Nulla è cambiato: ancora funzionari di una Chiesa-istituzione fallimentare

L’EDITORIALE
di don Giorgio

Nulla è cambiato:

ancora funzionari di una Chiesa-istituzione fallimentare

Non so se era meglio una volta. Mi riferisco a noi, ministri di Cristo e di quella Chiesa che dovevamo servire, in toto, nella sua struttura e nella sua morale, se volevamo poi servire il popolo, asservendolo alla Chiesa. In toto, ma ipocritamente, solo apparentemente, perché eravamo “virtuosi” mentitori. Non c’è categoria di esseri umani più scaltra della casta dei preti, che, anche quando sbagliano e sanno di sbagliare, ricorrono poi alla confessione sacramentaria, incapace comunque di togliere di dosso l’arte della finzione.
In altre parole, la Chiesa-istituzione era l’unica madre, dove sentirci a proprio agio, in tutto e per tutto, e da cui attingere ogni energia per servire il popolo affidatoci, educandolo all’obbedienza e alla fede in obbedienza ai precetti ecclesiastici. Sulla nostra finzione, la gerarchia chiudeva un occhio, purché le si garantisse obbedienza formale e ci si impegnasse nel compito-missione (un misto di oscenità!) di essere il più possibile funzionari delle istituzioni.
Mi chiedevo più volte che cosa c’entrasse Dio in una Chiesa che, è vero, parlava e straparlava di Dio, ma di un dio proprietà della Chiesa. Certo, Dio c’entrava, ma serviva solo ad approvare ciò che la gerarchia proponeva e imponeva, come in un circolo vizioso dove non si capisce chi in realtà guida il gioco.
Più che la teologia dogmatica, contava la teologia morale o comportamentale, e questo riguardava la maggior parte di noi preti badilanti, destinati a condurre un piccolo o un grande gregge, che la provvidenza (o volontà di Dio!) ci aveva affidato. E sì, perché la storia o la balla del volere di Dio serviva ai caporioni per giustificare il nostro destino, come in un gioco dei bussolotti.
Il nostro compito, comunque, consisteva nel tenere a bada il gregge, tenendo le pecore nel recinto: non interessava che qualche pecora si allontanasse dall’ovile; ciò che contava era che il recinto, anche concettualmente, restasse sempre tale: un recinto, dove la salvezza di Dio era garantita, magari a poco prezzo, anche con ritualità formali, a patto però di osservare tutte le regole del recinto.
Ogni mezzo era buono, anche minacce e scomuniche che i preti comminavano, magari con un certo simulato dispiacere, pur di tenere a bada il gregge, tenendo le pecore nel recinto. Quelle naturalmente ancora rimaste fedeli.
Sì, ciò che anzitutto preoccupava il pastore era il comportamento dei fedeli, ovvero che essi osservassero le leggi della morale ecclesiastica e tutti i suoi precetti istituzionali. Il sesso, anzitutto, e poi tutto il resto. La legge mosaica sembrava fin troppo lassista, se è vero che la Chiesa, in due millenni, è arrivata a superare i già eccessivi 613 precetti ebraici del tempo di Cristo. E il risultato?
Oggi, il popolo non solo si è fatto una propria morale senza regole, ma anche un proprio dio, pur continuando a compiacersi, tenendo così il piede in due scarpe, di quel dio che il capo supremo della gerarchia sta sbandierando ai quattro venti, come un vessillo ecumenico che accomuna ogni credenza religiosa o quel cocktail di novismi che sembrano accontentare ogni aspirazione eclettica.
Ma i ministri della Chiesa-istituzione non hanno fatto una piega, sempre in funzione di ciò che ancora è rimasto di dogmatico in una religione, a  cui hanno tolto perfino le mutande. Ma i servitori delle istituzioni religiose non vedono le nudità, con quei loro atavici paraocchi che sembrano di acciaio.
E così si gioca da una parte a fare la prostituta attirando più clienti, e dall’altra ad essere sempre pronti a rifarsi la verginità con tutti quei mezzi sacramentali, mai stanchi di dispensare grazie di un cielo misericordioso.
E il popolo? Eccolo finalmente liberato dalla camicia di forza, pronto a vendersi a qualsiasi idolo, soprattutto a quel bastardo idolo che è il denaro, a cui del resto la Chiesa ha sempre strizzato l’occhio, giustificandosi in nome di numerose strutture da mantenere. 
Ma basterà poco per colpire i piedi d’argilla e far crollare la mostruosa oscena statua, la cui caduta sfracellerà anche quelle poche anime ingenue rimaste nel gregge. La maggior parte si è oramai dileguata, vendendosi ai numerosi sciacalli sempre pronti ad approfittare degli sbandamenti generali.
Come salvarci da questa immane crisi di fede e umanitaria? Non c’è che una strada: uscire dall’alienazione religiosa e laicista, entrando in quel regno interiore dove l’unico padrone è il proprio essere, e qui riprendere quella fonte di energia, rimasta per millenni assopita, e farla riemergere.
Da ministri funzionari di una religione senza più senso divino-umano dobbiamo diventare ministri di una nuova Umanità, che non parlerà più il linguaggio dogmatico o tecnicistico della religione o della scienza, ma dello spirito vitale.
La massa come massa dovrà scomparire, spazzata via da un diluvio universale, e bisognerà ripartire da un manipolo di giusti ribelli.
10 settembre 2016
EDITORIALI DI DON GIORGIO 1
EDITORIALI DI DON GIORGIO 2

1 Commento

  1. GIANNI ha detto:

    E qui entra in gioco quello che ho sempre sostenuto, a tale riguardo.
    Il cattolicesimo, sia per eredità storica, che per propria natura, a parte un periodo iniziale, si è incanalato in una religione, che fa dell’istituzione e del rapporto gerarchico, il suo pilastro, probabilmente anche a seguito di cosa è successo nella storia romana, a partire quanto meno da Costantino.
    Se ci si vuol porre in un rapporto di onestà intellettuale, bisogna domandarsi se si è disposti a aderire o meno, e se la risposta è no, questo significa che se ne è al di fuori.
    Molto semplice.
    Può anche capitare che, per non approfondita analisi, inzialmente si pensi che un determintato ambito, sia esso ideologico, politico, religioso, abbia un significato diverso, da quello che poi la realtà dimostra….
    MA allora ecco che, una volta disvelata questa realtà, o quella che è la nostra interpretazione, ci si pone un interrogativo quasi amletico.
    Essere o non essere, che possiamo tradurre come: dichiararci o non dichiararci più appartenenti ad un certo ambito, se non ne condividiamo più l’essenza ed i principi?
    La storia è fatta anche di questo.
    Pensiamo a come sarebbe stata la storia, se un MArtin Lutero, ad esempio, non fosse uscito dal cattolicesimo.
    Questo non per dire che dobbiamo sostituire ad una visione dogmatica ed istituzionalizzata un’altra dello stesso tipo,ma che forse dobbiamo prendere le distanze anche nominalmente da quanto non condividiamo.

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