Omelie 2015 di don Giorgio: Seconda Domenica dopo il Martirio di S. Giovanni il Precursore

6 settembre 2015: Seconda dopo il Martirio di San Giovanni il Precursore
Is 63, 7-17; Eb 3, 1-6; Gv 5, 37-46
Una stupenda preghiera
Nel primo brano della Messa troviamo una stupenda preghiera, una delle più commoventi della Bibbia, che scaturisce dalla esperienza dell’esilio a Babilonia. Siamo verso la fine del VI secolo a.C.: davanti agli occhi del popolo ebraico perdurano ancora vivissimi i ricordi della distruzione della città di Gerusalemme (586 a.C.), le urla delle madri terrorizzate che fuggono con i loro figli, le stragi per le strade e le fiamme che avvolgono i palazzi ed il tempio di Salomone.
L’orazione inizia con un pensiero di speranza da parte di Dio stesso, che di nuovo vuole  fidarsi del suo popolo, che, nonostante la sua durezza di cervice, egli ha sempre aiutato. Dice il Signore: «Essi sono il mio popolo, figli che non deluderanno».
Il profeta assicura che Dio la pensa ancora così: il Signore non è venuto mai meno al suo patto. Il passato ne è una prova. Dio stesso si è sempre fatto carico della salvezza, in persona. Non mandava un angelo o un messaggero, ma Lui stesso agiva da Salvatore: «Non un inviato né un angelo, ma egli stesso li ha salvati; con amore e compassione li ha riscattati, li ha sollevati e portati su di sé, tutti i giorni del passato».
Il Signore in persona
Presso i profeti era una costante il richiamo al passato d’Israele. Il passato era rivisto, ma alla luce della fedeltà di Dio alla sua parola di salvezza. I tradimenti del popolo eletto non erano riletti come una condanna e una punizione, ma l’occasione per richiamare la potenza dell’amore di Dio. Possiamo dire che al profeta interessava il passato “migliore”, quello di Dio, e Dio sa trarre il meglio di se stesso dal peggio delle situazioni umane.
Ma c’è di più. Il profeta evidenzia che Dio ama agire personalmente, e non ha bisogno di terzi o di intermediari. Questo è un aspetto interessante, da approfondire. Io la vedo così: è vero che tutta la storia del popolo ebraico prova che il Signore si è sempre servito di intermediari: Abramo, Mosè, i re, gli stessi profeti. Ma nessuno di questi ha saputo, con tutta la loro buona fede e volontà, attuare in pieno il meglio di Dio. Non per nulla, alla fine manderà lo stesso Figlio sulla terra, e allora sarà un’altra cosa.
Perciò, stiamo attenti: dietro ai santi, c’è Qualcuno che non vuole esaurire la sua santità in nessuno degli esseri umani. Anche il più grande santo è solo una figura pallida di ciò che è il meglio di Dio, e ogni santo, pur con tutte le sue virtù, spesso e volentieri enfatizzate dai suoi seguaci fanatici, è un timida immagine di ciò che è il Bene assoluto, che è quel Dio che nessuno potrà mai rappresentare. Già il fatto di tentarne una definizione pone Dio nel credo di una religione che ha il difetto di pretendere di far proprio un certo dio, reso alla lunga il prodotto di un potere schiavizzante.
Dunque, il fatto di dire che Dio agisce di persona e non ha bisogno di intermediari per me significa che occorre sempre andare al di là di chi, investito di una certa missione, talora pretende di interpretare i voleri di Dio. In altre parole: i servi o servitori di Dio diventano servi o servitori del proprio potere. E allora Dio è al di là della stessa Chiesa-struttura, è al di là di ogni religione: Egli agisce per mezzo dei servi umani, ma c’è sempre qualcosa che sfugge anche alle persone migliori.
Il meglio di Dio non è neppure la somma del meglio umano. Tutti i santi o i profeti, messi insieme, non ci danno che una misera immagine (idolo) del vero Dio, l’Inconoscibile, l’Assoluto, ovvero, come dice il termine, sciolto da ogni legame.
Conservare la libertà e la speranza
Passiamo al secondo brano della Messa. Diciamo anzitutto che la Lettera agli Ebrei, il cui autore è rimasto anonimo (non è senz’altro San Paolo), è indirizzata ad una comunità di cristiani provenienti dal mondo ebraico. È stato piuttosto difficile, all’inizio, convincere i giudei che si convertivano al Cristianesimo lasciare molta parte della loro vecchia religione, da sempre rispettata, per accettare quella nuova. Alcuni erano propensi a ritornare al giudaismo dopo aver accettato la fede cristiana. L’autore della Lettera sottolinea ripetutamente la superiorità di Cristo come sacerdote su Aronne, e la superiorità del sacrificio di Cristo sulla legge. In altre parole, con Cristo non aveva più valore il sacerdozio ebraico e i suoi riti, e neppure la Legge legata alla religione ebraica. Tutto questo mondo deve lasciare il posto alla Novità cristiana. Con Cristo si è entrati in un nuovo ordine di realtà: tutto è veramente Nuovo. Cristo ha fatto fare un salto di qualità che non ammette compromessi. Anche Cristo è Sacerdote, anzi il Sommo Sacerdote, ma si tratta di una realtà che esce da qualsiasi religione. A differenza di Mosè che faceva parte di una certa religione, Cristo è al di sopra, è il costruttore di una nuova casa.
Commenta don Raffaello Ciccone: «Esistiamo allora come popolo nuovo, assolutamente unico poiché poggia sulla fede in Gesù. E siamo un popolo nuovo non per etichetta o per riferimento culturale, tradizione od abitudini. “E la sua casa siamo noi, se conserviamo la libertà e la speranza di cui ci vantiamo”, così termina il brano di oggi. Nelle discussioni, confronti, sviluppi culturali, facilmente, rivendichiamo come cristiani diritti e appartenenze per tradizioni, sacramenti ricevuti, abitudini, collocazioni geografiche. Le consuetudini diventano facilmente abito formale, costumi e pretese di appartenenza. Il testo ci riporta a “sentirci” nella casa di Gesù. E sentirci nella casa di Gesù non avviene perché abbiamo in tasca le chiavi di casa, ma perché coltiviamo e manteniamo “libertà e speranza”. La libertà dei figli di Dio si collega con la volontà del Padre, il rispetto e la misericordia per ogni persona, l’amore e l’attenzione ai più dimenticati. “La speranza” ci riporta a cercare e a costruire un mondo sempre migliore, perché sappiamo che lo Spirito ci sostiene. Il desiderio del Padre è rendere il mondo sempre più bello, purificato e libero dal male».
Quando penso alla società di oggi e a quel mondo di esseri umani che, da una parte, vivono in situazioni drammatiche e disumane, e, dall’altra, sul fronte dei più fortunati, vorrebbero tenere le mani in tasca, rifiutando ogni solidarietà, mi chiedo: dove sta la Novità di quel Cristo di cui noi “cattolici peccatori” ci diciamo nonostante tutto seguaci, ma solo per garantire il nostro ventre?
Come in un processo giudiziario
Prima di fare una riflessione sul brano del Vangelo di oggi, vorrei dire una cosa. Il quarto Vangelo sviluppa come un processo: il duro contrasto tra Gesù e i suoi perenni oppositori, scribi e farisei da una parte e i capi della religione ebraica dall’altra. Il vocabolario che Giovanni usa è quello del conflitto e del dibattito giudiziario: tornano spesso termini quali: verità e menzogna, giudizio, giustizia, testimonianza, avvocato, convincere, accusare…
Il brano di oggi segue il racconto della guarigione da parte di Gesù di un paralitico, in un giorno di sabato. Dura e violenta è stata la reazione dei Giudei ligi alla legge del Sabato. Cristo viene sottoposto ad un giudizio implacabile. Anche qui troviamo un linguaggio adatto ad un tribunale. Qui si tratta veramente di un giudizio: verificare davanti a Dio il valore della legge e il valore di Gesù, per esaminare se è colpevole o innocente. Dal valore delle prove vengono la soluzione e quindi la legittimità dell’operato di Gesù.
Per Gesù i testimoni sono: le sue opere, il Padre e le Scritture; per i giudei i testimoni sono Mosé e i suoi scritti.
Sono le opere che garantiscono la missione di Gesù: le guarigioni tra i malati, gli storpi, i moribondi: opere della misericordia e della liberazione. I giudei non sanno fare un collegamento tra la sua opera che soccorre i poveri e guarisce i malati e la volontà di Dio che desidera la liberazione di ogni persona.
Concludendo, mi limito a riportare una brevissima riflessione ancora di don Ceccone: «La fede in Gesù, che è il nostro prezioso tesoro, non è un pacifico possesso ma un itinerario che passa tra la fiducia in Gesù, la costruzione di un progetto e la ricerca. Sorge una domanda fondamentale che ci obbliga ad una risposta: “Questo mondo, attraverso la nostra fede in Gesù, scopre il volto del Dio liberatore? Con la mia fede porto la speranza di crescita, di cambiamento, di pace a cui noi stessi collaboriamo?”».

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