Omelie 2017 di don Giorgio: QUARTA DI PASQUA

7 maggio 2017: QUARTA DI PASQUA
At 6, 1-7; Rm 10,11-15; Gv 10,11-18
“Atti degli Apostoli”
Il libro “Atti degli Apostoli” nell’elenco (o canone) degli scritti del Nuovo Testamento viene subito dopo i quattro Vangeli. L’evangelista Luca, che ne è l’autore, ci espone aspetti interessanti della evangelizzazione compiuta dai primi credenti e il processo di espansione del cristianesimo. È un racconto in prevalenza incentrato sulla attività degli apostoli e sulla costituzione delle prime comunità cristiane, sorte tra il 30 e il 60 d.C.
Il libro illustra dapprima la nascita e la vita della Chiesa di Gerusalemme, dando rilievo al ruolo dei Dodici e in particolare di Pietro; mostra poi lo sviluppo del cristianesimo fuori della Palestina, in cui emerge la figura di Paolo, sulla cui avventurosa attività missionaria si concentra fino al suo arrivo a Roma, il cuore dell’Impero romano.
Dal libro “Atti degli Apostoli”, la liturgia prende i brani per la prima lettura della Messa, per tutto il periodo pasquale.
Evangelizzazione tra preghiera e carità
Anche il primo brano di oggi è particolarmente interessante. L’istituzione dei ”sette uomini di buona reputazione”, ai quali viene affidato il compito di servire alla mensa dei poveri, rappresenta un punto fondamentale che favorirà l’inizio della missione della Chiesa.
Ma c’è subito una cosa da dire: già questo evento, ovvero l’istituzione dei cosiddetti sette diaconi, nasce da una emergenza, messa in evidenza da una contestazione. Questo fa già capire come la Chiesa anche in seguito articolerà le sue funzioni, cercando di dare risposte concrete, man mano che i problemi si affacceranno nel proprio cammino storico. Anche le contestazioni possono servire, quando sono naturalmente propositive per il meglio. Ma, per saperle ascoltare, occorre da parte delle autorità una certa apertura e una certa capacità di discernimento, ovvero di capire come e quando saper accogliere una buona provocazione.
Contestazione da parte degli “ellenisti”
Che cosa era successo? Anzitutto, chiariamo. Gli “ellenisti” erano giudeo-cristiani provenienti dall’impero romano e dimoranti a Gerusalemme: parlavano in lingua greca; e c’erano ebrei diventati cristiani, ma che erano originari della Palestina: parlavano in ebraico. Tra di loro non correva buon sangue, perché gli ellenisti erano più aperti, al contatto con il mondo greco (da cui la parola “ellenista”), e c’erano anche incomprensioni per il fatto che parlavano in una lingua diversa.
Ed ecco la contestazione. Alcuni “ellenisti” si lamentano presso gli apostoli perché le loro vedove vengono trascurate, ovvero non hanno quella assistenza anche di tipo materiale, di cui usufruiscono invece le vedove dei cristiani provenienti dal mondo ebraico.
I Dodici si radunano, e decidono di risolvere la controversia, sfruttando anche l’occasione per diversificare compiuti e ruoli. Prima o poi doveva succedere, dal momento che  la Chiesa si stava sempre più sviluppando, creando anche grossi problemi di organizzazione. Gli apostoli non potevano fare tutto: pregare, evangelizzare, assistere i poveri. E così si scelse di istituire ciò che in seguito verrà chiamato “diaconato”.
Da notare un’altra cosa. I “sette” eletti dagli apostoli per servire alla mensa dei poveri sono tutti di origine ellenica (lo si nota dai nomi greci) e ciò sta a dimostrare la scelta coraggiosa di riconoscere alla minoranza dei cristiani ellenisti la gestione di una parte dell’attività della Chiesa, che poi col tempo assumerà una grande importanza. Ecco, a chi protesta in nome della giustizia o di un diritto negato a causa di un dovere mancante o che è venuto meno, viene riconosciuta non solo la sua ragione, ma viene data una certa responsabilità.
La bocca e il cuore
Solo una breve riflessione sul brano di San Paolo. In un versetto precedente, l’apostolo cita un’espressione contenuta nel libro del Deuteronomio (30,12-14): «Vicino a te è la Parola, sulla tua bocca e nel tuo cuore». Questa è la parola della fede, commenta san Paolo. La fede, dunque, si esprime con la bocca e con il cuore. La bocca esprime ciò che il cuore accoglie. Lo aveva detto anche Gesù: «La bocca esprime ciò che dal cuore sovrabbonda” (Lc 6,45). Il cuore non sta solo come sede dei sentimenti, ma della interiorità più profonda: come “caverna del cuore”, come “fondo dell’anima”.
“Io sono il buon pastore”
Passiamo al brano del Vangelo di Giovanni, dove troviamo una delle più caratteristiche auto-definizioni di Gesù: “Io sono il buon pastore”. Anche se la pastorizia, almeno qui da noi, è quasi scomparsa, la figura del pastore mantiene ancora il suo fascino. Pensate anche alle parole che vanno oggi di moda: non si fa che parlare di nuova “pastorale”, ovvero di come condurre le comunità secondo il cuore e la mente di Cristo. E che dire del pastorale, il bastone (o vincastro) dall’estremità ricurva e spesso riccamente decorata, usato dal vescovo nei pontificali e nelle cerimonie più solenni? Richiama il bastone dei pastori, in uso fin dalle prime civiltà, avente un’estremità arcuata con cui afferrare gli animali per il collo senza ferirli. Secondo Sant’Ambrogio, il bastone pastorale deve essere al fondo appuntito per spronare i pigri, nel mezzo diritto per condurre i deboli, in alto ricurvo per radunare gli smarriti.
Come conciliare l’uso del pastorale con l’affermazione di Gesù: “Io sono il buon pastore?”. “Io sono”: solo Dio può dire “io”, noi no. L’io ci appartiene come fonte del male: «è il peccato in me a dire io», scrive Simone Weil; e ancora: ««dire io è mentire». Ogni potere, anche nel campo religioso, che cosa fa? Trasforma l’io come se fosse la voce di Dio.
“Buon pastore”: solo Dio è il Bene, e può dire “Io sono buono”: noi siamo solo immagini di bontà divina. Il testo greco non dice buono (“agatòs”), ma bello (“kalòs”). Dunque, “Io sono il bel pastore”. La bellezza è anzitutto quella interiore, dell’essere. In ogni caso, la bellezza dà un tocco in più alla bontà, che si manifesta anche nelle bellezze della natura, che sempre Simone Weil definisce le “esche del Divino”, una trappola con cui più volentieri Dio cattura le anime.
Sulla parola “pastore” dico solo che essa deriva da pascere, nutrire. Solo una domanda: di che cosa l’uomo d’oggi ha bisogno di essere nutrito? Di qualcosa che riguarda il corpo oppure di qualcosa che nutra lo spirito? Qual è allora il compito del buon o bel pastore? Non è forse quello di far riflettere l’uomo moderno e riportarlo nel fondo della sua anima?

 

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