Mario Delpini, non sai fare il “vescovo”! Fai il politicante balbettando “invano”! Applausi al nulla! Poveretto! Per fortuna che a Milano c’è Giuseppe Sala!

di don Giorgio De Capitani
A mano a mano che ascoltavo, giovedì sera, ore 18, 6 dicembre 2018, su Canale 195,  le parole di Mario Delpini, attuale arcivescovo di Milano (parole scandite nella solita pronuncia vistosamente accentuata, forse con l’intento di renderle più chiare ed efficaci, in realtà rendendole ancor più sgraziate), dentro di me scuotevo la testa, oramai rassegnato al peggio.
Certo, diceva cose anche giuste, cose condivisibili, cose scontate, con qualche puntatina ironica, tipica di chi vuole condire con qualche grumo di sale una minestra del tutto “sciocca” (che in toscano significa “insipida”).
No, no, in realtà il “discorso di S. Ambrogio”, diventato tradizionale nelle ultime generazioni dei successori del grande Vescovo di Milano che ha dato il nome alla diocesi, quest’anno in particolare ha preteso di seguire le orme di chi aveva dato un passo anche politico all’attività pastorale. 
E non si può negare che S. Ambrogio facesse anche il politico, non solo prima di diventare vescovo di Milano, ma anche dopo, durante il suo episcopato, talora anche con qualche contraddizione stridente con la missione di condurre il suo gregge verso i pascoli eterni.
Ma i peccati si possono perdonare ai “santi”, proprio perché sono al di sopra della normalità della massa, il cui peccato più grosso sta proprio in una imperdonabile mediocrità.
“Santi” non si diventa solo perché si occupano cattedre di un certo peso di potere, politico o religioso.
E dire “santo” è dire qualcosa che non impegna una virtù aggrappata chissà a quale dono o privilegio divino, che diventa l’alibi di una Chiesa, a cui fa comodo giustificare i suoi ministri più in vista, inculcando in loro il dovere dell’obbedienza più supina.
Dire “santo” è dire qualcosa che impegna, invece, lo spirito interiore, ed è qui che si gioca eventualmente la propria responsabilità pastorale (sto parlando di un vescovo!), che non può perciò esimersi da un profondo rapporto con il quel Divino che è presente nel fondo dell’anima.
Certo, anche al vescovo sta a cuore il bene comune. Come no?
Anche al vescovo preme il bene anche materiale del suo gregge, che non ha solo l’anima (!) da salvare, ma anche il diritto a vivere questa esistenza, senza possibilmente essere stressato da quelle complessità burocratiche, legate ad una gestione talora allucinante della “cosa pubblica”, che spesso e volentieri dimentica che prima di essere “cosa”, il bene pubblico è un insieme di “singoli” esseri umani.
Già qui, vorrei invitare a non cadere nel populismo, quando si tirano in ballo i “diritti” come se fossero la vera bandiera sociale. E quando sento dire, anche da parte di un vescovo, che la Costituzione è fondata sui diritti, allora mi sento male, mi incazzo, se è vero che, come sosteneva la grande filosofa francese Simone Weil, i diritti sono fondati sui doveri.
Un vescovo che, per tutto il tempo che è durato il suo discorso (31’ 33”), non ha fatto che limitarsi ad accennare ad alcune complessità del rapporto tra cittadini e lo Stato, evidenziandone anche, va detto, i difetti o le pretese dei cittadini (non si può non essere paraculi davanti ad un’assemblea di autorità locali) è del tutto biasimevole, o, per lo meno, da sottoporre ad una certa severa critica, visto che Delpini non ha mai parlato da “vescovo”, ovvero da ministro del Divino che, puoi anche far finta di ignorarlo quando parli in un’assemblea di spiccata prevalenza politica, ma, se tu lo facessi, saresti non solo un miserevole ministro di Dio, ma soprattutto un predicatore da strapazzo, se tu venissi meno alla tua missione, che è quella di riscuotere le coscienze delle persone, a partire da chi detiene un certo potere.
Mario Delpini, pur salvandogli una certa buona fede (che, più che “buona fede”, sembrerebbe una coscienza appannata o assonnata), crede di fare il “buon pastore” dettando delle norme “politiche” ad amministratori, che invece avrebbero bisogno anzitutto di essere “scossi” nel loro mondo interiore.
Ora, parlare di buona amministrazione o tentare un approccio più umano tra cittadini e le istituzioni civili sarebbe tempo perso (è in realtà tempo perso!), se il buon pastore non avesse di mira il cuore dell’essere umano. Questo vale anche per i cittadini più comuni.
Certo, si può anche evitare in certi casi di parlare esplicitamente di Dio, ma chissà perché non avevano vergogna di parlare del Divino i grandi filosofi greci, ed erano pagani!
Ammettiamo pure che i tempi siano cambiati e che oggi prevalga tra l’opinione intellettuale e anche tra la gente più comune la legge del cosiddetto “laicismo” (comunque, stupida o miope concezione della realtà, che è sacra per natura, che lo si voglia o no!), ma il dovere di un vescovo non è forse quello di aiutare a riscoprire nell’essere umano il mondo dello Spirito divino? 
Ma a parte il dovere di ogni vescovo, la riscoperta del mondo interiore non è il dovere di ogni donna o uomo: credenti o non credenti, gente comune e amministratori del bene comune?
Se già la Politica dovrebbe essere al servizio dell’”essere” di ogni singolo cittadino, come si può sopportare che un vescovo parli di politica, senza mai accennare all’essere interiore?
Eppure, dalle prime parole, mi sembrava che Delpini fosse partito anche bene, dicendo: «Siamo autorizzati a pensare. È questa la sostanza della riflessione che mi permetto di offrire alla città in occasione della festa del patrono sant’Ambrogio. È questo il percorso promettente che mi dichiaro disponibile a continuare insieme con tutti coloro che abitano in città e ne desiderano il bene. Siamo autorizzati anche a pensare!».
Poi, a mano a mano che procedeva nel suo discorso, non ho capito fin dove spingesse il suo invito ad essere “autorizzati a pensare”. Forse intendeva dire “riflettere”, ma in che modo, partendo da dove?
Vorrei che qualcuno me lo spiegasse. Io forse vivo in un altro mondo, dove il Pensiero è qualcosa di serio, di alto, di profondamente filosofico e mistico.
Se Delpini avesse spiegato la sorgente del Pensiero puro, da cui partire per ridare un volto nuovo alla democrazia e alla società, avrei accettato di affrontare qualsiasi sforzo per seguirlo nei suoi elevati ragionamenti. Ma non  è neppure decollato di un centimetro: è rimasto in basso, tra le accidentalità di una politica che, se rimane invischiata nel meschino, è soprattutto perché nessuno oggi parla di un grande Pensiero, l’unico a dare sostanza vitale al proprio agire.
Per l’anno prossimo vorrei suggerire un tema per il Discorso di Sant’Ambrogio: il rapporto tra Politica e Mistica. Se Delpini non si sentisse di scriverlo, potrei aiutarlo suggerendogli qualche nome in grado di stendere un testo davvero sconvolgente.
Basta con i discorsi banali, che lasciano il tempo che trovano.
Basta accontentarsi di qualche elogio momentaneo, frutto di una convenzionità ipocrita.
NOTABENE
Capisco tutta la prudenza di un vescovo che vorrebbe evitare polemiche strumentali, se dovesse parlare di migranti allo sbando dopo il Decreto sicurezza, recentemente approvato dal Parlamento. Certo, capivo anche don Abbondio, leggendo i “Promessi Sposi”. Certo, Mario Delpini ha condannato chi strumentalizza la paura, ma le parole generiche, senza nomi e cognomi, volano via senza colpire nessuno.
Chi agisce così, è come un coniglio che teme ogni stormir di foglie.
Non si comportava così Dionigi Tettamanzi, il quale, quando si trattava di dire parole chiare contro la Lega, non le misurava col bilancino della prudenza.
Dopo sette lunghi anni di silenzio, adesso capisco perché il razzismo ha bevuto il cervello anche delle comunità cristiane.
Mario Delpini, hai voluto tenere un discorso politico agli amministratori, accettiamolo pure, ma che tu hai ignorato la vera tragedia che sta colpendo l’umanità, ovvero il fenomeno migratorio, questo è veramente criminale per un vescovo che è tenuto, è un dovere!, parlare delle esigenze di un Vangelo, che oramai sembra fatto su misura di una ideologia razzista leghista che dovrebbe far spavento anche ai vari don Abbondio che guidano, rassegnati, molteplici parrocchie diocesane.
Infine, dopo aver sentito il discorso di Mario Delpini, non vorrei soltanto io avere questa impressione, ovvero che la Chiesa non è stata mai tirata in ballo nemmeno in qualche sua responsabilità. Mi è sembrato di sentire una voce sola, quella di un vescovo che giudica senza voler essere giudicato, almeno in quanto rappresentante di una Chiesa che, in fatto di rapporti sociali e umani, non può certo salire in cattedra a insegnare agli altri.

Speravo che Mario Delpini si riscattasse nell’omelia, che ha tenuto il 7 dicembre 2018, durante il Pontificale in onore di S. Ambrogio, presso la Basilica in suo onore. Altra delusione! Altra conferma della sua pochezza pastorale! Se ne rende conto oppure vuole a tutti i costi diventar santo auto-martirizzandosi? La Chiesa autentica di Cristo fa a meno di questi “martur” (in dialetto milanese). E gli hanno battuto le mani!

 

2 Commenti

  1. Raffaele ha detto:

    Buonasera don Giorgio, credo che lei abbia perfettamente ragione ma non è il solo a pensarla così:
    http://lanuovabq.it/it/ambrogio-svuotato-tra-costituzione-e-pensare-condiviso

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