Beppino Englaro, 10 anni fa la morte di Eluana: «Ci guardavano come fossimo alieni, oggi mia figlia non sarebbe in trappola»

dal Corriere della Sera
7 febbraio 2019 

Beppino Englaro,

10 anni fa la morte di Eluana: «

Ci guardavano come fossimo alieni,

oggi mia figlia non sarebbe in trappola»

Nel 2009, a Udine, la morte della giovane lecchese in stato vegetativo dal 1992
di Barbara Gerosa
La telefonata alle 20.10 del 9 febbraio 2009. Eluana è morta. La voce del primario di rianimazione della clinica «La Quiete» di Udine è ferma e composta mentre spiega a Beppino Englaro, che la figlia, da 17 anni in stato vegetativo permanente, ha smesso di respirare. Tre giorni prima la sospensione di alimentazione e idratazione artificiale, dopo undici processi, quindici sentenze della magistratura italiana e della Corte europea e l’ultimo tentativo dell’allora governo in carica di far approvare un decreto urgente che bloccasse la sentenza della Corte d’Appello di Milano. Dieci anni fa moriva Eluana Englaro, lecchese, vittima di un terribile incidente stradale nel gennaio del 1992 quando aveva solo 21 anni, al centro dell’aspra battaglia giudiziaria portata avanti dal padre perché venissero sospese le cure considerate dai famigliari accanimento terapeutico. «Considerate da Eluana accanimento terapeutico», ribadisce ancora una volta con forza papà Beppino. Volto smagrito, ma negli occhi lo sguardo combattivo di sempre. Per lui questi sono giorni difficili, ma non si sottrae alle domande e ai ricordi.
Cosa è cambiato in questi dieci anni?
«Molto. Oggi l’Eluana di turno non sarebbe più in trappola, ma vedrebbe esaudito il proprio diritto all’autodeterminazione. Lo dicono le sentenze della Cassazione e del Consiglio di Stato, oltre alla legge 219, approvata all’inizio dello scorso anno che regolamenta la disposizione anticipata del trattamento di fine vita. Con il biotestamento ognuno può decidere ed essere certo che la sua scelta venga rispettata».
Hai mai pensato che Eluana avrebbe anche potuto cambiare idea?
«C’è una lettera del Natale 1991 nella quale mia figlia scrive a me e alla mamma: noi tre formiamo un nucleo molto forte, basato sul rispetto e l’aiuto reciproco, vivo in una famiglia salda, calda e affettuosa, sulla quale potrò sempre contare. E questo noi abbiamo fatto. Consentirle di contare su di noi. Sapeva cosa fosse lo stato vegetativo permanente, il buio in cui era piombato il suo amico Alessandro, ed era stata chiara: mai avrebbe voluto essere vittima di quella non-vita».
Forse anche grazie al dibattito sollevato dalla sua battaglia giudiziaria è cambiata la sensibilità verso questi temi.
«Quando io e mia moglie abbiamo iniziato a lottare perché nostra figlia fosse lasciata libera, ci guardavano come alieni. Non erano argomenti di cui si poteva parlare. Per anni nessuno ha ascoltato la nostra richiesta di aiuto. Oggi invece tre italiani su quattro sono favorevoli all’eutanasia».
Lei però non ha portato sua figlia in Svizzera. Cosa ne pensa della vicenda di Dj Fabo?
«Il suicidio assistito e l’accanimento terapeutico sono due cose molto diverse. Io per Eluana rivendicavo un diritto fondamentale sancito dalla Costituzione. Non avevo bisogno di penosi sotterfugi. L’eutanasia invece in Italia al momento è ancora un reato. Non entro nel merito della scelta di Dj Fabo, ma la battaglia di Marco Cappato ha un senso e ogni nazione civile deve affrontare questo tema».
Nelle settimane che hanno preceduto la morte di Eluana, Regione Lombardia, presidente era Roberto Formigoni, ha negato la struttura dove potesse essere messa in atto la sospensione dei trattamenti, come disposto da una sentenza. Per questo ha portato sua figlia a Udine e molti hanno ancora negli occhi le immagini della folla che cerca di bloccare l’ambulanza mentre esce dalla casa di cura di Lecco dove era stata assistita per 17 anni. In seguito la Regione è stata condannata a risarcirle 164.000 euro.
«Soldi che non sono rimasti nelle mie tasche».
Eugenia Roccella, dieci anni fa sottosegretario alla Salute, parlando della legge sul biotestamento ha detto che ha introdotto l’eutanasia all’italiana. Lei è stato accusato di aver fatto morire sua figlia di sete e di fame.
«Alla Roccella dico che parlano le sentenze. Li si trova la risposta e non ha niente a che vedere con l’eutanasia».
Cosa ricorda di Eluana, la prima immagine che le viene in mente?
«Il suo sorriso. Lo splendore. La luce che l’avvolgeva. Eluana non avrebbe mai concepito che altri potessero disporre della sua vita, come è stato per 6.233 giorni».
«Se dovessi vincere questa battaglia uscirei dall’inferno e rientrerei nella normalità». Sono le sue parole. Ha trovato la normalità?
«Sì, perché la normalità significa non vedere più la persona che ami di più al mondo in condizioni estranee al suo modo di concepire l’esistenza. La morte fa parte della vita. Lo stato vegetativo, secondo Eluana, no».

4 Commenti

  1. Patrizia ha detto:

    Una delle pagine più vergognose della storia di questo Paese, folli fondamentalisti e politici semplicemente a caccia di consensi.
    Sono convinta che anche in presenza di un coma la persona conservi la sua coscienza e continui a soffrire, non posso neanche pensare che sia durata 17 anni.

  2. luigi ha detto:

    La superficialità e il cinismo di una Chiesa cattolica dogmatica: un editoriale del giornale dei vescovi italiani Avvenire scriveva che Beppino Englaro si voleva “togliere di torno” la figlia. Mi ricorda il famoso commento di Andreotti sull’assasinio di Ambrosoli: “Se lo è andato a cercare”. Una Chiesa che voleva al suo servizio una scienza medica vampira che giocava e gioca tuttora con l’accanimento terapeutico sulla sofferenza e sul dolore delle persone. Cos’ha sofferto Beppino Englaro per la figlia amata? Cos’ha sofferto per dare alle istituzioni di questo paese un minimo di dignità umana? E parte delle istituzioni e la politica che ha strumentalizzato il caso? Ne sono uscite con la coda tra le gambe come un cane bastonato. E nonostante le bastonate c’è ancora chi persiste su questa strada. Il minimo che si possa fare è ringraziare Beppino per aver portato avanti questa battaglia per 17 anni dando al nostro paese una legge che consenta a chi se ne vuole servire di interrompere nei suoi confronti l’accanimento terapeutico. Uno stato vegetativo è un’assenza di coscienza e senza coscienza chi è in stato vegetativo che uomo è?

  3. Enrico ha detto:

    Tutto vero quello che scrive Giuseppe. Peccato che sia stata l’occasione per i partiti di destra e per buona parte della Chiesa di strumentalizzare a proprio favore questa vicenda. Io credo che si possa, per ragioni di fede o di potere, giocare con le parole, ma non credo che per le stesse ragioni si possa giocare con la vita e il dolore altrui. Io credo che la volontà di un malato terminale debba essere rispettata e accolta con quella pietas che rappresenta la forza e la coerenza del pensiero umano.La decisione di porre fine ad una parvenza di esistenza è di pertinenza esclusiva della persona interessata che ha il diritto di esporla preventivamente in un testamento oppure alla famiglia. Dopo il caso Welby, anche in questo caso la Chiesa ha dimostrato quanto è lontana dalla pietà. Ha fatto il funerale a Pinochet, a Franco, a mafiosi e camorristi, ma lo rifiuta a un uomo con il pretesto che lui ha chiesto di morire. Povera Chiesa quanto è lontana dalle sofferenze e dall’umanità.

  4. Giuseppe ha detto:

    Quanta ipocrisia, quanto opportunismo da baciapile ottusi e ciechi, ingabbiati in barriere mentali che farebbero l’invidia di pecore e pecoroni, hanno accompagnato la vicenda dolorosissima della famiglia Englaro. Una storia intima di una famiglia come tante, che ha visto sconvolta la propria vita da un giorno all’altro, divenendo, suo malgrado, oggetto di diatribe, prese di posizioni ideologiche e strumentali, battaglie giudiziarie e finanche politiche, senza dimenticare gli immancabili pettegolezzi. Eluana una splendida ragazza di 21 anni, piena di entusiasmo e vitalità, era rimasta vittima di un disastroso incidente stradale e, da quel momento, condannata a una vita vegetativa per 17 lunghi anni, situazione constatata anche sulla base di una sentenza che la interdiva, nominando suo tutore il padre, a causa della incapacità di intendere e di volere. Anche se, la sua volontà aveva già avuto modo di esprimerla ripetutamente parlando con genitori e amici, affermando che avrebbe rifiutare ogni accanimento terapeutico e altri tipi di cure tendenti solo a procurare un prolungamento delle sofferenze, qualora non fosse stata in grado di comunicarlo direttamente.
    Beppino Englaro ha tutta la mia stima e solidarietà, ed è un vero peccato che sia riuscito ad ottenere giustizia troppo tardi. La sua pazienza e perseveranza, però, dovrebbero essere d’esempio e di stimolo per chi, pur amando la vita, si trovasse a vivere situazioni analoghe.

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