Garattini (Istituto Negri): «Il virus? Mai stato clinicamente morto»

Silvio Garattini, presidente dell’Istituto Farmacologico Mario Negri di Milano – Ansa
da AVVENIRE
14 novembre 2020
Covid-19.

Garattini (Istituto Negri):

«Il virus? Mai stato clinicamente morto»

Lucia Bellaspiga
«La salute è considerata un problema minore»
“Questa volta non facciamoci trovare impreparati: se arriverà il vaccino annunciato dalla Pfizer dovrà essere mantenuto a meno 80 gradi, occorrono strutture per stoccare al gelo e poi distribuire decine di milioni di dosi, e questo non si improvvisa. Il messaggio è: dobbiamo prepararci!”. Silvio Garattini, presidente e fondatore dell’Istituto di Ricerche farmacologiche “Mario Negri”, conosce i suoi polli, “basta vedere cos’è successo col vaccino antinfluenzale, che a metà novembre in molte regioni è ancora un miraggio”.
Dunque lei ha fiducia che un nuovo vaccino contro il Covid stia davvero arrivando?
Certamente, ce ne sono parecchi in corso di studio e alcuni sono in fase molto avanzata, però occorre cautela per non instillare eccessivo ottimismo e indurre la gente a dire siccome c’è un vaccino non c’è più problema: i sistemi di sicurezza vanno mantenuti per molti mesi, mascherine su naso e bocca, gel sulle mani, distanziamento.
Quali sono i dubbi?
Innanzitutto non sappiamo troppe cose su questo vaccino, finché non pubblicheranno i dati non è che possiamo credere solo a un comunicato stampa. Ad esempio dei 44mila individui sui quali è stato sperimentato, quanti sono gli anziani e le persone con malattie croniche inserite nello studio? Perché il vaccino è rivolto prima di tutto a loro. Secondo: qual è la durata della protezione dal Covid? Ci dicono che funziona nel 90% dei casi, ma ovviamente per ora possono basarsi solo sui tempi brevi. Fondamentale sarà poi vedere gli effetti collaterali: non dimentichiamo che un vaccino viene dato a persone che sono sane, non possiamo danneggiarle. Comunque ci sono in corsa tanti altri vaccini e non è detto che il primo sia il migliore. I tempi sono ancora lunghi, occorre finire lo studio, elaborare i dati, passare attraverso i comitati che danno le autorizzazioni (per l’Europa l’Ema). Intanto però viene prodotto a scatola chiusa, grazie al fatto che è stato sostenuto da fondi pubblici prima ancora di sapere se i risultati sarebbero stati positivi. Ed essendo fondi pubblici abbiamo diritto di sapere.
Queste incognite le ha oggettivamente anche chi lo sta sperimentando?
In buona parte sì. Devono aspettare mesi per capire ad esempio quanto durerà la immunità una volta fatto il vaccino, e se da un anno all’altro dovrà essere modificato. Anche se questo virus sembra essere più stabile di altri, ad esempio di quelli dell’influenza.
I primi ad averlo, dopo medici e infermieri, saranno anziani e persone fragili. Secondo alcuni studi, però, sarebbe più efficace vaccinare prima le categorie che hanno più interazioni e quindi contagiano di più.
Come stabilire chi ha più interazioni? Comunque in questo momento ben vengano tutte le valutazioni, poi però dovremo decidere rapidamente e agire subito.
Non come è avvenuto con l’antinfluenzale, tuttora introvabile specie in Lombardia.
Anch’io non sono ancora riuscito a trovarlo… Purtroppo ho 92 anni e gli anziani rispondono meno rispetto ai giovani, dunque devono ricevere un vaccino che contenga sostanze adiuvanti. Ma non si trova.
Qualcuno ritiene che la profilassi per il virus influenzale possa avere un effetto benefico anche contro il coronavirus del Covid. Possibile?
In parte sì. In Brasile ad aprile era inverno e influenza e Covid erano presenti contemporaneamente: chi si era premunito contro la prima ha avuto un 15% in meno di probabilità di contrarre il Covid. Altri studi, due statunitensi e uno italiano dell’Istituto Cardiologico Monzino, vanno nella stessa direzione. Ma questo vale anche per altri vaccini: se fatti di recente hanno determinato una risposta immunitaria utile per qualche aspetto a diminuire le possibilità di contagio da Sars-CoV2.
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«Ho 92 anni, ma neanch’io sono ancora riuscito a trovare il vaccino antinfluenzale e quindi non l’ho portato fare,
nonostante l’età.
Tutt’ora è introvabile, soprattutto in Lombardia»
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Per il Covid l’Italia dovrebbe ricevere dosi per 20 milioni di persone. Al netto di no vax e negazionisti, che si spera siano coerenti e rinuncino, basteranno?
Dosi per 20 milioni di persone ma noi le abbiamo prenotate adesso, gli Stati Uniti avevano già dato da tempo un miliardo di dollari, tant’è che la Pfizer ha già detto mesi fa che il primo quantitativo andrà agli Usa, a noi quando? Tanti annunci creano più confusione che vantaggi, si rischia di dare alla gente l’impressione che tutto sia fatto, invece la politica dovrebbe dire con chiarezza quando arriveranno, altrimenti si creano aspettative inutili a una popolazione già stressata e in Italia particolarmente portata a non avere fiducia in chi governa. Dobbiamo fare in modo da un lato che non si pensi a un “liberi tutti” visto che c’è un vaccino, dall’altro però che le persone non perdano fiducia, altrimenti quando poi questo vaccino arrivasse davvero non si fiderebbero.
Uno dei motivi di sfiducia sono le tappe forzate con cui si lavora a farmaci e vaccini anti Covid, saltando passaggi in passato ritenuti irrinunciabili.
Bisogna parò spiegare che le accelerazioni accettate nell’emergenza sono quelle che baipassano la burocrazia, non certo le fasi della valutazione scientifica, che è rigorosa. Ad esempio normalmente ci vogliono mesi prima di avere l’autorizzazione di iniziare un esperimento, e poi le industrie procedono a piccole tappe per non investire troppo, invece in questo caso girano investimenti di miliardi e questo ha permesso di procedere senza pensare alla spesa. Così pure le autorità regolatorie di solito ci mettono mesi a valutare un farmaco, nel nostro caso potranno riunirsi di frequente e accelerare.
Qualora la corsa al vaccino fallisse, che altro ci rimane?
C’è tanta ricerca nel mondo per farmaci antivirali e antinfiammatori, qualcosa arriverà di certo ma non sappiamo quando. Si stanno sviluppando gli anticorpi monoclonali – il primo è stato approvato di recente – che sono isolati dal plasma di persone convalescenti e possono essere fabbricati industrialmente, i primi risultati degli studi li avremo a marzo. Uno è già stato approvato dalla Food and Drug Administration, ma i dati non sono ancora pubblicati e dobbiamo aspettare a entusiasmarci, la fede la dobbiamo mettere in campo per altre cose, qui è necessario dimostrare.
Si è parlato molto di anziani, in questo periodo. Ha fatto scalpore chi per tutelarli ha pensato di non farli uscire di casa, come il presidente della Liguria Toti, o di lasciarli uscire solo la mattina presto, come in Veneto. Gli anziani si sono ribellati. Lei che cosa ne pensa?
Io ho un conflitto di interessi, ma ricordo che l’esercizio fisico e intellettuale, come pure le relazioni sociali, sono fattori importanti per i processi cognitivi, non vorrei che per ottenere un vantaggio si incorresse in uno svantaggio. Tra l’altro gli anziani hanno imparato molto di più come difendersi rispetto purtroppo ai giovani e agli adulti, ad esempio l’uso corretto delle mascherine. L’Istituto Negri ha condotto uno studio su 45mila persone: si è visto che il lockdown ha avuto un forte impatto psicologico su tutti, ma negli anziani si è rilevata una maggiore consapevolezza, perché hanno alle spalle esperienze forti come la guerra mondiale o l’austerity, conoscono il sacrificio e la responsabilità verso l’altro. Bisogna reinserire nella popolazione odierna l’idea che per me stesso posso fare quello che voglio, ma la mia libertà finisce dove inizia quella altrui. E’ importante che si stimoli un senso di solidarietà reciproca, se sono giovane sono asintomatico ma rischio di far ammalare te. Certo è difficile, c’è un forte egoismo che fa muro.
Come mai i dati dicono che molti ultra novantenni si ammalano di Covid in forma meno grave e muoiono meno?
Non si sa, ma è vero che chi supera bene i 90 anni ha un’età biologica che è meglio di quella anagrafica: sono persone che hanno resistito, quindi sono in buone condizioni più di un 80enne con malattie, sono il frutto di una selezione naturale. Lo si vede spesso nei centenari che non presentano quel decadimento cognitivo che ci potrebbe aspettare dalla loro età.
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«Dopo l’annuncio della Pfizer non possiamo più farci trovare impreparati. Le chiusure? Sono passati sei mesi senza che si sia fatto tutto quello che si poteva per evitare che la seconda ondata fosse così violenta»
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Le attuali misure restrittive serviranno a rallentare la curva dei contagi?
Se verranno effettuate in modo molto diffuso dovrebbero avere effetti. Anche perché un nuovo lockdown creerebbe molti problemi sia per il fatto che la gente è stata brava la prima volta ma la seconda non so se sarebbe disposta, sia per il pericolo di forti proteste di piazza, che vanificherebbero l’isolamento. E’ fondamentale bilanciare molto bene salute ed economia e questo è compito della politica, tenendo presente che senza salute non c’è nemmeno economia.
Dobbiamo rassegnarci a convivere per anni con il Sars-CoV2 o ce ne libereremo presto?
Non lo sappiamo, certo non ce ne sbarazzeremo molto presto… noi nel dubbio comportiamoci come se ormai dovesse restare con noi.
Col senno di poi, è mai stato “clinicamente morto”? Almeno in estate?
Mai, era sempre ben attivo, solo che ne abbiamo diminuito la circolazione grazie a un efficace lockdown. Ma siccome subito dopo abbiamo ripreso alla grande tutte le abitudini, siamo tornati al punto di partenza. Gli epidemiologi lo prevedevano, ma invano: sono passati sei mesi senza che si sia fatto tutto quello che si poteva per evitare che la seconda ondata fosse così violenta, dalla moltiplicazione dei trasporti urbani, a orari di lavoro scaglionati, a controlli serrati sull’uso della mascherina nelle strade. Anche adesso non vedo controlli.
Non ha nostalgia delle folle? Torneremo mai ai concerti in piazza, alle sagre di paese, alla Scala, negli stadi?
Difficile fare previsioni, siamo nell’era della globalizzazione, viaggiamo noi e viaggiano i batteri e i virus, dunque solo se il vaccino arriverà dappertutto nel mondo potremo controllare la situazione pur convivendo col Sars-CoV2. In fondo come avviene con l’influenza, che in Italia provoca 6.000 morti l’anno.
È il sogno di tutti. Intanto però abbiamo problemi molto più banali, quasi incredibili: non manca l’ossigeno per gli ospedali, mancano le bombole per contenerlo. E gli appelli a restituire le bombole usate cade nel vuoto…
Scontiamo la nostra tipica incapacità di prevedere le cose e realizzarle per tempo. Pensi a quello che c’è a disposizione in campo militare per prevenire una eventuale aggressione bellica: abbiamo corazzate, missili, caserme, armi… un peso economico che sopportiamo senza fare una piega con l’idea di non doverci trovare impreparati. Per la salute invece ci lamentiamo per l’ospedale aperto alla Fiera di Milano o per i reparti Covid inaugurati in varie città in estate, come fossero soldi buttati. Dovremmo quantomeno avere lo stesso atteggiamento, avere sempre un numero congruo di medici preparati, ospedali facilmente realizzabili, le attrezzature necessarie tenute da parte, personale sanitario riservista da richiamare come si fa nell’esercito.
In effetti a marzo, quando gli italiani morivano senza respiratore, lodavamo la Germania che da anni aveva pronti migliaia di posti in terapia intensiva per ogni evenienza.
Però poi quando ad agire così dobbiamo essere noi, la salute è considerata un problema minore e la prevenzione è vista come un inutile lusso. La lezione è che è fondamentale essere sempre pronti per qualsiasi cosa possa accaderci, perché niente è impossibile, nemmeno una pandemia precipitata in un mondo che si credeva inattaccabile.

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