A tre anni dalla morte di Vittorio Arrigoni

vitt arri
di don Giorgio De Capitani
Certo, non dobbiamo aspettare gli anniversari per ricordare coloro che, senza alcuna bandiera politica o religiosa, accomunati solo da grandi ideali che hanno un identico nome: Umanità, hanno dato la loro vita, sapendo i rischi e affrontandoli giorno dopo giorno, per far valere ciò che è giusto per ogni essere umano, indipendentemente dalla razza o dalle credenze religiose. E questi esseri umani da difendere non hanno quei diritti che solo la forza fa prevalere sui più deboli. Ha ragione Simone Weil: i diritti sono dei più forti, e solo con la violenza costoro ottengono ciò che vogliono. La parola diritto andrebbe sostituita con la parola dovere, se intendiamo ciò che è giusto per l’essere umano. Un discorso da dare, ma che ci porterebbe lontano, tanto lontano quanto è la concezione che ancora oggi si ha di diritto e di dovere.
La sera del 14 aprile 2011 Vittorio Arrigoni, originario di Bulciago (Lecco), veniva rapito a Gaza, in Palestina, e la notte tra il 14 e il 15 veniva ucciso. Non voglio entrare nella intricata questione del rapimento: chi l’ha rapito e poi ucciso e per quali motivi? Forse una ragione c’è e, conoscendo i veri moventi interiori di Vittorio per il suo ostinato e indefesso impegno per la causa palestinese e non solo palestinese, non ho timore a dire che, come solitamente capita a chi difende la giustizia, ma senza dividerla ideologicamente, egli si è trovato come tra due o più fuochi, anche all’interno dei sostenitori della causa palestinese. La rabbia porta alla cecità, e la cecità conduce alla violenza fine a se stessa. Gli estremismi non hanno mai portato qualcosa di buono. Anzi, fanno sì che chi ha ragione passi dalla parte del torto. Ed è qui, in questo gioco perverso di chi vuole prevaricare sulla giustizia e di chi si ribella senza sapere che cos’è la giustizia, che i giusti – nel senso più genuino e più nobile del termine giusto – la pagano caramente, perseguitati dai primi, gli oppressori, e vituperati dai secondi, gli oppressi. Non so quanti capiscano dove sta la nobiltà d’animo di chi ama unicamente la giustizia, e non la rivalsa talora violenta di chi attualmente si trova dalla parte del meno forte. Hanno ragione coloro che dicono che il problema vero non consiste tanto nel difendere a tutti i costi coloro che oggi sono i più deboli, ma nel far sì che costoro non ottengano i loro diritti con la forza (i diritti si ottengono sempre con la forza!), e perciò non passino dalla stessa parte di quanti oggi vogliono far prevalere i loro diritti conquistati con la violenza.
Agire per la giustizia è scomodo, anzitutto, per chi lotta per la giustizia, ed è scomodo per chi la vorrebbe conquistare a modo suo, senza capire che la giustizia è fatta di doveri prima che di diritti. Certo, per me, davanti al computer di casa, lontano dai pericoli, è facile scrivere queste cose, tuttavia sarebbe anche facile scrivere il contrario; ma lottare sul posto, agire ogni giorno tra gente disperata, senza saper distinguere con chiarezza i torti e le ragioni degli uni e degli altri – i caporioni se ne stanno nei palazzi ben protetti e mandano in avanguardia dei poveri cristi, addestrati a non pensare – diventa un dramma interiore per chi ama la giustizia, ma ha davanti a sé bambini che piangono e muoiono sotto le bombe o poveracci costretti dalla fame a dover affrontare pericoli d’ogni genere. Il rischio c’è che si perda la lucidità di giudizio.
Dire, come solitamente si dice di ogni eroe, che Vittorio Arrigoni è stato un ragazzo coraggioso a cui piacevano i rischi, e che rifletteva tanto quanto bastava a scegliere il da farsi per difendere questo o quello, non mi pare rispettoso del suo animo interiore.
Se è vero che lui ha scelto concretamente di stare da una parte, quella palestinese, lo ha fatto perché per lui i palestinesi in quel momento erano i più deboli, martoriati dalla prepotenza d’Israele, ma il suo vero dramma, oltre a vedere la sofferenza fisica e morale di una popolazione ridotta agli estremi, è stato anche quello di capire le vere ragioni della giustizia, che tradotta in poche parole significa: come uscire dal cerchio maledetto, senza doversi ammazzare a vicenda, e senza prevaricare oggi in un modo e domani in un altro.
Credo che Vittorio Arrigoni riflettesse seriamente su queste cose. Come se la prendeva per i soprusi da parte d’Israele, così se la prendeva anche nel vedere che il suo popolo palestinese non era difeso nel modo “giusto”. Vedeva, e soffriva nel constatare ogni giorno quanto i capi fossero anch’essi corrotti e lontani dai nobili ideali di Umanità.
Non dico assolutamente che Vittorio sia stato vittima di una situazione assurda e inestricabile, sia da una parte che dall’altra. La parola vittima è offensiva. Il suo vero martirio è stato quello di restare nel “giusto”, che non significa stare nel mezzo per non compromettersi: lui la scelta radicale l’ha fatta, in favore dei più disperati, ma non ha scelto in toto, per partito preso, le ragioni dell’organizzazione palestinese. Qui è stato il suo dramma, e non vorrei che a tradirlo siano stati proprio i “suoi”, intendendo per “suoi” non la gente martoriata palestinese, ma i caporioni, quelli che sembrano divertirsi, sia che si trovino dalla parte più forte o dalla parte più debole, nel far valere il diritto delle armi. Già dire diritto delle armi non è un crimine?
A rimetterci è sempre la giustizia, e se i giusti stanno dalla parte dei più deboli, lo fanno con la speranza che un domani non diventino come i più forti di oggi.
Carissimo Vittorio, il mio ricordo è questo vivo desiderio: che la tua tragica morte non sia stata inutile e che ci stimoli sempre a riflettere sulla vera giustizia, in nome della quale si è liberi di agire, di lottare e di soffrire al di là di ogni fazione politica o religiosa. Che cosa è giusto? Che cosa non è giusto? Che cos’è il diritto e che cos’è il dovere? Forse neppure tu avevi risposte chiare, ma sta proprio qui la tua grandezza d’animo come di chi cerca, lotta, soffre tra dubbi e qualche certezza, senza farne una questione solo teorica, ma guardando in faccia ogni giorno la realtà. Ogni ferita del corpo è una ferita dell’anima. L’anima si guarisce guardando oltre, là dove l’Umanità affratella, armonizzando diritti e doveri, con una sola parola: Amore.

4 Commenti

  1. Egidia Beretta ha detto:

    Grazie don Giorgio. Egidia Beretta, mamma di Vittorio

  2. Paolo ha detto:

    Ho seguito fin dall’inizio la vicenda di Vittorio Arrigoni, la domanda lecita: sarà stato vano il suo sacrificio? Io credo che a uno sguardo affrettato sembrerebbe di si; ma dietro quell’eroismo inerme non si nasconde forse un mare di bene che sotto tante sfaccettature combatte ogni giorno con le armi della non violenza per far si che questo mondo sia più umano?

  3. GIANNI ha detto:

    Penso che l’aspetto più importante, in tutta l’intricata vicenda che riguarda esperienze come quella di Vik, sia la ricerca della verità, più che l’ideologia o la simpatia aprioristica pro questo o contro quello.
    Quella che io chiamo onestà intellettuale, che rende liberi, perchè consente di guardare senza paraocchi.
    Sono quindi concorde che non abbia importanza l’essere filopalestinesi o meno, occorre essere dalla parte degli oppressi, sia israeliani o palestinesi, e talora le rispettive popolazioni sono fatte da oppressi, mentre i gruppi dirigenti spesso sono dalla parte degli oppressori.
    L’importante è stare con gli oppressi, a qualunque etnia, coloro, religione, lingua appartengano.

  4. filippo ha detto:

    Grazie di questo ricordo bello e vero. Vik deve vivere sempre con noi.

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