Omelie 2016 di don Giorgio: PRIMA DI AVVENTO

13 novembre 2016: PRIMA DI AVVENTO
Is 51,4-8; 2Ts 2,1-14; Mt 24,1-31
Tempo forte o tempo debole?
È iniziato oggi, per noi di rito ambrosiano, il periodo liturgico denominato Avvento, uno dei due tempi “forti”, l’altro è la Quaresima. Oggi si preferisce evitare la parola “forte”, per due motivi: forse per togliere l’idea che il resto dell’anno liturgico sia meno importante, ma probabilmente perché sarebbe grottesco parlare di “forte”, quando in realtà anche l’Avvento ha perso il suo senso profondo, e se dobbiamo continuare a parlare di forte, è per tutta quella progressiva paranoica esaltazione di sentimenti strumentalizzati però in vista di un natale maniacalmente consumistico.
In realtà, diciamo che per noi cristiani l’Avvento è diventato tanto povero di fede, perciò spiritualmente debole, da chiederci se non siamo arrivati veramente alla deriva.
Cronos e kairòs
E allora che significa “tempo forte”? Anzitutto, soffermiamoci sulla parola “tempo”.
Certo, qui per tempo significa un periodo liturgico che è una sequenza di sei settimane, perciò il tempo è inteso in senso cronologico. Ma non basta: se fosse inteso solo in senso cronologico, toglieremmo al tempo un altro significato che però noi latini difficilmente riusciremmo a cogliere, a meno che non chiediamo aiuto alla lingua greca, che ha due parole diverse per indicare il tempo: “cronos” e “kairòs”. “Cronos” è il susseguirsi del tempo in secondi, minuti, ore, giorni, mesi e anni. È il tempo visto nella sua esteriorità. “Kairòs”, invece, è il contenuto del tempo, ovvero ciò che succede nel tempo: è, perciò, il tempo visto nella sua interiorità. Come potere capire, c’è una bella differenza. Senza voler sminuire la parte cosiddetta esterna, ovvero il tempo nel suo susseguirsi di secondi, minuti, ecc., mi sembra evidente l’importanza fondamentale che ha il tempo quando viene vissuto nella sua interiorità, ovvero nei suoi contenuti. Che il tempo trascorra, non possiamo farci nulla: passa, e basta. Chi potrebbe rallentarlo o accelerarlo, o addirittura fermarlo? Nessuno. Il tempo passa inesorabile, per tutti. Ciò che invece spetta a noi è “come” vivere il tempo che passa. Noi non siamo padroni del “cronos”, ovvero del tempo che passa, ma possiamo essere padroni del “kairòs”, ovvero di ciò che avviene nel tempo. Se per il “cronos”, prima siamo bambini, poi ragazzi, poi giovani, poi adulti, poi anziani; per il “kairòs”, possiamo essere già adulti fin da bambini, e giovani  anche da adulti.
Kairòs
Soffermiamoci sul “kairos”, ovvero sul contenuto del tempo. Non si tratta solo di un contenuto, che è opera dell’essere umano. Certo, nel tempo facciamo tante cose: è già difficile elencare tutto ciò che in una sola giornata compiamo, in bene o in male, ma è ancor più difficile conoscere tutto ciò che anche in una sola ora avviene nel mondo.
Ma, oltre agli eventi diciamo umani, c’è qualcosa di sconvolgente, che avviene nel tempo, e che purtroppo è poco riconosciuto, proprio per la sua invisibilità agli occhi fisici o anche solo agli occhi dell’intelletto. Ma anche se l’intelletto lo cogliesse, non basterebbe: occorrono occhi speciali, più interiori, che sono quelli dello spirito.
Non è però qualcosa che è riservato a pochi eletti. Se lo è o così sembra, è perché i “carnali”, per scelta o per indifferenza, prevalgono sugli “spirituali”. I “carnali” sono quelli che vivono all’esterno del loro essere, mentre gli “spirituali” sono coloro che colgono le loro energie all’interno del loro spirito interiore.
La Grazia
Che cos’è allora questo “qualcosa” di così sconvolgente che dà un senso profondo al nostro vivere, o, se vogliamo, al contenuto del nostro tempo? È la Grazia. Già la parola “grazia” fa capire che si tratta di una realtà che proviene da un mondo dove vige la legge del gratuito, di un dare in sovrabbondanza, senza limiti, senza quello scambio che si chiama “do ut des”. La Grazia appartiene al mondo del Divino, l’unico dove il dare è perfettamente gratuito.
Ma che significa grazia? Se anche intuitivamente riuscissimo a coglierne solo l’ombra, la Grazia perderebbe il suo fascino, perché non si tratta di capire, ma di accogliere o, meglio, di predisporci alla recezione del Dono infinito, che è il mondo del Divino in noi. E ciò avviene nello spirito, ovvero nella interiorità del nostro essere.
Che significa allora Avvento?
Che cos’è allora l’Avvento? Commemorare la nascita storica del Gesù di Nazaret? O celebrare liturgicamente un Mistero, come se si dovesse ancora ripetere?
Ed ecco la domanda: Avvento come Evento storico o Avvento come l’attesa del Veniente, che si fa presente in tutta la sua realtà di Risorto o di Cristo Mistico? Eppure, che cosa sono i nostri Natali? Non sono forse una serie di celebrazioni di un evento storico che rivive solo attraverso miti e leggende sempre più folcloristiche, per non dire consumistiche?
Tutta la nostra vita è un Avvento, ma come presenza di quella Grazia da riscoprire nel profondo del nostro essere. Le celebrazioni esteriori sono solo di disturbo, anzi coprono, per non dire soffocano la nostra interiorità. Sono cose morte di un passato, che resta solo un ricordo di eventi che non tornano più.
Vigilare
Che significa allora l’invito a vigilare, a stare attenti, ad aprire bene gli occhi, a tenerci svegli? Sono numerosi gli inganni, da cui guardarcene, ma quello più pericoloso, perché accattivante, è quello idolatrico, ovvero che si presenta sotto le vesti di un idolo. L’idolo è di casa nella religione. Gli atei si illudono di non averne, ma gli idoli sono ovunque, perché sono manifestazioni di quell’ego che fa da ostacolo alla Realtà divina.
Che cos’è allora un idolo? È un oggetto, una cosa (sì, una cosa!) che prende il posto dell’Assoluto, che, in quanto assoluto, ovvero sciolto da ogni cosa, è l’Infinito, l’Essenziale, la Purezza dello Spirito.
Il problema è che non c’è un idolo solo, che si fa assoluto, ma ce ne sono tanti, e cambiano volto continuamente: la maschera è la medesima, quella dell’inganno, e dietro l’inganno-maschera non sai che cosa ci sia. Quanti occhi, allora, ci vorranno per vedere l’inganno? Non è la quantità degli occhi che conta, ma la qualità: se vogliamo, sappiamo dove trovare la sorgente della verità: dentro di noi.

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