Omelie 2015 di don Giorgio: Festività dell’Epifania del Signore

6 gennaio 2014: Epifania del Signore
Is 60,1-6; Tt 2,11-3,2; Mt, 2-1-12
Vorrei fare una premessa. La ritengo indispensabile, se si vuole cogliere il senso profondo della Festività di oggi, ed evitare di soffermarsi sugli aspetti più esteriori del racconto dei magi. Quando si dice che non è storico, non significa che un racconto sia stato inventato di sana pianta. Del resto, anche le parabole di Gesù non erano del tutto inventate, ma avevano agganci alla vita reale di tutti i giorni: il contadino che semina nei campi, la pianta che cresce, la donna che cerca una cosa preziosa che ha perso in casa, il pastore che va in cerca della pecora che è fuggita dall’ovile, il figlio che scappa di casa, un bravo uomo che si ferma a soccorrere un poveraccio, ecc.
La stessa cosa dobbiamo dirla a proposito del racconto dei magi, tranne che questo episodio si aggancia alle profezie dell’Antico Testamento, che vengono lette e re-interpretate secondo quel metodo ebraico che si chiama “midrash”, termine che significa: ricercare, scrutare, esaminare, studiare ma anche “racconto”, da intendersi come “strada interiore in evolversi”, dunque un racconto diciamo spirituale, diciamo pure teologico-mistico. In altre parole, l’episodio dei magi è un “midrash” altamente simbolico, che va letto, riletto e meditato, tenendo conto delle profezie che lo hanno ispirato.
Interpretato così, anzitutto si sarebbero evitati ridicoli contrasti tra scienza e fede (pensate alla polemica sulla stella), ma soprattutto noi credenti avremmo evitato di prendere l’episodio come qualcosa di pittoresco, cadendo anche qui in ridicole curiosità sul numero e sul nome dei magi, e così via.
Cerchiamo di essere più seri, quando leggiamo la Bibbia. Saremmo anche più credibili.
Quando leggo l’episodio dei magi, la mia fantasia creativa non trova limiti, proprio perché non è legata alla cronaca che mi costringe a rimanere fedele ai fatti, ma si sente invece libera di cercare e ricercare tra le varie simbologie di un racconto ricostruito sulle profezie.
Quali sono allora alcune di queste simbologie, presenti nel Vangelo di oggi?
Pensate anzitutto alla parola “oriente”. Matteo inizia così: «Ecco, alcuni Magi vennero da oriente a Gerusalemme». Dire oriente è dire qualcosa di immenso, di indeterminato, ma nello stesso tempo è anche dire qualcosa di misterioso, di affascinante. Oriente significa “là dove sorge il sole”. E qui Matteo si aggancia alle parole del profeta Isaia: è il primo brano della Messa, dove si parla di luce, di gloria del Signore. Ed ecco le parole: «Cammineranno le genti alla tua luce». Da qui il racconto di Matteo ha preso il simbolo della stella dei magi. Continua Isaia: «I re (cammineranno) allo splendore del tuo sorgere». Ecco il simbolo dei re magi e il simbolo dell’oriente.
Continua il profeta: «Uno stuolo di cammelli ti invaderà, dromedari di Madian e di Efa, tutti verranno da Saba, portando oro e incenso e proclamando le glorie del Signore». Come vedete, nella profezia di Isaia troviamo quasi tutti gli elementi principali del racconto dei magi.
Vorrei soffermarmi ancora sull’oriente, da dove, secondo il racconto di Matteo, sarebbero arrivati i magi. L’oriente, dunque, è là dove sorge il sole, è l’inizio del nuovo giorno. L’oriente, quindi, è l’inizio della vita. Ad ogni sorgere del sole c’è una nuova speranza. Si ricomincia da capo. Nulla è mai finito. Nulla è solo tramonto.
Forse noi occidentali dovremmo temere di vivere in occidente, là dove tramonta il giorno. Eppure ci crediamo gli innovatori, i progressisti, coloro che dominano il mondo. Ma ci manca la cosa principale: la saggezza orientale, la saggezza incarnata nei magi che provengono proprio dall’oriente, là dove tutto inizia.
Perché l’oriente sta affascinando noi occidentali, stanchi e logori a causa del consumismo più spietato e dell’efficientismo più banale? Ci affascina, proprio per quel senso mistico della vita, che viene a riempire il nostro vuoto esistenziale.
Gesù Bambino riceve dei doni dai magi, ma non si è trattato di doni materiali. Anche qui la simbologia ci aiuta. Quale paradosso! Cristo ha chiamato i sapienti dall’oriente, per indicarci quali sono i veri tesori, quei tesori che avrebbero poi costituito le basi del cristianesimo. Quasi a dire: i cristiani dovranno sempre dissetarsi alle fonti dell’essere, che l’oriente ha avuto quasi il privilegio di cogliere in profondità.
Quando parliamo di Mistica – Dio è l’Essere che impone il silenzio su di Sé, e non vuole alcuna definizione o nome senza essere disturbato e manipolato – non possiamo non pensare al mondo filosofico-spirituale orientale, buddista e in particolare induista, al di là però di quei “surrogati” che sembrano oggi di moda, facendo presa sul vuoto interiore degli occidentali, che cercano qualcosa di esoterico a cui aggrapparsi, facendo un miscuglio di tutto. Sì, interiormente svuotati, per aver consumato troppo avere, rimasti poi senza l’essere, dove risiede la vera immagina divina.
Cristo sembra aver avuto bisogno dell’oriente, con tutta la sua sapienza, ma caricandola a sua volta di una maggiore energia divina, stabilendo una interconnessione cosmica tra tutto il Bene presente in ogni angolo della terra. E per Bene s’intende l’essere allo stato puro, la bellezza che solo gli spiriti più semplici sanno cogliere, componendo armonicamente le contraddizioni della vita.
I sapienti di questo mondo credono di conoscere la realtà divina, distinguendo e separando, ma in tal modo si allontanano dalla verità, perché la verità vede l’unità nella complessità. Sta qui il valore della mistica orientale (tutto è Uno), e sta qui il cuore del cristianesimo: il Figlio di Dio facendosi carne, come scrive san Giovanni, non ha compromesso l’identità divina, ma è venuto sulla terra per farci capire che Tutto è immagine di Dio. Tutto, proprio tutto, al di là di ogni razza, o cultura, o religione.
La vera scommessa di noi credenti sta nella saggezza che coglie l’armonia dell’Universo, compone i contrasti e i contrari, nella profondità del nostro essere. Finché restiamo in superficie, finché parliamo solo del nostro tubo digerente o della nostra pancia, finché saremo in balìa dell’avere che sale e scende, non potremo mai dare a questa società il vero motivo di esistere, cogliendone il senso unitario della realtà.
Il racconto dei Magi è ricco di altre simbologie. Accenno soltanto. Prima parlavo della stella. La simbologia della stella rimanda alla coscienza che è presente nel cosmo, e che è presente in ciascuno di noi. La coscienza: un riflesso del divino. Talora si fa sentire, altre volte tace. Come la stella per i magi, che compare in oriente, e poi scompare quando i magi entrano in Gerusalemme, per poi tornare a farsi vedere, quando escono dalla città, per andare alla casa del bambino Gesù.
Altra simbologia. Il racconto di Matteo presenta i magi sempre in cammino. Un cammino fatto di peripezie, di ostacoli, anche di domande e di dubbi.
Il cammino dei magi si compone di un’andata e di un ritorno. Non è così anche la nostra fede? Ci sono pause, ci sono incontri, ci sono ripensamenti, ma si cammina sempre: pronti a riprendere. Ma non è un cammino lineare: sembra tortuoso. In realtà, la fede che matura scende nel profondo, e ogni discesa è come una spirale che si avvolge, ma perfora terreni talora tenaci. L’uomo moderno quando comprenderà che non si può più restare in superficie? Pensate alla politica della superficie. Pensate alla fede della superficie. Si ha paura a scendere.
I magi incontrano finalmente il bambino Gesù. Qui la simbologia prende il volo e ci porta in un mondo fantastico: l’Utopia di Dio. Il bambino richiama di nuovo l’oriente: là dove inizia un nuovo giorno. Non conta l’età biologica. Conta l’essere, che non conosce tramonto. Si è, anche a novanta o cento anni. Si è.
L’Utopia di Dio si riflette nel nostro essere come bambini, che iniziano ad aprire gli occhi davanti alle meraviglie della vita. L’Utopia di Dio si è incarnata nel Vangelo, che è l’inizio di un cammino che non finisce mai: torna ogni giorno al sorgere del sole.
I magi sono tornati a casa, per un’altra strada, per non incontrare quell’Erode che voleva uccidere il bambino. Il potere non uccide chi è già vecchio dentro, ma il bambino che c’è in noi. I magi sono tornati a casa, portando con sé, dentro di sé, quel Bambino che avevano incontrato e adorato. La saggezza si è scoperta in quella semplicità infantile, che è la qualità più specifica di Dio.

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