Omelie 2020 di don Giorgio: QUINTA DI AVVENTO

13 dicembre 2020: QUINTA DI AVVENTO
Is 11,1-10; Eb 7,14-17.22.25; Gv 1,19-27a.15c.27b-28
La parola del profeta e lo Spirito
Quando preparo una omelia, non sempre mi viene spontaneo commentare certi brani proposti dalla Liturgia, non perché sono particolarmente aridi o troppo difficili anche per l’epoca in cui sono stati scritti o magari poco pertinenti al momento liturgico (capita anche questo, comunque), ma perché ci sono parole troppo suggestive per lasciarcele sfuggire nella loro carica diciamo mistica.
La mia domanda è sempre la stessa: il profeta che cosa ha colto in queste parole, al di là delle immagini, pur suggestive ma che col tempo rischiano di deteriorarsi, perdendo il fascino iniziale?
Dovremmo tornare ai tempi del profeta, e forse capiremmo ciò che il tempo ha poi logorato.
Ma sappiamo che c’è un’altra strada, senza necessariamente tornare al passato (anche perché sarebbe del tutto impossibile), ed è di farci prendere e immergerci nell’eternità dello Spirito santo.
Ma noi lo Spirito santo lo lasciamo sempre come sottofondo emozionale o addirittura come la conclusione finale di ragionamenti puramente razionali che non hanno nulla di spirituale, anche se a snocciolarli è una gerarchia ecclesiastica a cui è rimasto un po’ di infarinatura culturale, che imbianca un vuoto altrimenti troppo pauroso da sopportare. Non è così?
È la mia amarezza, quando ascolto o leggo le omelie di vescovi che non sanno mai cosa dire, però pregano lo Spirito santo perché metta quasi il sigillo su certe banalità, come se le banalità di colpo si trasformassero in opere d’arte.
Forse per una volta può anche perdonare, ma se diventa un’abitudine allora lo Spirito santo non sorvola.
E la cosa grottesca è che questi vescovi invocano lo Spirito dopo magari un’ora di parole del tutto scontate, per non dire senza senso. Come quando, dopo una lunga litania di parole inutili e magari sciocche, concludiamo dicendo: Amen, pretendendo che anche lo Spirito santo ci creda e confermi.
Ma perché dimenticare che la Parola di Dio, anche quella che è scritta nella Bibbia, è un parto dello Spirito, che non è da intendere in senso puramente letterario (ci sono anche capolavori letterari nel Testo sacro, pensiamo al libro di Giobbe), ma nel senso elevatamente mistico?
Che cosa significa parto mistico?
Proviamo a immaginare ciò che avviene quando una parola divina scende dentro di noi: che cosa produce? E come la produce?
Produrre per noi è creare qualcosa di buono o di bello, ma anche qualcosa di efficiente e di utile. Siamo abili, molto abili nell’accostare il bello o il buono all’utile, al redditizio, il tutto per convincere meglio la massa all’acquisto.
Invece, produrre per lo Spirito è creare ex novo solo qualcosa di Divino, che è del tutto Gratuità.
Nello Spirito ogni parola assume un senso profondamente mistico, al di là dunque di una carnalità di linguaggio, che sempre rischia di essere logorato dal tempo, il quale non può nulla di fronte allo Spirito, che è Eterno.
Germoglio, virgulto
Ci sono parole che più di altre sono pertinenti al mondo dello Spirito divino. Pensiamo alle parole che troviamo nel primo brano della Messa, quando il profeta Isaia parla di “germoglio”, di “virgulto”, su cui si posa lo Spirito con tutti i suoi incalcolabili doni, ma che in realtà sono uno solo: lo Spirito è spirito e dona se stesso nella sua purità divina.
E nell’immagine del germoglio o del virgulto scopriamo la Realtà dello Spirito che, più che una pianta carica di frutti più o meno maturi, è un germoglio di vita, di novità, di sorprese sempre imprevedibili.
Lo Spirito poi si posa o si riposa sul virgulto o sul germoglio quasi a covarlo, come quando, ai primordi della creazione, lo stesso Spirito aleggiava sulle acque, come una chioccia che sta covando le uova.
Senza lo Spirito che feconda i miei pensieri è impossibile pensare alla fecondità mistica di parole come “virgulto”, “germoglio”.
E allora chiediamoci che cosa è il Natale per noi cristiani?
È sì la Nascita di Gesù, ma come? Come la nascita di un bimbo pronto per crescere, oppure come un germoglio che cresce, ma nello stesso tempo non cessa di essere un germoglio?
Ecco il Mistero natalizio, o il Miracolo natalizio o la Novità o la Sorpresa natalizia.
In quel Bimbo vedo un germoglio, sì lo “vedo” con gli occhi della fede, o con gli occhi dello Spirito, o con gli occhi della Mistica.
Sì, ogni Natale è un germoglio. perché la vita è sempre un germoglio, legato alle leggi non del tempo, ma dell’Eternità.
Se fosse legato al tempo, il germoglio avrebbe poco per restare germoglio, e il tempo lo avvizzisce, togliendo al germoglio la Sorpresa divina.
Non ci interessa sapere se il profeta pensasse a tutto questo, e nemmeno se intuisse qualcosa di divino dietro alle parole ”germoglio”, “virgulto”.
Ci interessa che ora lo Spirito ci possa aiutare a rileggerle in senso mistico.
Lo Spirito prende la Natura come spunto per farci intuire qualcosa di quel Divino, che per la sua stessa natura è una sorprendente Novità.
Natura non significa forse “ciò che sta per nascere”?
Ed ecco allora che cos’è il Mistero natalizio: ciò che sta per nascere, ogni anno, ogni giorno, ogni istante.
Il Natale è, dunque, come un germoglio, un virgulto.
Guai se fosse solo un evento da ricordare. Sarebbe qualcosa di morto, di cui commemorare una data storica.
Il Natale è un avvento, un realtà che tende verso… l’Eternità del presente.

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