La Turchia contro Draghi. Sui giornali governativi: “Mussolini dittatore”. Ma la gente sui social: “Finalmente qualcuno dice la verità”

© Fornito da La Repubblica L’incontro ad Ankara tra Recep Tayyip Erdogan, Ursula Von der Leyen e Charles Michel

La Turchia contro Draghi.

Sui giornali governativi: “Mussolini dittatore”.

Ma la gente sui social:

“Finalmente qualcuno dice la verità”

di Marco Ansaldo
“Italia mafia”. “Mussolini dittatore”. “Dura reazione di Ankara a Draghi”. Però anche: “Il premier italiano ha detto quello che tutti, anche qui, pensano e non possono dire”. La Turchia si è svegliata oggi con una nuova crisi, e c’è purtroppo abituata. Da quasi vent’anni il Paese è stressato dai contenziosi causati dal suo leader, e non passa giorno senza un nuovo fronte aperto.
Questa mattina è il momento dell’Italia. E i giornali e i siti online, al 95 per cento filo governativi, riportano le parole “scioccanti”, come si legge, del presidente del Consiglio italiano Mario Draghi, “un premier di ripiego”, commenta l’osservante quotidiano Yeni Safak. Le reazioni istituzionali e governative non si sono fatte attendere. I collaboratori principali del capo dello Stato, Recep Tayyip Erdogan, hanno fatto scudo attorno al loro presidente puntando su un approccio difficilmente smontabile: in Turchia si svolgono regolari elezioni e i nostri rappresentanti vengono eletti democraticamente.
Ma un conto è quanto dice la casta al potere, fra istituzioni e media. Un alto discorso è la pancia del Paese. E allora, se si vanno a vedere i social, quelli almeno non ancora silenziati finora (molti lo sono già, ma i turchi sono un popolo molto creativo e hanno trovati sistemi alternativi per comunicare in rete), danno il polso di quello che emerge oltre i comunicati ufficiali. Gli utenti si sbizzarriscono allora nell’applaudire “il premier italiano che finalmente ha detto la verità”. E quindi: “Bravo Draghi”. “Qualcuno in Europa si accorge della realtà di quel che avviene in Turchia”. “Una voce libera: l’Italia”. “Draghi coraggioso”. E, anche, qualche preoccupato “Adesso Turchia e Italia sono in guerra”.
C’è così chi si spinge a ricordare i tempi, poco più di vent’anni fa, del confronto aspro sul caso Ocalan. Quando tra il 1998 e il 1999 il leader e fondatore curdo del Pkk (Partito dei lavoratori del Kurdistan), estromesso dalla Siria dove si era rifugiato nella guerra combattuta contro l’esercito turco in Anatolia, scelse di andare a Roma dove si era appena formato il governo rosso-verde di Massimo D’Alema. “Apo” allora era descritto nei giornali di Istanbul come “il killer dei bambini”, così dovevano scrivere i giornalisti ogni volta che lo nominavano. E in ogni caso era il “nemico numero uno” di Ankara. Ne nacque una crisi con Roma che portò alla quasi rottura delle relazioni diplomatiche fra i due Paesi, a una difficilissima ricucitura, a una partita di Champions League fra Galatasaray e Juventus blindata da decine di migliaia di forze di polizia a Istanbul con Giovanna Melandri e Piero Fassino come ambasciatori, e le aziende italiane che non vendevano più una sola ruota di gomme (la Pirelli, ad esempio, per bocca del suo rappresentante).
Oggi si rischia uno scenario simile, se le scuse italiane non arriveranno prontamente per bocca di Draghi o dell’ambasciatore ufficiale ad Ankara, Massimo Gaiani, subito convocato nella stessa serata al ministero degli Esteri turco. Difficile però che l’Italia, adesso apprezzata anche in Europa per le parole “franche” espresse dal suo presidente del Consiglio, le ritiri. Le istituzioni comunitarie devono trovare unità, dopo il sofa-gate di Ankara che ha indignato tutto il mondo, e il litigio formidabile tra Ursula von der Leyen e Charles Michel appena usciti dalla stanza di Erdogan, facendo ritardare vistosamente la conferenza stampa successiva prevista. Occorrerà però trovare una soluzione anche interna, a Roma, visto che il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, è rimasto sorpreso dalle parole del premier, mai concordate con la Farnesina.
Un altro fronte turco è quello dell’opposizione, composta dunque dai repubblicani del Chp e dai filo curdi dell’Hdp, mentre il Partito di azione nazionalista Mhp (composto dalle frange di Lupi grigi pronti a ricordare tra poche settimane il 40° anniversario dell’attentato al Papa) è allineato sulle posizioni di Erdogan, e lo spinge anzi a dichiarazioni più aspre. I repubblicani non hanno al momento espresso posizioni: osservatori turchi rilevano che lo shock dovuto alla recente fine del processo ai golpisti con decine di ergastoli comminati, e al fermo di dieci ammiragli dichiaratisi contrari al progetto faraonico di Kanal Istanbul (un secondo Bosforo), è forte, e il partito non reagisce avendo altri pensieri, pandemia inclusa e la Turchia è molto preoccupata in proposito.
Plausi invece si raccolgono fra i curdi. I due co-leader, un uomo e una donna, come da tradizione curda, del Partito democratico dei popoli, Pervin Buldan e Mithat Sancar, guardano con attenzione e interesse agli sviluppi internazionali. La loro formazione rischia la chiusura, così sta progettando Erdogan che ne teme la forza propulsiva alle elezioni, e un forte impegno anche all’estero può aiutare un movimento che rigetta con forza le accuse di terrorismo e si dichiara pienamente coinvolto nelle istituzioni democratiche. Anche tra i curdi, ora, Draghi è il benvenuto.

1 Commento

  1. Giorgio 1963 ha detto:

    Lieto di sapere che una grossa fetta di quel paese si sta rendendo conto di aver commesso un errore marchiano alle ultime elezioni…

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