Oltre i vari don Milani, mummie onorate con l’incenso dell’ipocrisia

di don Giorgio De Capitani
Quando la Chiesa coniò espressioni tipo “scelta preferenziale dei poveri”, “Chiesa degli ultimi” ecc. sembrò che toccasse il cielo con un dito, dopo però che il cielo era stato non dico solo offuscato, ma insanguinato da stragi di innocenti, perpetrate dalla stessa Chiesa..
Certo, a una certa Chiesa parve di rinascere, di tornare alle sorgenti del vangelo (quello predicato da Cristo ancor prima che la Parola venisse imprigionata nello scritto), ma il gioco magico durò poco, forse non più di qualche decennio.
Un tempo, diciamo anche fino a cinquant’anni fa, parlare di poveri era parlare della povera gente dei nostri paesi ancora soggetti ad un capitalismo sfrenato, resosi struttura di potere a cui nulla sfuggiva, complice anche una Chiesa che si alleava volentieri con i ricchi, giustificandosi in nome di princìpi che dire machiavellici sarebbe un’offesa a Machiavelli.
Era chiaro che a sentire parlare di “scelta preferenziale dei poveri,” la nostra gente di casa, abituata a subire (con tante promesse di paradiso ultraterreno!) le angherie di un potere ecclesiastico tutto cuore e anima per le cose di questo mondo, ebbe un sussulto di gioia, e le sembrò di sentire finalmente il calore del cuore di Cristo. Ai poveri, ovvero agli operai oramai abbandonati dalla Chiesa e che per questo si erano allontanati dalla Chiesa e dalle chiese, sembrò che si aprisse un nuovo cielo di nuove speranze.
Ma la Chiesa, anche nei suoi preti d’avanguardia (preti operai e non solo), non capì che non bastava un avvicinamento prevalentemente fisico ai poveri o agli sfruttati. Un avvicinamento che, se c’è stato, non ha però toccato minimamente i vertici della gerarchia.
Sì, l’illusione durò poco, e poi il giocattolo si ruppe, appena il mondo dei poveri, operai e sfruttati, sentì l’odore di diritti/pretese che andavano oltre le loro più che sacrosante esigenze di giustizia. Ad ogni diritto conquistato non corrispondeva un altrettanto dovere di quell’essere umano, che non è fatto solo di lavoro e di pane, di benessere materiale o di piaceri della vita.
E successe che il mondo dei poveri, operai e oppressi, trascinò non solo la società, ma la stessa Chiesa, in un vicolo cieco. E se la società riuscì a capire almeno in parte l’inganno, anche se oramai il vicolo era diventato sempre più cieco e spaventosamente irreversibile, la Chiesa si è trovata tra due reazioni: quella di un dogmatismo a pezzi, ma sempre imposto anche nei pezzi, e quella di una banale timida apertura, ma sempre del tipo populista.
Ed è così che, in questi ultimi tempi, con Bertoglio che inventa ogni giorno frasi ad effetto cosmico, si è voluto di nuovo magicamente sfornare altre espressioni populiste, tanto per ingannare almeno per altrettanti anni gli allocchi, che ancora ci cascano nel gioco magico di parole fumose.
Ora è di moda dire: “uscire nelle periferie”, ma si è capito subito l’equivocità di queste parole pseudo-rivoluzionarie: a sentir parlare di periferie, la gente pensa a qualcosa di ombroso, richiamo di fantasmi pronti a incutere strane paure.
Certo, anche parlare di poveri oggi evoca gli stessi fantasmi, visto che i poveri non sono più quelli di casa, o, meglio, visto che i poveracci non siamo più noi, ma vengono da lontano.
Ed ora la Chiesa si aggrappa a tutto, anche facendo risorgere i martiri del passato, vittime della gerarchia ecclesiastica, e li rispolvera, in occasione dei vari anniversari. Dopo cinquant’anni, anche don Lorenzo Milani può servire per pulire il culo di questa Chiesa, che, più si denuda per amore di essenzialità, più puzza di marcio.
Don Lorenzo Milani viene fatto risuscitare, rivalutato però come una mummia messa lì, solo per dire che la Chiesa ha capito di aver sbagliato, ma senza cogliere ancora che lo baglio continua, nonostante la santificazione dei vari don Milani. In fondo, siamo schietti, oggi come oggi la tomba di don Milani in che senso può far paura alla Chiesa? Tanto il corpo è dentro, e lo spirito dov’è? E poi: qual era lo spirito di don Milani?
Io la penso così: sarebbe del tutto inutile, anzi un perditempo, insistere sulla strada di una evangelizzazione sociale, ovvero al di fuori della interiorità dell’essere umano. La rivoluzione evangelica della Chiesa da dove dovrebbe partire, se non dal proprio interno, ovvero da quel sé che cerca di evadere da un monopolio millenario di un potere oscenamente in antitesi coi più elementari principi evangelici?
A don Lorenzo Milani va riconosciuto di aver fatto almeno qualcosa, pur nel piccolo di una comunità di pochi abitanti, in favore dei poveri o di una parola che risvegliasse la coscienza dei diritti umani.
Ma la sua opera è superata: oggi don Milani non sarebbe più il don Milani degli anni ‘50/’60. Celebrare il suo anniversario è un dovere di memoria, ma di quale memoria? Lui ormai appartiene ad un passato che non è l’oggi, e l’oggi, stretto com’è nella morsa di un diffuso perbenismo (parlo di quello occidentale) che ha inquinato la testa della gente comune, richiede un’altra evangelizzazione, che non è certo da esprimere con frasi slogan del tipo: “scelta preferenziale dei poveri o degli ultimi” o “uscire nelle periferie”.
Non bisogna “uscire”, ma “rientrare” in sé, nel proprio essere più profondo, ed è qui che si gioca il futuro dell’umanità. Preti alla don Milani non ci servono più, ci vogliono preti “mistici”, che sappiano proporre in tutta la loro radicalità le parole dell’oracolo di Delfi: “Conosci te stesso, e conoscerai te stesso e la Divinità”.
Del resto, lo stesso Cristo non è venuto sulla terra per salvare l’umanità da chissà quali peccati, ma unicamente per dirci: “Uomo, ritrova te stesso!”. Addirittura, ci ha detto di odiare l’anima, come psiche, per riscoprire lo spirito interiore, che è la realtà umano-divina del nostro essere.

2 Commenti

  1. Giuseppe ha detto:

    Sono duemila anni che la chiesa cerca di sfruttare circostanze e situazioni per richiamare all’ordine credenti e non, specialmente nei momenti di crisi e di difficoltà. A questo proposito, a costo di essere blasfemo vorrei dire due parole sulla santità. Sappiamo che oggi per proclamare dei santi c’è tutto un processo (vero e non simulato) con tanto di testimonianze e prove, e che si procede per gradi e coi piedi di piombo, tant’è vero che ci vuole del tempo prima di arrivare alla decisione definitiva. Una volta però non era così e, specialmente in alcuni periodi “particolari” i santi spuntavano come funghi , al punto da suscitare più di qualche dubbio non solo riguardo alla santità, ma perfino alla loro stessa esistenza. Ciononostante non sono pochi i personaggi assurti agli onori degli altari, ai quali sono dedicate anche fior di basiliche rinomate di cui non esistono documenti e/o testimonianze certe. Tutto ciò, mentre magari esempi rari di umanità e di amore verso il prossimo, ma ritenuti scomodi dalla santa sede, come don Milani, sono stati isolati ed emarginati, salvo sospette riabilitazioni postume. Per non parlare di grandi protagonisti della fede come Martin Lutero, scomunicato per aver avuto l’ardire di denunciare la corruzione ecclesiastica. Che i santi siano funzionali alla popolarità della chiesa lo dimostra, ad esempio, il caso eclatante di Maria Teresa Goretti, proclamata santa da Pio XII nel 1950, in pieno fermento post bellico per la minaccia latente del comunismo sovietico e di una scristianizzazione della società, al fine di esaltare i valori della verginità e della virtù femminile come archetipo cristiano. Eppure la piccola Marietta, contadina ignorante cresciuta nella paludosa campagna romana verso la fine del XIX secolo, in un ambiente fatto di miseria, violenza e sopraffazione, non poteva certo conoscere quei valori, ma tant’è, la sua morte avvenuta a seguito di un tentativo di stupro è stata facilmente strumentalizzata dagli ambienti ecclesiastici, dalle autorità locali e dalla emotività popolare, facilmente influenzabile. Tuttavia di episodi simili ne sono sempre successi, e tuttora le cronache continuano a raccontarcele, ma nessuno si è, almeno per ora, azzardato a proclamare sante Yara Gambirasio, o Elisa Claps, o Annarella Bracci e le tante altre che hanno fatto versare fiumi di inchiostro, di parole e di lacrime, ma di cui, in realtà, si conosce ben poco. La fede è un mistero, che a contatto con nostra natura umana, tanto fragile e controversa, può essere facilmente confusa con la superstizione e le altre forme di esaltazione e credulità.

  2. GIANNI ha detto:

    Questo, in sintesi, senza necessità di ulteriori considerazioni, che già avevo formulato in altre occasioni, è dovuto al fenomeno di metastoricizzazione, per cui si prende il pensiero di qualcuno, lo si decontestualizza, e lo si piega alle proprie idee.
    Pensiero peraltro di autori che, probabilmente, in un diverso contesto l’avrebbero essi stessi pensata diversamente, a dimostrazione che, a parte i dogmi, ovviamente per chi ci crede, tutto il resto è spesso relativo……

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