Un ottantenne e… il mondo dei giovani

L’EDITORIALE
di don Giorgio

Un ottantenne e… il mondo dei giovani

Credo di dire che tra me, più che ottantenne, perciò anziano, e un giovane di oggi ci sia non solo un’enorme distanza di età, ma un divario tale di esperienze che, nei momenti di tranquillità o di normalità, non pesano quanto nei casi di emergenze, come quella che attualmente stiamo “subendo”.
Già nel dire “subendo” c’è un segno del divario che c’è tra l’anziano e il giovane. In realtà, per l’anziano ”subire” significa “soffrire”, mentre per il giovane significa “fregarsene”.
L’anziano “soffre”, pensando ad una esistenza vissuta a contatto con una realtà, determinata e talora umiliata dalla perversione dell’essere umano.
Ho sempre lottato a viso aperto, sapendo di avere a che fare con altri esseri umani: con il loro carattere, le loro coscienze, i loro voleri.
Sono cresciuto, imparando, lottando, maturando tra convinzioni, che man mano si purificavano a contatto con la dura quotidianità.
Mille domande mi ponevo su Dio, sulla religione, sulla Chiesa, sul mio essere a servizio di una struttura per nulla edificante.
Domande e domande, ma le risposte nascevano mentre camminavo, con quell’attenzione al Mistero divino che, man mano lo scoprivo nel mio essere, mi sconvolgeva nel mio agire.
Tutto chiaro tra me e la società, tra la società e quel Dio “assente”, perché ”presente” nella mia singolarità, da svincolare dai legami di massa.
Ogni “esperienza” del contrasto, della omologazione, della carnalità imperante purificava, anche nello stesso cedere a compromessi tra la carne e lo spirito.
Ma qualcosa restava a dirmi: “Non tutto è perduto! Ce la farai! Lo Spirito è pronto per farti rinascere!”.
Esperienze negative, che purificavano in vista di quella Scoperta che mi trasformerà in un contemplativo, ora cocciutamente aperto al Divino in me.
Ed ecco che, ottantenne, sono qui costretto a “subire” un’emergenza tale da mettere in crisi i più grossi sistemi capitalistici del mondo.
Ma sono qui anche per dire: la paura c’è, ed è palpabile, ma a pagarne le conseguenze saranno i più giovani, che ignari di ciò che sta succedendo, sembrano non tanto rassegnati all’inevitabile necessario, ma sono fuori, dunque alienati, da quel’io “coscienzioso” che aveva dettato i passi della mia maturità.
I giovani di oggi, nell’emergenza planetaria, sembrano come quei bambini incoscienti che giocano con il fuoco. Questi giovani non sono nell’emergenza a causa di un virus che sta contagiando il fisico di milioni di persone, ma sono vittime di ciò che il virus sta denudando: figli di un vuoto d’essere, si credono immuni, attaccati a quella pelle che il virus lascerà da godere per un attimo, facendo credere che in fondo vale sempre il detto: “Carpe diem”, da intendere sempre nel più idiota e superficiale senso che il poeta latino Orazio non aveva mai pensato.
“Carpe diem”, ed ecco i ragazzi di oggi in balìa di una nullità, coperta dalla incoscienza, dalla imbecillità, dal più scriteriato attaccamento ad una esistenza di ben misere emozioni passeggere.
“Carpe diem”, e i giovani eccoli rimbambiti, quasi dilanianti dal nulla di un giorno mai goduto nell’Eterno presente.
“Carpe diem”, e io, ottantenne, vorrei che il giorno non passasse mai, tanto lo gusto nella grazia di un’Amicizia eterna.
14 novembre 2020
EDITORIALI DI DON GIORGIO 1
EDITORIALI DI DON GIORGIO 2

2 Commenti

  1. Claudio Oggioni ha detto:

    La conosco poco,magari quando il lockdown finirà vorrei venire a Valletta alla celebrazione di una Messa.Pensavo di leggere commenti un po’ sopra le righe,invece li trovo ragionevoli e anche parzialmente condivisibili.Comunque sarei solo un po’ più comprensivo con il suo arcivescovo,ogni uomo,anche presbitero,ha una sua personalità e i suoi problemi e non tutti abbiamo lo stesso carattere e indole.

  2. giuseppe ha detto:

    NON TUTTI GLI OTTANTENNI SONO COME LEI PURTROPPO. UN SUO COETANEO, DON LIVIO FANZEGA, RIESCIE A MANIFESTARE I PRIMI SINTOMI DELLA VECCHIAIA.
    CORDIALITA’

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