Omelie 2014 di don Giorgio: Quarta domenica dopo Pentecoste

6 luglio 2014: Quarta dopo Pentecoste
Gen 6,1-22; Gal 5,16-25; Lc 17,26-30.33
Il primo brano e il Vangelo sono tra loro collegati dall’episodio di Noè. San Paolo, invece, nella lettera ai cristiani della Galazia, affronta temi scottanti a quei tempi, agli inizi del cristianesimo, tanto più che ad essere in pericolo erano proprio le comunità cristiane fondate dallo stesso apostolo.
Paolo non poteva stare in pace nemmeno per un secondo. Appena dava inizio ad una nuova comunità cristiana, dopo i primi entusiasmi c’era chi s’introduceva tra i credenti con l’intenzione di spargere zizzania, creando in tal modo disordini e disorientamento. Nel caso delle comunità cristiane della Galazia, alcuni, forse farisei convertiti, tentarono di introdurre di nuovo le vecchie pratiche ebraiche, come la circoncisione e altre tradizioni giudaiche, sminuendo così la novità del cristianesimo, che san Paolo stava annunciando. L’apostolo non si limitava a guardare, ma interveniva anche duramente, se era necessario, per salvare la radicalità del messaggio di Cristo da coloro che cercavano di intaccarla.
Nella Lettera ai Galati, Paolo insiste nel far comprendere ai nuovi credenti che bisogna abbandonare la religione ebraica, dimostrando l’assoluta superiorità della fede cristiana sull’antica legge. Egli esorta i Galati a vivere secondo lo Spirito di quel Cristo che aveva contestato le tradizioni giudaiche. Paolo distingue con chiarezza la legge dello Spirito dalla legge secondo la carne. Il termine “carne” sta a indicare il mondo opposto a quello dello Spirito. Non è facile cogliere la portata di una simile distinzione. Soprattutto qui, dovremmo andare a scuola dei grandi mistici, i quali, senza ricorrere ai soliti compromessi, arrivavano a dire cose sconvolgenti a proposito di ogni struttura religiosa, compresa quella ecclesiastica. Per i mistici tutto il complesso rituale della religione è “carne”: i riti, le tradizioni, le strutture. Tutto è ombra del mistero divino, che è trasparenza e vuole trasparenza.
San Paolo se la prendeva con chi non voleva staccarsi del tutto dalla religione ebraica, compromettendo così la centralità del Vangelo, e vigilava attentamente sapendo che, soprattutto tra gli ebrei convertiti al cristianesimo, era sempre presente la nostalgia del passato, ma questo succedeva anche tra i pagani. L’apostolo ha fatto di tutto per far capire la differenza tra il mondo della legge o della carne e il mondo dello Spirito, la cui legge è la grazia di Dio. Qui sta il valore della fede. So che non è il momento di insistere. Almeno cerchiamo di intuire che il vero cristianesimo va ben oltre quel mondo religioso, che non è altro che un certo ritorno al passato, ovvero alla legge della carne, che ci blocca nel nostro cammino verso la novità evangelica. Non si tratta solo di essere più onesti, più buoni, più morali, più a posto con la legge. C’è qualcosa di ben più grande. Bisogna fare un salto di qualità: il salto dalla legge alla grazia.
Passiamo all’episodio di Noè, che è un racconto tanto popolare da essere richiamato ogniqualvolta ci troviamo di fronte a trapassi epocali. Sembra quasi che ogni trapasso, che di per sé è una legge naturale, una legge del progresso innato nella stessa storia umana, sia come una punizione divina.
Il testo biblico del diluvio universale è diventato come il prototipo, il primo esempio, di una grande catastrofe che avrebbe cambiato il volto della terra. In realtà, sia gli studiosi della Bibbia come gli scienziati, ci dicono che con la parola “universale” non s’intende “tutta la terra”, ma quella parte della terra allora conosciuta, che era molto limitata. Inoltre, restando su un piano rigorosamente critico, dobbiamo dire che il racconto biblico del diluvio è soltanto uno dei racconti analoghi che circolavano nel vicino Oriente antico. Ad esempio, la celebre epopea mesopotamica di Ghilgamesh contiene un racconto sorprendentemente simile a quello biblico, ma senz’altro molto più antico.
È evidente che, dietro tali racconti, si nasconda il ricordo di qualche remoto cataclisma locale, che in epoche imprecisate ha colpito la regione mesopotamica e che ogni tanto archeologi e scienziati cercano di ricostruire, senza mai troppo successo. Dunque, in ogni cultura antica esistono racconti che prendono spunto da qualche calamità naturale gravissima, che ha lasciato negli uomini la sensazione che il mondo possa finire da un momento all’altro. Del resto, ancora oggi esistono i cosiddetti catastrofisti che vedono la fine del mondo dappertutto. Oggi si parla del buco nell’ozono o dell’effetto serra, che stanno spingendo il pianeta al collasso ecologico, e non certo per un intervento di Dio.
Tornando al racconto biblico del diluvio, dobbiamo dire che, benché esso si ispiri nella descrizione della catastrofe agli antichi miti mesopotamici, tuttavia l’autore sacro si distacca dall’idea di fondo di questi miti, che vedevano nel diluvio la reazione degli dèi infastiditi dal vociare degli uomini durante il loro riposo. Il testo sacro ripete: “La malvagità degli uomini era grande… La terra era corrotta… piena di violenza… ogni uomo aveva pervertito la sua condotta…”.
Siamo di fronte al giudizio di un Dio che non è indifferente al bene e al male. Dio salva il giusto Noè e la sua discendenza, come se iniziasse una nuova umanità. Ma… c’è un ma. È un dato di fatto: dopo il diluvio l’umanità è tornata ad essere malvagia come prima. E allora a che cosa è servito il diluvio?
A questo proposito, Paolo Ricca, pastore della Chiesa valdese, fa alcune interessanti riflessioni. Scrive: «Se infatti l’umanità, che era “malvagia” prima del diluvio, lo è altrettanto anche dopo, è evidente che tutta l’”operazione diluvio”, con la spaventosa ecatombe totale di ogni forma di vita che ha provocato, non è servita a nulla e ci si chiede perché Dio abbia preso una decisione del genere. E allora qual è il senso, e quindi l’insegnamento, della storia del diluvio? Essa contiene molti insegnamenti, ma per brevità, mi limito a indicare i quattro maggiori.
1. Il diluvio (comunque lo si voglia concepire o immaginare) non è servito a niente. Prima e dopo e fino ai nostri giorni, l’umanità, purtroppo, è sempre ugualmente violenta e corrotta. Violenza e corruzione non solo non sono scomparse, ma non sono neppure diminuite: semmai sono aumentate. Anche Dio è stato violento, ma neppure la violenza di Dio serve a qualcosa. Nessuna violenza ha mai convertito nessuno, e quando lo ha fatto erano conversioni finte, apparenti. Nessun diluvio può lavare il cuore o la coscienza. Solo le acque del battesimo, insieme allo Spirito Santo e alla fede, possono farlo: così ha scritto l’apostolo Pietro nella sua prima lettera. L’inutilità, anzi la negatività del diluvio dimostra l’inutilità, anzi la negatività di ogni tipo di violenza.
2. Dopo il diluvio Dio si converte alla nonviolenza: è forse questo il messaggio principale della storia. Ecco le parole di Dio, riportate dall’autore sacro: “Nessuna carne sarà più sterminata dalle acque del diluvio, e non ci sarà più diluvio per distruggere la terra” (Genesi 9, 11). Dio non manderà mai più il diluvio, manderà la sua Parola, attraverso Mosè, i profeti, gli altri grandi testimoni come Giobbe, l’Ecclesiaste, i Salmi, Giovanni Battista. Infine “ha parlato a noi mediante il suo Figlio” (Ebrei 1, 2). La Parola di Dio è l’anti-diluvio, il modo assolutamente nonviolento con cui Dio si rivolge all’uomo e lo cerca.
3. Dopo il diluvio, nasce in Dio per la prima volta l’idea di un patto, non solo con Noè e la sua discendenza, ma “con tutti gli esseri viventi: uccelli, bestiame e tutti gli animali della terra” (Genesi 9, 10). Che cosa vuol dire questo patto, il cui segno è l’arcobaleno, che con mille colori congiunge il cielo con la terra? Vuol dire che Dio prende un impegno solenne a favore della terra e di tutto ciò che vive. Dio non vuole essere solo creatore, ma anche protettore, difensore, custode, benefattore della creazione. Con questo patto, Dio si rivela decisamente come Dio della vita.
4. Prima, durante e dopo il diluvio, c’è Noè, “uomo giusto, integro, che camminava con Dio” (Genesi 6, 9) e “trovò grazia agli occhi di Dio”(v. 8). Noè consola Dio nel suo dolore, attenua la misura della sconfitta. Noè e l’arca (con il suo prezioso contenuto: la vita!) sono il ponte che ci trasporta oltre le acque del diluvio, cioè della sconfitta di Dio e dell’uomo, verso un nuovo inizio della storia del mondo sotto il segno dell’arcobaleno, cioè del patto di fedeltà di Dio alla terra e a tutto ciò che vive. La giustizia di Noè consola Dio perché dimostra che l’uomo può essere giusto e integro, e non violento e corrotto. Ma la giustizia di Noè non bastò a evitare il diluvio. Solo la giustizia di Gesù, cioè della croce, basterà perché lì avverrà il perdono del mondo. Ma Noè, con la sua arca, resta un faro nella notte perché è l’uomo dell’arcobaleno, che ci rivela il Dio del patto, cioè di una promessa di vita che genera una speranza che non sarà delusa».
Di mio non saprei aggiungere altro. Certo che non siamo abituati a leggere la Bibbia un po’ diversamente da come ce lo hanno insegnato. Dietro ai fatti, da prendere tra l’altro non  in senso puramente letterale, c’è una verità che potrebbe essere sconvolgente: una verità che potrebbe togliere qualche velo da quell’immagine di Dio che ci è ancora nascosto.

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