Omelie 2015 di don Giorgio: Terza Domenica dopo il Martirio di S. Giovanni il Precursore

13 settembre 2015: Terza dopo il Martirio di San Giovanni il Precursore
Is 32,15-20; Rm 5,5b-11; Gv 3,1-13
Mi soffermerò sul primo e sul terzo brano della Messa.
Le alleanze politiche le stabilisce il Signore
Il primo brano è particolarmente ricco di spunti, anche nel campo politico. Perché sia colto nella sua provocazione ancora attuale, va inquadrato in una realtà storica drammatica. Siamo nel sec. VIII a.C., e il piccolo Regno di Giuda, quello del Nord, è sotto la minaccia dell’impero Assiro. Per liberarsene, sogna alleanze che il Signore non gradisce. Al capitolo 31, il profeta Isaia aveva messo il popolo già in guardia: «Guai a quanti scendono in Egitto per cercare aiuto, pongono speranza nei cavalli e confidano nei carri numerosi» (31,1). Il profeta garantisce che «cadrà l’Assiria sotto una spada che non è umana» (31,8).
La concezione diciamo teologica della Bibbia va compresa nella sua radicalità: il Dio dell’Alleanza è l’unico e vero Signore, che non si serve dei potenti per portare avanti i suoi progetti, onde evitare che il suo popolo cada nella tentazione di credere che possa fare a meno di Lui. Non è questione di gelosia come la intendiamo noi, anche se la parola “gelosia” è frequente nella terminologia dei profeti, ma in particolare già nel libro dell’Esodo tornano frequentemente simili espressioni: «Tu non devi prostrarti ad altro dio, perché il Signore si chiama Geloso: egli è un Dio geloso».
C’è qualcosa che va oltre l’aspetto religioso inteso in senso stretto. Non è la forza fisica degli eserciti dei potenti a risolvere in positivo la Storia umana. I potenti cadono facilmente, e le alleanze mutano al mutare della forza fisica, passando ai nuovi vincenti che a loro volta diventeranno perdenti. Dunque, secondo il pensiero teologico della Bibbia, ciò che vale e resiste è un bene che non è soggetto alle mutazioni di carattere politico. Invece che Dio possiamo leggere diritto, giustizia, pace.
Ecco allora le prime parole del capitolo 32: il profeta immagina, per un futuro che certamente verrà (quando? neppure il profeta lo sa), «un re che regnerà con giustizia e i capi che governeranno col diritto» (32,1). E ancora: «Non si chiuderanno più gli occhi di chi vede e le orecchie di chi sente saranno attente. L’ignobile non si chiamerà più nobile né l’imbroglione sarà detto gentiluomo» (32,3-5). Possiamo allora dire che il progetto biblico, da intendere in senso pieno e vasto, è uno stupendo disegno etico per il mondo politico e per una società finalmente coraggiosa, che si realizza, senza alcun timore, nella pace.
Giustizia e diritto a fondamento della società umana
È chiaro che dire giustizia o dire diritto non significa limitarsi al significato restrittivo che ha assunto, purtroppo, nel nostro codice o nella terminologia comune. Nella Bibbia, giustizia e diritto hanno un significato che va oltre anche l’aspetto puramente religioso. Si tratta di valori che appartengono all’Umanità, intesa nella sua globalità e radicalità. Dire giustizia e diritto è pensare a un mondo ideale, ma che si concretizza, pur con fatica, nella realtà, purché si colga l’essere profondo dell’essere umano. Ecco perché insisto nel chiarire che l’Umano di per sé non corrisponde al mondo religioso, anche se la religione dovrebbe  aprirsi e servire l’Umanità.
Nel brano di oggi troviamo una profezia di speranza. Sarà Dio stesso e solo Lui a capovolgere le prospettive di una storia sempre segnata dalla paura e dalla sottomissione a potenze straniere. In che senso Dio farà questo? Egli immetterà il suo Spirito: «In noi sarà infuso uno spirito dall’alto». Qui vorrei agganciarmi alle parole profetiche di Ezechiele, capitolo 37, con la visione della valle piena di ossa che, al soffio dello spirito, riprendono vita. Lo Spirito di Dio, infuso in ciascuno di noi, nel nostro essere più intimo, modella una nuova società, fondata su un coerente ordine morale. Dunque, non è tanto l’intervento diretto di Dio a ridare vita ad una società in affanno, ma è lo spirito che c’è in noi. La società, perciò, non migliorerà aspettando straordinari miracoli divini e neppure attraverso i geni della storia o i grandi condottieri o i grandi leader. L’ordine morale va al di là di un codice o di norme stabilite da una struttura di potere. L’ordine morale è ciò che proviene dal mondo interiore, che si traduce in un comportamento, ma che dipenderà dallo spirito interiore.
Dover essere
Pensate alle conseguenze di quanto vi sto dicendo. Oggi tutti parlano di giustizia, di diritti (non di diritto, ma di diritti, che sono la somma dei nostri egoismi), restando al di fuori di ciò che è l’essenziale per avere più giustizia, ovvero un ordinamento nuovo. Un nuovo ordinamento che non potrà provenire né da istituzioni statali né da istituzioni ecclesiastiche. Il diritto proviene dal nostro essere interiore più incontaminato (ed è incontaminato più si fa profondo, come l’essere), perciò il diritto è il nostro stesso essere, perciò il diritto è il nostro dover essere. Ecco perché si deve parlare di doveri, perché i diritti si fondano sul nostro dover essere.
Nicodemo: carne e spirito
Passiamo al brano del Vangelo. Nicodemo è un uomo saggio, maestro nella comunità ebraica, esperto nelle Scritture, ed è proprio per questo che stupisce la sua incomprensione di fronte alle parole di Gesù. Se Gesù avesse dette le stesse cose al popolino, agli stessi apostoli, quale sarebbe stata la loro reazione? Una prova c’è, ed è quando Gesù ha compiuto il miracolo del pane moltiplicandolo: nessuno ha capito il senso profondo di quel miracolo.
Non scandalizziamoci: ancora oggi, pane è la pagnotta-pagnotta, e se tu parli di un altro pane sostanzioso, ti ridono in faccia. Oggi si lotta ma per le cose concrete, materiali, non dire alla gente che ciò di cui avrebbe bisogno è un pane che alimenti lo spirito.
Nicodemo, mentre Gesù parlava di “rinascita”, pensava al ventre fisico della madre: «Come può nascere un uomo quando è vecchio? Può forse entrare una seconda volta nel grembo della madre e rinascere?». Ma Gesù non si scoraggia, e spiega il significato della nuova nascita, che è tutta interiore. Non è più la carne, ma è lo spirito l’autore della rinascita. Siamo su un altro piano.
La vera novità di Gesù non sta nelle guarigioni miracolose, ma nella rivelazione di un mondo interiore, coperto e ricoperto da formalità religiose davvero distruttive dell’essere umano. Il linguaggio di Gesù è nuovo, rivoluzionario: «In verità, in verità io ti dico, se uno non nasce dall’alto, non può vedere il regno di Dio».
“Dall’alto” non significa fuori di noi, ma dentro di noi. Non si tratta di salire verso il cielo, ma di scendere nel profondo del nostro essere. Questa è la vera rivoluzione esistenziale, certo incomprensibile, ambigua, inattuale. Anche oggi la società, come Nicodemo, si sente spiazzata e prende le parole nel loro senso più materiale. Gesù, invece, rimanda al pensare nuovo, alla purificazione della mente e del cuore e alla nuova creazione.
La riscoperta del mondo dello spirito sarà il segreto della salvezza dell’essere umano e dell’umanità. Dire “spirito” è dire oltre la struttura anche di una Chiesa, stretta tra le quattro mura di una religione che, come quella ebraica dei tempi di Gesù, aveva reso i credenti schiavi della stessa struttura.
Dunque, la vera rinascita è quella che riguarda lo spirito, che resta così nascosto e coperto dal nostro vivere carnale, ovvero esteriore, ovvero materiale, da renderci cadaveri ambulanti.
So di annoiare, ripetendomi: lo spirito è la parte più interiore di noi stessi, è il nostro essere nella sua nudità più incontaminata. Non è l’anima, che è il mondo delle facoltà umane. E tanto meno è il corpo. È chiaro che siamo anche anima e corpo, è chiaro che lo spirito non è staccato dall’anima e dal corpo, ma ciò che Gesù ha detto a Nicodemo è semplice, anche se rivoluzionario: è lo spirito che dà vita, è lo spirito che ci dà ogni giorno la capacità di riprendere a vivere. E questo nel campo ecclesiale e questo anche nel campo politico. Il vero pensare, di cui spesso parlo, non riguarda tanto la mente, ma il nostro mondo più profondo. È l’essere interiore a dare gli impulsi alla mente e al corpo.

 

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