Omelie 2014 di don Giorgio: Epifania del Signore

6 gennaio 2014: Epifania del Signore

Is 60,1-6; Tt 2,11-3,2; Mt 2,1-12

Cercherò il più possibile di essere chiaro nell’aiutarvi a cogliere il senso dell’episodio dei magi, che ha dato origine alla festa dell’Epifania. Parto da due testi dell’Antico Testamento. Anzitutto, vediamo il primo brano della Messa, che sono i primi sei versetti del capitolo 60 del Terzo Isaia. Si parla continuamente di luce, di splendore e di gloria; si parla di un cammino di popoli, di re che sono accompagnatati da uno stuolo di cammelli e che vengono da lontano, portando oro e incenso. Penso che i riferimenti ai magi siano più che evidenti. Quindi, l’episodio dei magi era stato previsto secoli prima la nascita di Gesù. Ma c’è un altro testo ancor più interessante, ed è la profezia di Balaam, che possiamo leggere nel libro dei Numeri.

Chi era Balaam? Era un mago pagano che, costretto a maledire Israele, ma illuminato da Jahwe pronuncia invece delle parole profetiche in favore del popolo eletto, e, riferendosi senza saperlo alla nascita di un re eccezionale, esclama: «Io lo vedo, ma non ora, io lo contemplo, ma non da vicino: una stella spunta da Giacobbe e uno scettro sorge da Israele». Da notare subito che la tradizione giudaica, traducendo in aramaico quel testo ebraico, tradusse la parola “stella” con “Messia”.

In base a questi due testi profetici, Matteo ricostruisce il suo racconto dei magi, che è appunto la storia di una stella che conduce ad adorare il re d’Israele, ancora bambino, Gesù Cristo. Non dimentichiamo che Matteo, che era ebreo, ha scritto il Vangelo di Cristo riferendosi in particolare ai cristiani provenienti dal mondo ebraico, che perciò conoscevano bene le profezie dell’Antico Testamento. Proprio per questo, Matteo si rifà continuamente alle profezie, per attestare che Gesù le ha realizzate passo dopo passo. Ma c’è dell’altro. Matteo conosceva bene un genere letterario tipico della spiritualità ebraica, quello del midrash.   

Che cos’è un midrash? È un racconto rabbinico, secondo il quale la storia di un personaggio o di un evento viene letta e interpretata dall’autore in base alla storia di un altro personaggio o di un altro evento del passato, con l’intento di trarre un determinato insegnamento. I midrashim sono racconti che hanno al centro un nucleo storico, ma intorno a questo nucleo viene effettuata una riflessione teologica. È chiaro che la nascita di Gesù è storica, ma attorno a questa nascita sono stati successivamente costruiti dei racconti, dei midrashim, aventi lo scopo di riflettere sull’evento straordinario. Ciò che a noi interessa non è tanto sapere se il midrash sia un racconto storico oppure no, ma cercare di cogliere l’insegnamento del racconto.  

Paul Devreux, sacerdote di origine belga, commentando l’episodio dei magi, dice in modo esplicito: «Non bisogna leggere questo testo come se fosse un racconto storico né tanto meno come se fosse una favola, perché perderebbe il suo significato e la sua credibilità». Le stesse cose le dice Gianfranco Ravasi, uno studioso che misura bene le sue parole.

E allora, proviamo a leggere il racconto dei magi come un midrash, e scopriremmo significati altamente simbolici, evitando così di cadere nel ridicolo e in contrasti assurdi con la scienza per la identificazione fisica della stella. Il racconto di Matteo è una fonte inesauribile di simbologie, che possono aiutarci a riflettere anche sulla nostra fede, e sulla fede della Chiesa.

Dunque, smettiamola di prendere alla lettera il racconto dei magi, e leggiamolo in chiave simbolico-teologica. Partiamo dai magi. Non ci interessa sapere chi erano e nemmeno quanti erano, e come si chiamavano. Questi particolari non entrano nell’intenzione dell’autore del midrash. E allora la parola mago apre un mondo di significati: mago è semplicemente uno che è alla ricerca, affascinato dal mistero, uno che non si stanca mai di camminare, sapendo di scoprire ogni giorno qualcosa di nuovo. Mago è il poeta, è il filosofo, è lo scienziato, è il credente più umile, è l’ateo, qualsiasi essere umano quando rientra nel suo mondo interiore. Pensate: in una sola parola c’è tutto un vasto insaziabile mondo spirituale, a partire dal profondo del nostro essere, dove c’è la sorgente dell’infinito. La parola mago richiama magia, intesa nel suo senso più bello: la magia della vita, la magia della verità, la magia del nostro essere Dio, cercato e ricercato.

I magi provengono dall’oriente. L’oriente: un’altra simbologia che sta nel nome stesso “oriente”, che significa etimologicamente: là dove sorge il sole, là dove inizia il giorno. La vita ha sempre un inizio, anche quando siamo annoiati per una giornata senza senso, anche quando siamo stanchi di vivere, anche quando ci sembra di essere arrivati al tramonto. L’oriente indica un mondo che sta per nascere, indica perciò la speranza, la gioia di ricominciare. L’oriente è un’altra parola magica, piena di fascino, che va a contrastare e a sostituire la parola “occidente”, che significa etimologicamente: là dove tramonta il sole. Certo che noi occidentali dovremmo riflettere a lungo, proprio per il fatto di essere qui in occidente. La nostra civiltà è forse al tramonto, in agonia? Ecco, la salvezza proviene dall’oriente, a meno che nel frattempo anche l’oriente non venga assorbito dall’occidente.

Mi ha colpito il colloquio che il grande fisico tuttora vivente Fritjof Capra (che io stimo moltissimo per avermi aperto gli occhi su una nuova visione del mondo) ebbe con Indira Gandhi, allora primo ministro indiano. La signora più volte espresse vive preoccupazioni sul futuro dell’India. “Il mio problema è: come posso introdurre nuove tecnologie in India senza distruggere la cultura esistente? Noi vogliamo imparare il più possibile dai paesi occidentali, ma vogliamo conservare le nostre radici indiane… La gente dell’India, per quanto sia povera, ha una speciale qualità di saggezza, una forza interiore che proviene dalla nostra tradizione spirituale. Mi piacerebbe che conservasse questa qualità, questa speciale presenza, liberandosi al tempo stesso dalla povertà». 

In questi mesi (ne ho di tempo a mia disposizione) sto riscoprendo questo mondo orientale, quello di un tempo, che mi sta affascinando. Noi cristiani siamo lontani dall’antica spiritualità orientale, che non ha nulla a che fare con la cosiddetta new age, o con quella moda di mettere insieme i più estrosi spiritualismi esotici.

I magi si mettono in cammino, attratti da una stella. Quante stelle nel firmamento! Sono quasi infinite, sempre nuove! Una stella in particolare colpisce gli occhi scrutatori dei magi. C’è una stella per tutti gli esseri umani. Ognuno di noi ha la propria. La mia sembra la più bella. Lo è, per me. La bellezza di Dio si rifrange in ogni creatura. Così dovrebbe essere. Ma non tutti ce ne accorgiamo. Talora ne dubitiamo. Eppure, si tratta di riscoprire quel divino in noi, che dà senso al nostro essere.

I magi entrano in Gerusalemme. E qui perdono di vista la stella. Gerusalemme è il simbolo del potere politico e religioso. C’è Erode, e ci sono i dottori della legge, i capi della religione ebraica.

Là dove c’è il potere, di qualsiasi genere, sembra che scompaia la luce. La verità è schiacciata dalla menzogna, la giustizia dalla illegalità, il bene è oscurato dal marciume. Ci sentiamo come schiacciati: la coscienza entra in lotta contro la legge assurda e dis-umana di chi crede di imporre il proprio potere. Ma le Scritture sono esplicite: Gesù sarebbe nato in un piccolo paese, Betlemme, fuori da Gerusalemme. Ma i capi ridono, divertiti. Nessuno di loro ci crede. Le Scritture parlano chiaro, ma neppure i teologi prestano fede. Per loro, Dio è nella Città santa, prima a Gerusalemme, ora a Roma. Ma Cristo nasce sempre fuori, lontano dal centro di potere. Ancora oggi. La città, con la sfarzosità del suo splendore, oscura anche il firmamento. In fondo, anche quei magi si son fatti prendere dalla tentazione del sapere umano: non si sono del tutto fidati della stella.

Fuori di Gerusalemme, i magi rivedono la stella. Rieccola, per nulla infastidita e per nulla intimorita. La stella non è permalosa, è gelosa sì, ma del fatto che vuole farsi ammirare per quanto essa vale, ossia come stella che ci guida verso la salvezza, senza badare ai nostri capricci o ai nostri tradimenti.

Entrati finalmente nella casa, i magi incontrano il Bambino Gesù. Ma questo incontro ci costerà fatica, lunghe ricerche, delusioni, crisi. L’incontro non sarà la fine del nostro viaggio. Ogni incontro richiede un altro. Quasi sempre daccapo. C’è un’andata, e c’è un ritorno, come per i magi. Ci sono incontri che lasciano un segno. E ci sono incontri che sembrano insoddisfacenti. Se non altro, i magi tornando hanno cambiato strada. Per noi le strade sembrano le stesse. Per questo, anche noi siamo gli stessi: non cambiamo mai. 

Concludo con una poesia di Padre David Maria Turoldo, dal titolo: “Eran partiti da terre lontane”.

“Eran partiti da terre lontane: / in carovane di quanti e da dove?

Sempre difficile il punto d’avvio, / contare il numero è sempre impossibile.

Lasciano case e beni e certezze, / gente mai sazia dei loro possessi,

gente più grande, delusa, inquieta: / dalla Scrittura chiamati sapienti!

Le notti che hanno vegliato da soli, / scrutando il corso del tempo insondabile,

seguendo astri, fissando gli abissi / fino a bruciarsi gli occhi del cuore!

Naufraghi sempre in questo infinito, / eppure sempre a tentare, a chiedere,

dietro la stella che appare e dispare, / lungo un cammino che è sempre imprevisto.

Magi, voi siete i santi più nostri, / i pellegrini del cielo, gli eletti,

l’anima eterna dell’uomo che cerca, /cui solo Iddio è luce e mistero”.   

Padre Ermes Ronchi così commenta: «C’è un Dio dei lontani, dei cammini, dei cieli aperti, delle dune infinite, e tutti hanno la loro strada. C’è un Dio che ti fa respirare, che sta in una casa e non nel tempio, in Betlemme la piccola, non in Gerusalemme la grande. E gli Erodi possono opporsi alla verità, rallentarne la diffusione, ma mai bloccarla, essa vincerà comunque. Anche se è debole come un bambino».

Lascia un Commento

CAPTCHA
*