Omelie 2020 di don Giorgio: SS. TRINITÀ

7 giugno 2020: SS. TRINITÀ
Es 3,1-15; Rm 8,14-17; Gv 16,12-15
Festa liturgica
Una premessa sulla Festa liturgica in onore della Ss. Trinità. La sua collocazione la domenica successiva a quella della Pentecoste, si può spiegare in due modi: anzitutto il Vangelo di Matteo si chiude proprio con l’esortazione del Risorto alla missione di annunciare a tutti il Vangelo nel segno della Trinità: «Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo…» (Mt 28,19-20); in secondo luogo, essendo la Trinità completamente rivelata con la discesa dello Spirito Santo sugli apostoli nel giorno di Pentecoste, la stessa Trinità possa essere finalmente celebrata. Ad ogni modo, il dogma trinitario era già stato codificato implicitamente nella Chiesa sin dall’epoca del Simbolo apostolico (il cosiddetto Credo o Professione di fede, detto apostolico perché si riteneva fosse stato composto dagli stessi apostoli). In realtà, risale al più tardi al IV secolo: «Io credo in Dio, Padre onnipotente, […] e in Gesù Cristo, Suo unico Figlio […]. Credo nello Spirito Santo […].»
Ciononostante, fino all’VIII secolo la Chiesa non celebrò nessuna ricorrenza specifica in onore della Trinità; d’altra parte, l’esistenza del Dio trino e unico veniva riconosciuta, ricordata e celebrata continuamente, anche soltanto con il segno della croce.
La prima testimonianza in merito viene dal monaco Alcuino di York, che decise la redazione di una Messa votiva in onore del mistero della Santissima Trinità. Tale Messa era però soltanto una devozione personale. Bisogna arrivare al papa Giovanni XXII, nella prima metà del Trecento, per avere un decreto con cui si sanciva che la Chiesa cattolica accettava la festa della Trinità e la estendeva a tutte le Chiese locali, collocandola nella I Domenica dopo Pentecoste.
Prima ho accennato al segno della croce. Un segno con cui evochiamo i due misteri principali della fede: con le parole, esprimiamo l’unità e trinità di Dio; con la figura della croce, l’incarnazione, passione, morte e risurrezione di nostro Signore Gesù Cristo.
Vorrei sempre ricordare quanto ha scritto il teologo Romano Guardini, in un libretto preziosissimo dal titolo “I santi segni”, spiega anche il segno della croce. Ecco alcuni consigli: «Quando fai il segno della croce, fallo bene. Non così affrettato, rattrappito, tale che nessuno capisce cosa debba significare. No, un segno della croce giusto, cioè lento, ampio, dalla fronte al petto, da una spalla all’altra… Raccogliti dunque bene; raccogli in questo segno tutti i pensieri e tutto l’animo tuo, mentre esso si dispiega dalla fronte al petto, da una spalla all’altra…».
Un roveto che arde e non si consuma
Vorrei soffermarmi ora sui brani della Messa. Partiamo dal primo, che riporta l’incontro di Mosè con Dio sul monte Oreb. Dio per parlare con Mosè si serve di un suo angelo, che appare in una fiamma di fuoco dal mezzo di un roveto. Mosè si accorge subito che quel roveto, come scrive l’autore sacro, “ardeva per il fuoco, ma non si consumava”.
Mosè si avvicina per osservare meglio lo spettacolo, ma Dio, che è nel roveto (ora non è più un angelo, ma Dio stesso) gli grida: “Non avvicinarti! Togliti i sandali dai piedi, perché il luogo sul quale tu stai è suolo santo!”.
Quando si legge questa scena si rimane un po’ sconcertati; anche l’autore sacro è in difficoltà a descriverla, e nello stesso tempo dà delle indicazioni e offre delle immagini che non possono non farci riflettere sulla stessa identità di Dio: di un Dio che prima appare come un angelo, e poi è lui stesso che parla. E si fa presente quasi nascondendosi in un roveto. È un nascondimento un po’ strano, visto che il roveto brucia, ma non si consuma. E già qui, questa apparente stranezza che lascia sorpreso lo stesso Mosè, rivela qualcosa di Dio. Brucia, ma non si consuma. I Mistici medievali dicevano che di Dio non si può dire nulla di positivo: non si può dire chi è, casomai si può dire chi non è. Però ci sono immagini che possono aiutarci a cogliere qualcosa di Dio. L’Infinito non si consuma. L’Amore non si consuma. Il Bene Sommo non si consuma. Però arde. È come un fuoco. L’immagine del fuoco è stata applicata allo stesso Spirito santo. Un fuoco che arde, ma che non si consuma. Ma possiamo aggiungere: non si consuma, ma consuma le sterpaglie, le cose inutili, l’eccedente. Notiamo che il fuoco dello Spirito non si alimenta con la sterpaglia che brucia, ma intensifica il suo ardore e splendore man mano trova spazio vuoto, libero dalla sterpaglia che lo Spirito brucia perché nello spazio libero egli possa ardere ancora di più.
“Non avvicinarti! Togliti i sandali…”. Ecco un’altra immagine che ci fa capire l’importanza, o meglio la necessità di togliere via tutto, se vogliamo avvicinarci a Dio. Dobbiamo spogliarci di tutto. Dio è l’essenzialità, così dobbiamo essere anche noi: essenziali.
Un breve accenno agli altri due brani.
San Paolo, nel secondo brano della Messa, scrive che è lo Spirito di Dio a renderci liberi e figli di Dio. In realtà, San Paolo parla di una figliolanza adottiva, per grazia. Ma alcuni grandi Mistici andavano oltre: parlavano di una figliolanza naturale. E qui siamo al vertice di una Mistica che proprio per questo è stata condannata dalla Chiesa. Chi osa troppo trova rogne, ma chi osa poco è nelle rogne. Abbiamo il coraggio di osare, solo così riusciamo a dare al nostro essere un respiro infinito.
Nel terzo brano, Gesù dice ai suoi discepoli: «Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso. Quando verrà lui, lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità…». Gesù poco prima aveva detto: «È bene per voi che io me ne vada, perché, se non me ne vado, non verrà a voi il Paràclito; se invece me ne vado, lo manderò a voi».
Gesù, come uomo, come Figlio di Dio incarnato, non avrebbe potuto dire di più alla gente e neppure ai suoi discepoli: ha detto solo qualcosa, e così dobbiamo leggere i Vangeli, dove di per sé non possiamo scoprire tutta la verità. Ma attenzione: i Vangeli sono stati letti e riletti alla luce dello Spirito del Risorto, e il quarto Vangelo è un esempio di una rilettura mistica della Buona Novella.
Ma è chiaro che la Chiesa cattolica non può chiudere la verità in una gabbia, e talora lo fa imponendo dogmi intoccabili. Lo Spirito santo ha lo scopo di rivelarci tutta la verità, e la sede migliore per rivelarcela non è in una struttura ecclesiastica o religiosa, ma il nostro essere interiore, dove lo Spirito può trovare lo spazio che desidera per rivelarsi, purché da parte nostra ci sia la volontà di spogliarci di ogni ostacolo.

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