Il vero rischio del Giubileo: misericordia a tutto spiano

L’EDITORIALE
di don Giorgio

Il vero rischio del Giubileo:

misericordia a tutto spiano

Sapete qual è il rischio del Giubileo, con tutta quella massiccia dose di misericordia che si porta dietro? È quel buonismo patinato che fa tacere la voce della coscienza, che grida giustizia, senza per questo arrivare alla vendetta. Eppure, la parola “giubileo” dovrebbe richiamare quello ebraico, dove la giustizia era in primo piano: restituire gli equilibri iniziali, interrotti dall’accumulo di terre nelle mani di pochi.
Ci si appella alla misericordia divina, come se Dio coprisse il male con il lungo mantello del suo condono senza fine.
Sì, il Giubileo con l’idea che Dio è misericordia, e che perciò anche i credenti devono sempre essere disposti al perdono, può avvalorare quell’atteggiamento, molto diffuso, di starsene alla larga dal denunciare ingiustizie e soprusi, per evitare il rischio di offendere la “persona” di chi li commette. La “persona” è sacra, si dice, perciò va rispettata. Un cristiano dovrebbe saperlo. Certo, anche la Chiesa dovrebbe saperlo, ma è successo e succede ancora che la persona viene sempre sacrificata in funzione della legge o della gerarchia.
Insistere sul fatto che Dio è magnanimo nella misericordia può arrecare un grave danno a quella giustizia che non si limita a punire i colpevoli, ma denuncia l’inganno di chi copre la verità dei fatti in nome di un potere che vive sulle e di menzogne.   
Mai come oggi viviamo in un sistema di menzogne, e mai come oggi ci lasciamo sedurre dai menzogneri.
È vero che il Giubileo vuole rilanciare la Confessione sacramentaria – un’invenzione tipicamente ecclesiastica, ultimamente caduta in disuso a causa anche del suo troppo abuso –, ma lo fa nel modo più vecchio, ovvero peggiore, di concedere il perdono dei peccati, con l’intenzione, ecco la cosa diabolica, di ripristinare quel disagio interiore che, anticamente, si provava ogniqualvolta si violavano i precetti ecclesiastici. Se la Chiesa dice: “Confessati, perché Dio ti perdona”, significa che devi prima prendere coscienza di aver sbagliato. Ecco il punto: aver commesso un peccato! Ma quale peccato?
Se oggi è venuto meno il senso del peccato, a parte il significato da dare alla parola peccato (si può peccare venendo meno alla giustizia o al proprio dovere insito nel proprio essere umano), forse qualche buona ragione c’è, ovvero che finalmente tra la coscienza e la struttura si preferisce dare il primato alla coscienza. Questo lo chiami peccato?
Sta qui l’inganno: non è la struttura ecclesiastica, nei suoi dogmi sacri e intoccabili, che andrebbe protetta dalle nostre manchevolezze, ma quell’ordine interiore, che sfugge alla struttura e che la struttura teme, perché l’ordine interiore non ha bisogno di per sé di alcun intermediario, e nemmeno di quello ecclesiastico.
Il Giubileo alla fine si risolverà in una questione strettamente personale, e così non potrà incidere sull’ordine pubblico o, meglio, su quel disordine pubblico che è il vero male da combattere, e non da condonare.
La misericordia divina può perdonare le mie debolezze personali, e già il fatto di riconoscere che siamo fragili non richiede di per sé un sacramento apposito, ma solo la coscienza di ciò che siamo. Ma la misericordia di Dio non può condonare un sistema di menzogne, sostenuto e favorito anche dal potere, sia civile che religioso, contro cui dobbiamo lottare, anche rischiando di coinvolgere la persona, ma nella sua responsabilità professionale.
13 febbraio 2016
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