio qui distinguere tra maschio e femmina, perché il discorso si farebbe lungo, anche se interessante.
Dunque, San Paolo parla di “uomo (adam) vecchio” e di “uomo (adam) nuovo”. E penso che proprio qui possiamo riscoprire il senso del mito del racconto della Genesi. E a riscoprirlo sono stati non gli esegeti o i teologi, ma i mistici. Nel mito del peccato di Adamo c’è una verità che sta all’inizio dell’umanità ed è, come dicono i mistici, l’”amor sui”, l’amore al proprio io. È questo amore di sé come volontà propria a impedire la libertà dello spirito. Non si tratta, dunque, di un male ereditato per via procreativa sessuale, come pensava Sant’Agostino. Dunque, per i mistici, il vero peccato, che fa parte della stessa natura umana, è accondiscendere alla carne, intesa come contrapposizione allo spirito.
Noi siamo sempre in lotta col male, non per colpa di un peccato avvenuto all’origine dell’umanità, ma perché dentro di noi c’è il tentativo da parte dell’io più appropriativo, ovvero possessivo, di prevalere sullo spirito, sulla realtà più interiore del nostro essere, là dove l’umano può identificarsi con il divino. Il nostro io separa l’umano dal divino, crea un divario: qui sta il vero male.
Allora, l’”uomo nuovo”, di cui parla San Paolo, è l’”uomo dello spirito”, mentre l’”uomo vecchio” è l’uomo della carne. Cristo, l”uomo nuovo”, è il nostro vero paradigma. Tutto il resto, peccato originale o altro, è solo simbologia.

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