Omelie 2017 di don Giorgio: QUINTA DOPO PENTECOSTE

9 luglio 2017: QUINTA DOPO PENTECOSTE
Gen 11,31.32b-12,5b; Eb 11,1-2.8-16b; Lc 9,57-62
Verbi di movimento
Tutti i verbi che riguardano la vita sono di movimento. Anche la morte, che solo apparentemente sembra inattività, è anch’essa movimento: un insieme di movimenti che agiscono in opposizione al movimento della vita, ma che tuttavia, nella vita e nella morte, alla fine entrano a far parte del disegno misterioso divino.
La cosa più assurda, dunque, è pensare la fede come immobilità, e la cosa più blasfema è pensare il mondo divino come qualcosa di assolutamente statico.
L’essere per sua natura non è qualcosa di compiuto nel senso di finito, di concluso. L’infinito significa mai finito, ovvero sempre in movimento.
Non dobbiamo, allora, meravigliarci se riteniamo la nostra esistenza come un ininterrotto cammino: un cammino in tutte le sue più svariate forme di andare, partire, ritornare, spostarsi, cambiare strada, orientarsi verso, tendere verso, anche fuggire, rientrare, scendere e risalire, toccare il fondo, incontrare, staccarsi da, prendere il largo, immergersi, ecc. Forse non avete un’idea della molteplicità e della varietà di ciò che contiene un verbo di movimento.
Pensate anche alla vita divina: dicono i teologi che la Trinità sia tutta una relazione, una processione, perciò un movimento. L’espressione “in quiete” non  deve trarre in inganno, come se tutto in Dio fosse immobile e come se chi entrasse in intima unione con il divino raggiungesse la pace eterna come riposo assoluto.
Già dire Padre, Figlio e Spirito santo è dire movimento infinito. Anche presi singolarmente, dire Padre è dire movimento, così dire Figlio e dire Spirito santo. Forse lo Spirito santo ci porta a pensare a qualcosa di ancor più mobile: non è forse come il vento, i cui movimenti sono per natura imprevedibili, non catalogabili, per nulla uguali? II Figlio sembra preferire il verbo uscire, essere inviato, mentre il Padre segue, accompagna, genera.
Lo so che è un linguaggio umano, e d’altronde è impossibile farne a meno, ma la realtà divina è questa: vita, amore, spirito, generazione, dialettica.
Nel Vangelo di Luca Gesù è sempre in cammino verso Gerusalemme
Gli studiosi della Bibbia concordano nel dire che il Vangelo di Luca è il racconto di un Gesù che è sempre in cammino verso Gerusalemme: un cammino diciamo ideale, in quanto è unico e ininterrotto, simbolo del cammino di ogni essere umano, che inizia con la nascita e non cesserà neppure con la morte. Come il cammino storico di Gesù che si è concluso sulla croce, ma per riprendere come cammino mistico nel Cristo risorto.
Mentre Gesù è in cammino, incontra ogni essere umano, anche nelle sue forme più tenaci di resistenza, ed è qui che il Verbo, ossia il Logos divino, al di là di ogni apparenza umana, supera la nostra resistenza esteriore, puntando al cuore del nostro essere più interiore. E allora non è più il Gesù di Nazaret, ma il Cristo della fede, il Cristo Risorto, che ci provoca nel nostro essere. E dire Cristo risorto richiama il mondo dello Spirito santo, effuso sulla croce: è lo Spirito santo che risveglia il nostro essere interiore, lo purifica per essere rigenerato nel mondo divino. Dunque, il vero cammino è dentro di noi: un cammino che è fatto di un incrocio, quello del nostro essere con quello dell’essere divino. Qui siamo al vertice di un cristianesimo che la religione in quanto tale non potrà mai raggiungere, proprio perché la religione è di per sé dogmatica, e nel dogma il cammino si sente bloccato, viene bloccato.
La storia mitica di Abramo e dell’esodo del popolo ebraico
Tutta la storia di Abramo, capostipite del popolo ebraico, è presentata dall’autore sacro come un cammino o un esodo inteso anche in senso fisico e geografico dalla sua terra d’origine verso altre terre ignote, così pure l’esodo del popolo ebraico dalla terra di schiavitù egiziana verso la Terra promessa che, in realtà, in quanto terra di conquista, non è stata mai raggiunta, eppure l’autore della Lettera agli ebrei evidenzia chiaramente che, a partire da Abramo, si è trattato anzitutto di un cammino di fede, quasi alla cieca: “partì senza sapere dove andava”. In questo senso, non sarebbe per nulla scandaloso se la storia di Abramo e dell’esodo ebraico venisse letta in senso simbolico, così come non sarebbe scandaloso rileggere i Vangeli (come del resto hanno fatto i quattro evangelisti, in particolare Giovanni) come racconti di fede alla luce del Cristo risorto.
Purtroppo siamo stati educati, e in parte lo siamo ancora oggi, a leggere la Bibbia come se fosse una storia, pur affascinante (ma non tutta: ci sono anche pagine particolarmente violente): una storia di fatterelli, di eventi, di interventi divini, dimenticando la presenza di quello Spirito che il credente non può sottovalutare. Anche i Vangeli vanno letti così: come la presenza dello Spirito del Cristo risorto.
Solo letti alla luce dello Spirito, prende senso la parola “cammino”. “Partì senza sapere dove andava”. Certo, l’ha detto anche Gesù: non sai da dove venga e dove vada lo Spirito, che è come il vento che cambia magari repentinamente direzione.
Pellegrini, nomadi
Siamo nomadi. Nomadi nello spirito. Ma da tempo abbiamo ucciso il nomadismo dello spirito, quel cammino interiore, che è frutto di distacco per cogliere l’essenziale. Il tradimento dello spirito sta nel sentirci e nel farci sedentari. In fondo è la tentazione di tutti: avere una dimora fissa, e si pensa di essere ancora nomadi per il fatto di viaggiare per il mondo. Sì, camminiamo fisicamente, corriamo di qua e di là come vagabondi, visitiamo città, paesi, opere d’arte, ma il nostro spirito interiore non cammina con noi. Siamo nomadi turisti, ma sedentari dentro. Spostiamo il corpo, ma lo spirito rimane assente.
Quando si parla di cammino di fede, o di cammino interiore, s’intende proprio questo: un cammino dello spirito che, più è interiore, ovvero avviene dentro il nostro essere più profondo, più assume la realtà dello Spirito divino, che è generazione perenne.
Certo, come si possono dire queste cose all’uomo contemporaneo, che è come un organismo corporeo agitato e super agitato come una trottola impazzita? E allora occorre fermare questa trottola impazzita, se si vuole che il pensiero riprenda a muoversi o, meglio, occorre riprendersi quella realtà interiore, che sembra lì passiva, a subire le angherie di un corpo in preda alla follia di un mondo di oggetti che corrono di qua e di là, scontrandosi e quindi frantumandosi inevitabilmente in milioni e in miliardi di pezzi. E noi abbiamo ancora il coraggio di chiamare esseri umani questi miliardi di cocci di cose frantumate?

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