Omelie 2018 di don Giorgio: UNDICESIMA DOPO PENTECOSTE

5 agosto 2018: UNDICESIMA DOPO PENTECOSTE
1Re 18,16b-40a; Rm 11,1-15; Mt 21,33-46
Elia e i profeti di Baal
Il primo brano della Messa andrebbe letto da diverse angolature, cercando in ogni caso di non soffermarsi sulla parte finale, quando il profeta Elia, come scrive l’autore sacro (il brano di oggi ritiene comunque opportuno non riportare) ordina che i profeti di Baal vengano presi, fatti portare al torrente, e qui uccisi dallo stesso profeta. Comunque, non so come abbia potuto ucciderne 450! Meglio non immaginare l’orrenda scena!
Tuttavia, premetto che il profeta Elia mi è particolarmente simpatico e affascinante come perdente più che come vincente. Mi spiego.
Ogni profeta è un perdente
Ogni profeta, per la sua stessa natura, ovvero in quanto profeta dell’Assoluto, è uno sconfitto dal punto di vista umano. Ciò potrebbe sembrare una contraddizione, ma questa è la verità.
Chi sta dalla parte di Dio non potrà mai avvalersi del potere terreno: si troverà sempre in minoranza, in difficoltà, giudicato un folle e, di conseguenza, condannato alla solitudine ed emarginato, e talora condannato a morte.
Quando il profeta facesse prevalere in nome di Dio un certo potere, allora perderebbe il suo fascino di profeta o, meglio, il suo essere profeta.
Quindi, il profeta è anti-populista: il popolo non vedrà mai di buon occhio il profeta di Dio, proprio perché il profeta va al di là di ogni esigenza carnale o materiale di un popolo, che cerca cibi che nutrano il suo corpo.
Anche certe amicizie sono legami, condizionamenti, ovvero impongono limiti alla libertà dello Spirito interiore.
Il profeta parla e testimonia con la propria vita quella libertà interiore, che anche la religione può condizionare a tal punto da pretendere di imporre un’immagine di dio, che è in realtà l’idolo di se stessa nella sua struttura pesante, che è tutto l’opposto del Dio assoluto.
Il profeta non è accondiscendente con nessuno, non cerca nessun compromesso, non è pietoso con la gente, non si fa prendere da facili emozioni.
Nel profeta non rimane alcun posto per un sentimento compassionevole: duro con se stesso, con la gente, con le proprie credenze religiose.
Il profeta è ancor più che un buon pastore. Il buon pastore ha un gregge da curare, da proteggere, da amare, da comprendere. Il profeta è solo: la sua missione è dividere, essere una spada tagliente che separa.
L’ha detto Gesù Cristo: «Non crediate che io sia venuto a portare pace sulla terra; sono venuto a portare non pace, ma spada» (Mt 10,34).
La verità come tale separa dalla menzogna, la giustizia separa dall’ingiustizia, la libertà separa dalla schiavitù.
Il profeta è solo anche contro se stesso, qualora fosse tentato di farsi adulare dal popolo, che lo vorrebbe portavoce delle proprie esigenze carnali. Cristo, dopo il miracolo del pane, quando la folla lo vuole proclamare re, se ne va, solo, sul monte.
Il profeta è solo con il suo Dio, il quale, essendo Assoluto, è, come dice la parola “assoluto” (sciolta da…), svincolato da ogni legame che può compromettere la libertà dello Spirito interiore.
Il sarcasmo del profeta
Il linguaggio del profeta è talora paradossale, anche caustico, pungente, mordace, spesso sarcastico, ironico, senza peli sulla lingua, anche violento. Non dimentichiamo Gesù Cristo e i suoi contrasti con i dottori della legge.
In tutto il brano di oggi, ad esclusione della parte finale che è drammatica e diciamo inaccettabile, troviamo una forte ironia. Anzitutto Elia, prima che ai profeti di Baal, si rivolge al suo popolo, che è il vero responsabile del tradimento dell’Alleanza, e così lo accusa sarcasticamente: «Fino a quando salterete da una parte e dall’altra?».
Ecco, qui troviamo il tipico atteggiamento di un popolo o di una massa che, come in una caotica danza, saltella di qua e di là, ma l’immagine della danza può essere fuorviante: qui si tratta di una costante prostituzione, di un continuo tradimento dei valori, saltando da una sponda all’altra, là dove la massa vede un tornaconto, un interesse, una soddisfazione.
La realtà è sotto gli occhi di tutti: una massa di gente che saltella da una religione all’altra, da una coscienza all’altra, da una politica all’altra, e il tradimento è sempre pronto a cambiare sponda, a correre dietro a populisti che promettono fumo e cenere.
I populisti, ovvero i profeti di Baal, che il profeta Elia sfida ironizzandoli proprio nella loro inconsistenza, nella loro vacuità, nella loro menzogna di fondo, ecco sono pagliacci pronti da bruciare. È un’immagine, certamente, ma che dà l’idea della durata di fantocci che, proprio perché fantocci, saranno portati via dal vento della nuova libertà.
Anche qui la cosa impressionante è quanto Elia riconosce:  «Io sono rimasto solo, come profeta del Signore, mentre i profeti di Baal sono quattrocentocinquanta». Verrebbe voglia di chiederci: in una massa di gente che ha tradito la propria fede nei valori umani quanti giusti sono rimasti?
La lotta anche oggi è tra gli idoli e la coscienza di ciò che siamo, tra i messia di cartapesta e la realtà dell’essere umano, che la massa tradisce prostituendosi al sorgere di un nuovo idolo di cartapesta, ma la verità è questa: non è l’idolo di cartapesta a creare la prostituzione di una massa che vende la propria coscienza, ma è la massa a crearsi di volta in volta i propri idoli, che poi adora fino a quando essa stessa non li distrugge per crearne altri. Sempre così.
La parabola di Gesù è sempre attuale    
Non commento con le mie parole la parabola di Gesù narrata da Marco. Don Angelo Casati scrive: «Anche qui una storia mai conclusa di profeti fatti tacere o uccisi, alcuni fisicamente, altri moralmente. Salvo poi celebrarli – è diventato un costume – dopo la loro morte… C’è qualcosa dunque da capire. Da capire è che la devastazione della vigna della Chiesa, della società, delle nostre case, delle nostre famiglie, del nostro paese, succede ogni volta che è uccisa la profezia, esiliata la parola di Dio».

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