Omelie 2012 di don Giorgio: Terza domenica dopo il Martirio di S. Giovanni

16 settembre 2012: Terza dopo il martirio di san Giovanni

Is 32,15-20; Rm 5,5b-11; Gv 3,1-13

Vorrei fare qualche riflessione su ognuno dei tre brani proposti dalla liturgia della Messa. Partiamo dal primo, desunto dal libro del profeta Isaia. Il capitolo 32, da cui è tratto il brano di oggi, apre un nuovo orizzonte. In che senso? Nei capitoli precedenti, il profeta aveva più volte invitato il popolo eletto a tornare all’unico e vero Dio, abbandonando perciò altre alleanze di tipo politico, fondate sulla insicurezza, incapaci di dare una pace duratura.
Le sorti delle nazioni variano facilmente: i vincitori del momento crollano di fronte a nuovi vincitori, sempre pronti a far girare la ruota. E la ruota non si ferma mai. Sul carro del potere gli avvicendamenti sono di routine. Al potere non piace rimanere in balìa degli stessi capitani. Non c’è bisogno di andare troppo indietro nella storia. Anche oggi le alleanze politiche, diciamo di partito, variano con la stessa facilità con cui cambiano gli umori. Un pazzo può anche rimanere al potere per vent’anni, poi – è la legge della storia – tutto cambia. Crollano anche i cedri del Libano, dicevano gli antichi ebrei. La mia domanda è questa: come mai, soprattutto oggi che viviamo in una specie di democrazia, il popolo rimane sempre bue, scegliendo per il comando i più idioti? Questa è la domanda da fare. E anche quando cambiasse finalmente scelta, non è che poi il popolo prenda la strada del meglio, anzi sceglie di male in peggio, dando retta a quegli imbonitori che sono sempre pronti a farci vedere lucciole per lanterne.
Ecco perché i profeti dell’Antico Testamento invitavano calorosamente, ostinatamente e  con una certa intransigenza a non appoggiarsi sulle alleanze politiche, in nome di quell’unico e vero Dio che non tradisce mai il suo popolo.
Il capitolo 32 è diviso come in tre parti: all’inizio, il profeta Isaia presenta un re ideale, capace di governare il popolo secondo giustizia. Il popolo, di conseguenza, verrà trasformato interiormente: si apriranno occhi e orecchi per ben comprendere, la coscienza e le labbra saranno purificate, finiranno gli inganni e le prepotenze. Ma, secondo lo stile di Isaia che nei suoi scritti alterna accenti di fiducia e di speranza a sferzate aspre e ad annunzi di duro giudizio, si passa poi alla seconda parte del capitolo, dove troviamo una desolante descrizione della città di Gerusalemme (ciò avverrà con l’invasione assira degli anni 703-701 a.C.). Il profeta sembra prendersela con le nobildonne altezzose dei palazzi del potere, costrette a tremare, ad abbandonare i loro lussuosi abbigliamenti e ad assumere vesti penitenziali. Aggirandosi per una terra ormai devastata. Non è la prima volta che il profeta prende di mira le donne dell’aristocrazia imperiale. Al capitolo 3, c’è una dettagliata descrizione di ciò che capiterà a loro, con una lunga lista di articoli femminili di lusso, per mostrare, da un lato, l’altezzosità delle classi benestanti che ostentano il loro benessere e la loro eleganza di fronte alla miseria dei poveri, e, dall’altra, l’irrompere del giudizio divino che cancella i segni dell’arroganza e introduce umiliazione e paura. “Poiché si sono insuperbite le figlie di Sion, procedono a collo teso, ammiccando con gli occhi, e camminano a piccoli passi, facendo tintinnare gli anelli ai piedi, il Signore renderà tignoso il cranio delle figlie di Sion, il Signore denuderà la loro fronte… Invece di profumo ci sarà marciume, invece di cintura una corda, invece di ricci calvizie, invece di vesti eleganti uno stretto sacco, invece di bellezza bruciatura”.
Le signore dei nostri potenti sono avvertite. Stiano attente! Faranno la stessa fine! Vedete: anche anticamente le donne facevano da coreografia al palazzo imperiale. Servivano a dare splendore agli uomini ricchi e potenti. I tempi non sono cambiati. Il potere usa ancora la donna come monile, come ornamento, come fascino.  Usa, e getta.
Infine, nella terza parte (è il brano di oggi) il capitolo 32 torna a far sperare. La futura liberazione è descritta come una nuova creazione, capace di far rifiorire la terra. Chi saranno gli abitanti di questa specie di paradiso? Saranno il Diritto, la Giustizia, la Pace, la Sicurezza e la Tranquillità personificate a vivere in un mondo rinnovato. Un bel sogno? Solo utopia? Se questa è parola di Dio, perché non crederci? Perché non sperare che anche oggi il deserto si trasformerà in giardino?
Il secondo brano della Messa è desunto dalla lettera che san Paolo ha scritto ai cristiani di Roma. L’apostolo fa un ragionamento che non può non colpire. Egli scrive: “a stento qualcuno è disposto a morire per un giusto; forse qualcuno oserebbe morire per una persona buona. Ma Dio dimostra il suo amore verso di noi nel fatto che, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi”. Paolo sembra un po’ pessimista: “a stento”, “forse”… Mettiamo pure, e io ne sono convinto, che siano numerosi coloro che si battono per difendere i più deboli, gli innocenti ecc. Il vero problema che ancora oggi ci lascia un po’ perplessi è questo: perché lottare per un mondo che non merita? Perché fare del bene agli ingrati, a coloro che fanno di tutto per ostacolarci? Chi me lo fa fare? A tutti, credo, anche a me capita di sfogarmi: Mi do da fare per qualcuno o per qualcosa, per il mio paese o per la nazione o per il mondo intero, e poi che cosa vedo? Che tutti quanti se ne fregano! Non ho nemmeno il tornaconto di una attenzione o di un riconoscimento! Dai l’anima per i ragazzi, e sembra anzi che questi ti prendano a calci nel sedere! Chi me lo fa fare? Dio non fa questi ragionamenti, per fortuna nostra. Cristo lo hanno messo su una croce, e sulla croce rimane ancora oggi. Gli hanno anche urlato: Scendi dalla croce, e ti crederemo! Ma lui non è sceso.
Ancora oggi è già difficile dare la propria vita per gli amici, o per i più deboli. Anche qui, non è perché uno è povero sia facile aiutarlo. Come aiutarlo? Se tu lo aiuti in modo radicale, per farlo crescere e camminare da solo, avrai senz’altro critiche, opposizioni. Più che i poveri in sé, è la povertà che è in loro che va combattuta, e la povertà è di diverso genere: intellettuale, morale, materiale. Non basta dare un pezzo di pane, o un posto di lavoro, per dire che ho fatto il mio dovere. Ci vuole ben altro che togliere gli schiavi dalla loro schiavitù. Oggi ciò che impressiona è quel ridurre tutta la nostra lotta solo ad una questione di tipo materiale. Forse più che il pane o un posto di lavoro la società di oggi avrebbe bisogno di sentire gli stimoli del proprio essere che sta agonizzando.
Il brano del Vangelo riporta l’incontro di Gesù con Nicodemo. Ricordiamo che Nicodemo era un dottore della Legge, fariseo e membro del Sinedrio. Un personaggio ragguardevole che in seguito prenderà le difese di Gesù e darà onorata sepoltura al corpo di Cristo.
Il suo incontro di notte con Gesù è una delle pagine più belle narrate da san Giovanni. Vi sono accennati dei temi veramente affascinanti: si parla di nascita e di rinascita, si parla spirito e di carne, si parla della libertà d’azione dello Spirito santo.
Ognuno di questi temi meriterebbe una particolare attenzione. Il tempo che ho ancora a disposizione è poco, perciò mi limito a citare qualche riflessione che ho trovato su un sito.
“Eccoci dunque smascherati. Come Nicodemo ci consideriamo maestri, e non conosciamo il Mistero capace di far nuova la vita. Nicodemo è religioso. Nicodemo ha studiato. Ma non riconosce il soffio dello Spirito. Ne sente la voce, ma è avvolto nella notte, non comprende da dove venga e dove vada. Lo Spirito infatti soffia dove vuole, non lo si può catalogare, per quanto si voglia e si cerchi, libri e cultura alla mano. Sfugge come il vento, i suoi cammini non sono quelli degli uomini. Carne e sangue non hanno in sé la capacità per decifrarne le traiettorie, esse seguono ritmi e tempi che trascendono limiti e criteri incatenati alla terra. Il vento è libertà, perché lo Spirito è libertà. Le stesse cose della terra, illuminate dalla Verità annunciata dal Signore, l'identità compiuta dell'uomo e della creazione, il senso primo ed ultimo della storia, son come muri su cui si infrange l'incredulità. L'inganno del demonio ha ridisegnato la realtà, e ciò che è naturale e adeguato all'uomo è diventato innaturale e inadeguato, mentre la menzogna che genera pensieri, criteri e atti ci appare come verità incontrovertibile. I rapporti e gli affetti, il lavoro, la sessualità, tutto è governato dalla superficialità soffocante delle passioni, dei desideri, dei sentimenti. La carne ed il sangue si sono appropriati delle esistenze e le muovono come fossero burattini. Il "sentire" qualcosa è divenuto il dittatore inattaccabile d'ogni decisione e comportamento. Se non si "sente" qualcosa, non la si fa.
E così il sangue e la carne sprovvisti dello Spirito di vita descrivono, senza pietà, il perimetro angusto e schiavizzante delle nostre ore. È il buio della notte di Nicodemo, comune a quella di ciascuno di noi. Maestri sì, ma carnali. Esperti certo, ma di istinti e passioni. E non si tratta solo di quelle sfrenate e immediatamente peccaminose; si tratta anche di quelle che muovono le attenzioni di una madre, l'affetto di un marito, l'amicizia e molto altro. Lo Spirito invece tràcima e spiazza. Il vento è movimento, disinstallazione, indica sempre un di più, un più in là che non possiamo afferrare e gestire. Il vento è la libertà di Dio, quell'amore che ama oltre ogni misura, che si piega sui peccatori più peccatori, che si commuove e ha compassione della pecora più sperduta. È la follia di Dio, che abbraccia l'universo senza condizionamenti. Il vento non si fa ingabbiare dagli schemi atrofizzati, dai piani pastorali, dalle riunioni di condominio, dalle sentenze dei tribunali. Il vento irrompe quando e dove non ce lo aspettiamo, scende dal Cielo e colma di Cielo la terra. Lo Spirito è lo stesso Signore che discende da lassù, dal cuore stesso di Dio per innalzare, nella sua Croce gloriosa, la terra sin dentro quel cuore”.

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