Il sistema “inquisitoriale” di Salvini fa scuola

di don Giorgio De Capitani
È un dato di fatto. Lo sanno i giornalisti più aperti, i personaggi famosi e i comuni cittadini che stanno subendo processi: il furore “querelante” salviniano sta contagiando non solo i già allergici alle critiche (e sono tanti), ma anche quelle poche anime del pensiero libero, a cui forse di un sogno di libertà di pensiero sono rimasti solo ricordi protestatari, spariti nel rigurgito populista, il peggiore che la contestazione del ’68 potesse mai trasmetterci.
Anime verdognole, vendutesi come ciurma al leader di turno, il quale, dall’alto del suo trono di cartapesta, vorrebbe asfaltare anche le strade dei diritti dei più deboli, al grido: “Guai a chi mi blocca! Nessuno si permetta di fermarmi! Lo trafiggerò con i miei avvocati!”.
E se azzardi dirgli in faccia le sue vergognose contraddizioni, quel suo becero atteggiamento di strafottente ideologo del nulla, ti ritrovi in tribunale, dove la giustizia piange per non poter equilibrare i diritti, vedendo che sulla sede dell’accusa c’è un politico protetto dalla impunità parlamentare, e sulla sedia dell’imputato c’è un cittadino il cui unico privilegio è la coscienza che sfugge ad ogni potere umano, ma il cui unico torto è quello di aver detto la verità. Chi non si sente offeso, davanti agli sghignazzi di chi con gli occhi lo apostrofa, dicendogli: “Tu, povero cittadino, sei fritto, ma io no!”.
Questa è la forza del consenso popolare, che viene costruito sulla legge della impunità parlamentare, per cui il leader può dire cazzate, menzogne, prendere per i fondelli istituzioni democratiche, sapendo che chi lo affronta e gli spara in faccia la verità sarà sottoposto a processo e condannato. E sì, perché in Italia le parole (in ogni caso, interpretate “opportunisticamente”: in senso allegorico o simbolico, se dette dai leader, ma in senso letterale se dette dai poveri cristi)  contano più della realtà, e la realtà in genere è quella manipolata da populisti, a cui tutto è permesso, anche emettere bestemmie contro i sacrosanti diritti dei più deboli.
Se all’inizio, qualche anno fa, anch’io ero del parere che in certi casi querelare fosse un dovere, anche se non l’ho mai fatto, poi mi sono reso conto che la querela, soprattutto quando è rivolta contro manifestazioni del pensiero, è un’arma a doppio taglio: un’arma che apparentemente ferisce il querelato, ma che nella realtà ferisce la democrazia, ferisce la libertà di opinione, lo spirito libero.
Le querele e le azioni civili contro le libere manifestazioni di pensiero determinano quello che gli inglesi chiamano “chilling effect” (effetto raggelamento) nei confronti dei giornalisti e degli editori, che troveranno rifugio nell’autocensura, saranno messi in condizione di non lavorare più, perderanno la loro autonomia. I giornalisti hanno il dovere di informare correttamente e i cittadini hanno il diritto di essere informati correttamente. Va fatta una battaglia comune perché questo principio rischia di diventare vuoto: le querele sono di fatto un ostacolo alla normale circolazione delle notizie, e un paese in cui i cittadini non sono bene informati è destinato a diventare un paese meno libero.
Lo vorrei urlare ai quattro venti: le querele, in particolare nel  campo politico, non sono che minacce! Segnali del tipo “mafioso”: Taci, oppure ti distruggo in tribunale.
E sì, il sistema Salvini che vuole asfaltare gli spiriti liberi sta producendo qualche effetto pro domo sua, e perfino i fautori della libertà di stampa che un tempo sembravano i paladini del pensiero libero sono rimasti invischiati nella rete salviniana di zittire i dissidenti.
Beh, non è una novità, e nulla di nuovo c’è sotto il sole. Da che mondo è mondo è sempre successo che opporsi ad un sistema (e il sistema è nato con i primi esseri umani, appena si sono associati per convivere in santa pace) è rischioso, con conseguenze mortali.
Certo, al massimo ti tagliano la testa, ma la testa fisica non è la sede del pensiero libero. In  fondo, i tribunali sono sempre serviti come mezzi del potere per far fuori il corpo degli spiriti liberi (Inquisizione ecclesiastica docet), ma lo spirito libero parla anche dopo la morte del corpo. E il corpo muore, anche tra umiliazioni, processi, emarginazioni, solitudini: un insieme di “mortificazioni” che potranno incrinare la solidità dello spirito, ma mai spegnerlo del tutto.
Ed è per questo che grido anche: il futuro non è di chi zittisce la voce degli spiriti liberi, ma la voce degli spiriti liberi che è eterna, oltre il tempo, senz’altro oltre la cecità di ottusi che pensano solo di nutrirsi di vacche dalle mammelle rinsecchite. 
Ecco, a parlare di spiriti liberi mi viene l’orticaria pensando alla marea di rincoglioniti, nel corpo e nell’anima, schiavi di ideologie materialistiche che pretendono di spegnere i diritti della coscienza, i cui valori, appena nascono e crescono, vengono rullati da cilindri compressori.
Ciò che non sopporto (non ho la pazienza infinita del Padre Eterno!) è vedere gente che si crede magari importante e colta, e poi si vende l’anima per burattini manovrati dalla idiozia più prepotente, che si avvale anche della legge pur di far fuori le anime pensanti. Ed è chiaro che c’è un tornaconto in tutto questo, ed è quello di imporre, da padroni o da sudditi, le proprie strabiche visuali. Tanto strabiche da sembrare perfette!
Sto notando che, invece di progredire nella libertà (e la libertà è un fattore spirituale, ovvero che nasce all’interno del nostro interiore), si cade ogni giorno nella rete di pescatori di cadaveri che si fanno rivivere con qualsiasi cibo, purché soddisfi il palato.
Questi politici predatori di anime semplici, questi direttori di giornali anche locali che comunicano i fatti con il filtro di una ideologia già morta in partenza, mi fanno veramente star male, al pensiero che in tal modo tutto muore nella stupidità di chi non sa vedere che “oggi è un altro giorno”.
NOTABENE
Quando parlo di spirito (coloro che da tempo mi seguono su internet o a Messa lo sanno), non parlo di qualcosa di religioso. Anzi, lo spirito è mortificato anche dalla religione. Parlo di quella profonda realtà interiore, che è l’essenza del nostro essere umano: quella realtà interiore che gli antichi filosofi greci conoscevano benissimo, e che è stata poi trasmessa al primo cristianesimo, il quale, da subito, quando si è strutturato in organismo ufficiale, è stato tradito, e addirittura represso con condanne e altro. È perciò ridicolo che i leghisti, ad esempio, difendano le tradizioni religiose, come se difendessero il Vangelo. La cosa paradossale è questa: nel saper coniugare il peggior cristianesimo (quello che ha tradito le sue origini greche) con simboli religiosi, vere bestemmie se venerati crocifiggendo i più disgraziati.

 

1 Commento

  1. Giuseppe ha detto:

    La definizione della parola libertà, secondo il Sabatini-Coletti è: “condizione di chi può agire senza costrizioni di qualsiasi genere”. Il che, anche considerando che la propria libertà trova un limite evidente ed irrinunciabile nel rispetto di quella altrui, è praticamente irrealizzabile, altrimenti diventerebbe prevaricazione.
    Le grandi rivoluzioni del XVIII secolo che portarono alla proclamazione di indipendenza delle colonie americane e alla caduta, almeno provvisoria, delle monarchie assolute della vecchia Europa, avevano come denominatore comune il motto francese “Liberté, Egalité, Fraternité”, ovvero Libertà, Uguaglianza e Fratellanza. Parole non gettate là a vanvera, ma strettamente connesse l’una all’altra, perché laddove dovesse mancare uno solo di questi principi basilari, verrebbero meno anche gli altri. È questo, secondo me, uno dei problemi fondamentali della nostra società, totalmente sperequata, che ha fatto una regola della difformità di trattamento. E se la solidarietà è una merce rara, riservata per lo più ai soli componenti di una stessa entità, famiglia, clan, club, associazione, confraternita o movimento che sia (sebbene pure in questi casi non sempre è così), al punto che gli altri vengono visti come estranei, se non addirittura come rivali o nemici, che dire dell’uguaglianza? Termine abusato nelle costituzioni, nelle dichiarazioni dei diritti e nelle leggi in genere, ma che nelle istituzioni (in omaggio alla gerarchia) e nella vita reale è praticamente sconosciuto? E, va da sé che fino a quando ci sarà qualcuno che si sentirà speciale, o comunque migliore degli altri, anche se solo in virtù dell’attività che svolge o del ruolo e della carica che riveste, di cui potenzialmente sarebbe in grado di approfittare, non ci sarà mai neanche una vera libertà…

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