Omelie 2016 di don Giorgio: FESTA DI PENTECOSTE

15 maggio 2016: FESTA DI PENTECOSTE
At 2,1-11; 1Cor 12,1-11; Gv 14,15-20
Tra festività ebraiche e festività cristiane
Non possiamo negare che le principali festività cristiane richiamino e si riallaccino alle principali festività ebraiche: due in particolare, la Pasqua e la Pentecoste.
Ecco la domanda: perché Gesù Cristo, nonostante la sua radicale contestazione nei riguardi della religione ebraica, scossa nei suoi due pilastri, la Legge e il Tempio, ha innestato la sua Novità proprio nelle festività ebraiche più importanti: la Pasqua e la Pentecoste? È sufficiente dire che con Cristo Pasqua e Pentecoste hanno cambiato totalmente la faccia o, meglio, il contenuto? Può bastare dire che, se per gli ebrei Pasqua era ed è la celebrazione più solenne in ricordo dell’esodo o dell’uscita dalla schiavitù egiziana verso la Terra promessa, per i cristiani invece rappresenta il passaggio verso un mondo nuovo? E così può bastare dire che, se per gli ebrei Pentecoste era ed è la celebrazione della Legge promulgata da Dio a Mosè sul monte Sinai, cinquanta giorni dopo l’uscita dall’Egitto, per i cristiani invece è la promulgazione della nuova Legge, che è lo Spirito santo?
Cristo innesta la sua Novità nelle festività ebraiche
Un dato è certo: Cristo ha ripreso e trasformato le festività ebraiche, e perciò per coglierne la differenza non è sempre facile, abituati come siamo a celebrare eventi storici. Ogni religione è un insieme di riti e di commemorazioni di eventi del passato che, quanto più risalgono indietro nel tempo, tanto più si perdono nel mito. Anche la religione ebraica ha mitizzato le sue origini e gli eventi più importanti della sua storia, per dare ad essi più autorevolezza. La stessa domanda la possiamo, la dobbiamo fare per le origini del cristianesimo. Che senso dare, allora, alle festività di Pasqua e di Pentecoste, a cui si rifà e su cui si fonda la nostra fede di cristiani?
Già parlando di Pasqua cristiana, più volte ho detto quanto sia difficile coglierne il senso più reale e primario, al di là dei riti solenni della Liturgia, che rischiano di enfatizzare un evento fermandosi ai suoi aspetti eroici, sminuendo perciò il Mistero che sta dietro, da cogliere nella interiorità più profonda.
Che senso dare alla Pentecoste?
Un altro dato è certo: i primi cristiani non avevano per nulla compreso il Mistero del Cristo risorto, fino a quando, scrive l’autore degli Atti degli Apostoli, lo Spirito santo non è disceso sul primo nucleo della Chiesa nascente, il giorno di Pentecoste. Eppure, lo Spirito santo non ha fatto la sua comparsa la prima volta il giorno di Pentecoste. Era già stato promesso e donato. Cristo sulla croce, mentre muore, esala lo Spirito, ovvero dona lo Spirito santo. Per inciso. Sarebbe interessante approfondire ciò che avviene anche durante la nostra morte: anche noi esaliamo lo spirito. Lo spirito dove va? Interessante saperlo. Gli antichi avevano le loro convinzioni, secondo cui lo spirito uscito dal corpo se ne andava verso il cielo o s’incarnava in altri corpi. Ma a noi moderni sembra che non conti un gran che. Chiusa parentesi.
Il giorno stesso della sua Risurrezione, la sera del primo giorno della settimana, Cristo apparendo ai suoi discepoli soffia su di loro, dicendo: «Ricevete lo Spirito Santo» (Gv 20,22). Ma c’è di più. Non possiamo dimenticare le affermazioni più suggestive di Gesù sullo Spirito Santo, nel dialogo in pieno giorno con la donna samaritana e nel dialogo in piena notte con Nicodemo. Da notare: Cristo non fa promesse, ma si riferisce al presente: lo Spirito santo è già realtà.
E allora – torna la domanda – che senso dare alla festa di Pentecoste? Sì, è vero: mentre prima, nonostante le parole e le garanzie di Cristo sulla realtà dello Spirito già presente, gli apostoli erano rimasti chiusi, per paura e anche per i loro dubbi, tra le quattro mura del cenacolo, dopo l’effusione sovrabbondante e quasi violenta (si parla di vento gagliardo) dello Spirito santo nel giorno di Pentecoste sono come miracolosamente trasformati, anche loro risorti.
Lo Spirito Santo e lo spirito umano
Ecco, dobbiamo capire che cosa di veramente nuovo c’è stato nell’animo degli Apostoli e del gruppetto dei primi cristiani, dopo la miracolosa effusione dello Spirito santo su di loro.
Quando parliamo di spirito, non dobbiamo dimenticare che ciascuno di noi è soprattutto spirito, oltre che anima e carne. Lo spirito è il fondo dell’anima, ovvero la parte più profonda. Lo Spirito santo è il fondo dell’anima, ovvero la parte più intima del nostro essere umano. Qualcosa di talmente unico da creare dentro di noi una tensione, una specie di frattura interiore, quando il corpo e l’anima (l’insieme delle facoltà del corpo), prendono il sopravvento.
Lo Spirito santo, o la realtà divina in tutta la sua ricchezza d’essere, non è qualcosa che proviene dall’esterno o in un modo del tutto eccezionale, come quando un bicchiere si svuota, allora bisogna riempirlo con altra acqua o con altro vino. Il nostro problema non è una mancanza di essere, ma il fatto che il nostro essere è troppo sovraccarico di qualcosa che non gli permette di dare spazio al Mistero divino. Ecco perché i grandi Mistici parlavano di distacco, di creare il vuoto dentro di noi: se una casa è troppo piena di cose inutili, non può avere la possibilità di accogliere il vero essenziale, il quale, per imporsi nella sua realtà, ha bisogno di spazio sempre più libero. Così avviene dentro di noi: più facciamo spazio all’Essenziale, che è lo Spirito santo, più lo Spirito di Dio diventa libertà, coscienza, responsabilità, vita.
Chiariamo. Noi non siamo santi perché lo Spirito santo entra in noi e ci santifica, togliendo parte del nostro essere, mortificandoci nel nostro essere, togliendo qualcosa al nostro essere. Noi, già per il nostro essere naturale, siamo spirito, e lo spirito del nostro essere richiama necessariamente lo Spirito santo.
Si tratta, allora, di prenderne coscienza, di ridare più vita al nostro essere, di toglierlo dalla pesantezza dell’avere, dall’eccesso dei beni materiali. Anche qui, i Mistici parlano di un lavoro che è anzitutto negativo, che consiste nel togliere, tagliare, abbandonare tutto quel mondo di appropriazione, di volere, che fa parte del nostro ego. Non si tratta, perciò, di aumentare la dose dello Spirito santo, di chiedergli più doni o carismi eccezionali.
Basta la “semplicità” del nostro essere a creare più abbondanza del Divino, il quale, se rimane fuori, è solo perché non siamo ancora pienamente esseri umani.

1 Commento

  1. Pietro ha detto:

    OMELIA SUPERLATIVA!

Leave a Reply

CAPTCHA
*