Profumo di mazzette, ovvero i veri criminali della Democrazia

Profumo di mazzette,
ovvero i veri criminali della Democrazia

Ogni giorno il suo scandalo. Il tempo passa, e gli scandali aumentano. Appena cessa il ricordo dell’uno, eccone un altro. Continuità disarmante. Inesauribile. Una catena inarrestabile. Da nord a sud. Da est a ovest. È proprio il caso di dire che il male sa riempire ogni buco della terra, e che non ama lasciare spazi vuoti.
La corruzione conosce solo il fiuto dei soldi, e là dove c’è un minimo appiglio per spartirsi un pezzetto di torta, non c’è bellezza che trattenga la mano dalla tentazione. Per il dio denaro si vende anche l’unico onore rimasto: quello della coscienza. 
Sembra quasi che ci sia l’ossessione per la caccia nascosta al ladro, da tenere il più possibile segreta per poi fare il grande colpo, quando il marcio stanato è abbastanza consistente da riempiere giornali e telegiornali.
Quando si versano troppe lacrime, gli occhi si spengono; così, quando il marciume tocca le radici più profonde, l’animo umano esaurisce i suoi lamenti, e il suo respiro. E, dopo le solite battute di riprovazione tanto generica quanto ipocrita, si torna alla solita vita quotidiana, che ha già le sue lacrime da asciugare, anche per uno stress che proprio il marciume di una folle società manipola a suo piacimento. E, nonostante questo, si continua a sopravvivere, immergendo lo spirito in quell’asciugatoio di consolazioni, che le ricorrenze più strane o le più programmate offrono a buon mercato. Meno male che la fede trova il modo per farci sentire ancora vivi, con speranze insperate di risurrezione. Per fortuna c’è sempre qualche santo o un papa provvidenziale che ci aiuta a dimenticare il nostro mal di vivere.
È vero che la Chiesa ha perso millenni di storia a inculcarci strani sensi di colpa per peccati inutili di sesso (una fobia che perdura, nonostante papa Francesco!), trascurando di condannare, anche per salvare se stessa nella sua struttura, orrendi delitti sulla giustizia e altro, ma è anche vero che oggi essa tenta di recuperare il tempo perduto condannando talora anche gli scandali sociali, ma guardando spesso e volentieri fuori casa, quando in casa succede di tutto e di più.
La Chiesa predica bene, quando le torna comodo, e razzola male, coprendo la propria incoerenza con documenti che volano alto, tanto alto da lasciare i poveri cristi sempre alle prese con i drammi quotidiani, in balìa di farabutti che, quando assumono cariche politiche, diventano idoli intoccabili e trovano sempre il modo di ricevere le grazie di qualche demonio travestito da angelo o da spirito santo.
Non mi sento neppure di dire che, se la società è quella che è, la colpa ricade tutta sul potere. Dico invece che il potere è il prodotto del malcostume di un popolo che non reagisce o di un popolo a cui fa comodo che il potere sia marcio. A parte le rivoluzioni che, del resto, non hanno mai portato nulla di buono, se non un apparente ribaltamento (ribaltamento di un potere in favore di un altro, talora peggiore), tra il popolo e il potere c’è un feeling misterioso e perverso che neppure i migliori analisti o i più grandi santi sono riusciti e riescono tuttora a cogliere.
Continuiamo a scandalizzarci nei tempi stabiliti dalla legge, e poi, con il beneplacito della legge, toniamo alla solita vita, invidiando chi può rubare più di noi, chi ce la fa a costruire un castello più spazioso dei nostri sogni, chi si può permettere un’esistenza più gaudente della nostra misera quotidianità.
Non diciamo forse: “Ecco, guarda: loro si sono costruiti un regno da favola, e noi, poveri cristi, qui a patire le pene dell’inferno!”? Quasi a dire: perché loro sì, e noi no?
Ma la giustizia che cos’è? Che cos’è il bene comune? Spartirsi forse con più equità i privilegi, distribuire in ugual misura i favori e le mazzette?
Noi votiamo quel partito o quel movimento perché crediamo che ci risolva tutti i nostri problemi, non importa la giustizia o il bene comune. E quel partito o quel movimento, in nome di una pseudo-giustizia o di uno pseudo-bene comune, cattura le nostre false illusioni e le nostre ipocrisie. E siamo daccapo. Sempre daccapo. E tutte le volte non impariamo la lezione: non ci piace andare a scuola della giustizia e della democrazia.
8 giugno 2014

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