Omelie 2021 di don Giorgio: QUARTA DI AVVENTO

5 dicembre 2021: QUARTA DI AVVENTO
Is 4,2-5; Eb 2,5-15; Lc 19,28-38
Siamo già alla quarta domenica di Avvento. Ancora, di nuovo, il “già” ci dice quanto il tempo trascorra veloce, come un ladro che ci prende qualcosa di prezioso, sottraendocelo furtivamente, soprattutto quando ci lasciamo catturare da qualcosa, che ci distrae dall’Eterno.
Potrebbe anche non piacere a qualcuno, ma siamo come naufraghi aggrappati a qualche rottame in balìa del nulla.
Dobbiamo deciderci: o viviamo coscientemente nell’Eterno presente, l’unico a darci un senso pieno al nostro esistere, o ci lasciamo imprigionare dalle cose, come se queste ci dessero una illusione di vivere.
La disperazione sarebbe inevitabile, qualora prendessimo veramente coscienza che senza l’Eterno presente siamo sospesi nel vuoto.
La maggior parte della gente vive di illusioni, aggrappati a cose che durano il tempo necessario per coprire la nostra disperazione, che subito torna a farsi sentire appena le cose vengono consumate dal tempo.
Nessuno di voi vorrebbe essere un disperato, perciò ci si aggrappa alla cosiddetta immunità di gregge, che si ottiene quando la maggior parte della gente si è resa immune dalla propria responsabilità, vista come un virus che potrebbe mettere a rischio la propria felicità.
In fondo, si è comodi in un gregge, dove ognuno trova il proprio posticino di sopravvivenza. Più si è comodi, più si ci sente soddisfatti.
Dunque, siamo alla quarta domenica di Avvento. La liturgia, come saggia e previdente pedagoga, ci invita a intensificare il nostro impegno di credenti, in vista della celebrazione del Mistero natalizio.
Partiamo dal primo brano, tratto dal libro del profeta Isaia, i primi versetti del capitolo 4.
Per inquadrarlo, diciamo che il libro di Isaia inizia con una “contesa processuale”, così la chiamano gli studiosi.
Dio stesso, attraverso la voce del suo profeta, fa causa al suo popolo, denunciandone con amarezza l’ingratitudine, la corruzione e l’idolatria e chiamando a testimoniare il cielo e la terra. Davvero interessante il coinvolgimento da parte dell’Onnipotente di tutto il Creato, il quale non assiste da passivo davanti al male, ma è un testimone, sempre pronto a difendere il Creatore.
Quindi sotto accusa non sono i nemici storici di Dio, ma i suoi amici, i suoi prediletti, il suo popolo. Dio non fa sconti a nessuno, e tanto meno a chi gli sta vicino.
In particolare, il profeta in nome di Dio denuncia uno stato di anarchia che attanaglia Gerusalemme e il regno di Giuda: forse si riferisce a eventi che risalgono al secolo VIII a.C. In mezzo alla confusione sociale troveremo figure di giovani o di improvvisati, che saranno posti in funzioni di prestigio senza averne competenza, e ciò determinerà una situazione ancor più caotica, mentre il Signore stesso ritirerà il suo “sostegno” e il suo “appoggio”, mandando la carestia e la siccità.
La voce del Signore si leva, sconsolata, rivolgendo al suo popolo un appello, ma anche indirizzando ai politici incapaci e corrotti una accusa: “Perché calpestate il mio popolo e pestate la faccia dei poveri?”.
Ed è da evidenziare anche la protesta che ha per destinatarie le donne dell’aristocrazia di Gerusalemme. Vi leggo i versetti dal 16 al 26 del capitolo 3:
«Dice il Signore: “Poiché si sono insuperbite le figlie di Sion e procedono a collo teso, ammiccando con gli occhi, e camminano a piccoli passi facendo tintinnare gli anelli ai piedi, perciò il Signore renderà tignoso il cranio delle figlie di Sion, il Signore denuderà le loro tempie”. In quel giorno il Signore toglierà l’ornamento di fibbie, fermagli e lunette, orecchini, braccialetti, veli, bende, catenine ai piedi, cinture, boccette di profumi, amuleti, anelli, pendenti al naso, vesti preziose e mantelline, scialli, borsette, specchi, tuniche, cappelli e vestaglie. Invece di profumo ci sarà marciume, invece di cintura una corda, invece di ricci calvizie, invece di vesti eleganti uno stretto sacco, invece di bellezza bruciaturaۚ».
Tuttavia, c’è un filo di speranza che continua a perdurare, ed è rappresentato dal simbolo del “resto”: un “germoglio” è rimasto in vita e permetterà di guardare ancora al futuro. Si tratta dell’Israele fedele a Dio e alla sua legge, che sopravvivrà al giudizio divino.
Il “resto” nella predicazione profetica resterà il metodo dell’agire di Dio, il quale non si appoggerà mai sull’aiuto dei potenti, dei ricchi, dei sapientoni, ecc., ma dei cosiddetti poveri di Jahvè, poveri materialmente, poveri carnalmente, ma ricchi di dentro: sono i cosiddetti giusti, i nobili interiormente.
Dio conduce la sua storia, realizza il suo progetto, con il “resto”, ovvero con ciò che rimane togliendo il potere, la ricchezza, la superbia, l’orgoglio.
Pensate alla figura di Maria di Nazaret, pensate alla figura di Giovanni il Battista.
Pensate anche al brano del Vangelo di questa domenica, che potrebbe sembrare fuori posto, da leggere in Avvento. Eppure, è fortemente simbolico.
Gesù entra in Gerusalemme, qualche giorno prima di essere crocifisso, cavalcando un asinello, simbolo di umiltà, dell’antipotere. Questa scena viene vista anche simbolicamente come l’entrata umile e pacifica in questo mondo.
La folla dei discepoli canta con gioia: «Benedetto colui che viene, il re, nel nome del Signore. Pace in cielo e gloria nel più alto dei cieli!».
E c’è un’espressione di Gesù che mi colpisce sempre, quando la rileggo. Risentiamo il testo: Gesù «inviò due discepoli dicendo: “Andate nel villaggio di fronte; entrando, troverete un puledro legato, sul quale non è mai salito nessuno. Slegatelo e conducetelo qui. E se qualcuno vi domanda: Perché lo slegate?, risponderete così: Il Signore ne ha bisogno». Gli inviati andarono e trovarono come aveva loro detto. Mentre slegavano il puledro, i proprietari dissero loro: “Perché slegate il puledro?”. Essi risposero: “Il Signore ne ha bisogno”».
Quando nel 1950 era uscito un film, dal titolo “Dio ha bisogno degli uomini”, tratto da un romando francese, che aveva tratto l’ispirazione da un episodio reale avvenuto nel 1850, aveva quasi scandalizzato pensando che Dio avesse bisogno delle sue creature.
Nel Vangelo di oggi c’è di più: Dio ha bisogno di un puledro, di un asinello. Forse Dio dell’uomo non sa che farsene, perché combina troppi guai.

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