Omelie 2017 di don Giorgio: PASQUA NELLA RISURREZIONE DEL SIGNORE

16 aprile 2017: PASQUA NELLA RISURREZIONE DEL SIGNORE
At 1,1-8a; 1Cor 15,3-10a; Gv 20,11-18
Natale e Pasqua: celebrazioni esteriorizzate fino al parossismo
Intorno alla nascita di Gesù, abbiamo inventato tutto un mondo di sentimentalismi e di poesie edulcorate fino a quel chiasso di pubblicità battente che ben conosciamo, pur restandone vittime compiacenti. Intorno alla risurrezione di Cristo, abbiamo inventato tutto un clamore di suoni e di campane fino a battere le mani di gioia come se ogni anno l’universo riprendesse di colpo a rinascere, tanto più che, a differenza del Natale la cui data convenzionale è stata fin dall’antichità fissata nel cuore dell’inverno, la Pasqua si celebra all’inizio della primavera.
Ma niente di tutto questo in realtà è avvenuto: il Natale e la Pasqua sono avvolti dal Mistero del grande silenzio di un Dio che, quando si fa carne e quando risorge, lo fa di notte, nel buio delle tenebre, quasi temesse la luce sfacciata del giorno.
La leggerezza dei racconti della risurrezione
Giustamente don Angelo Casati parla di «una leggerezza che vibra nei racconti della risurrezione». Specifico subito. Per leggerezza don Angelo intende un racconto senza spettacolarità, ovvero senza la ricerca del sensazionale, senza fronzoli narrativi di troppo, dunque un racconto semplice e ridotto all’essenziale, quindi leggero, da non intendere dunque per superficiale.
Don Casati continua: «Questa leggerezza può ancora scandalizzare qualcuno. Qualcuno di noi, che per l’evento, l’evento degli eventi, su cui riposa la nostra fede, avrebbe preteso qualcosa di più imponente, avrebbe convocato, che so io, la stampa, giornalisti e fotoreporter a fissare a memoria per i secoli il momento della scoperchiatura della tomba, il momento eccezionale in cui il rabbi di Nazaret sarebbe uscito, per fantasia, trionfante dal sepolcro. Nessuno, pensate, che abbia visto rotolar via la pietra, nessuno che lo abbia visto uscire. Gli incontri sono dopo la tomba vuota, e sono lontani da segni imponenti. Anzi vorrei dire, ed è sconcertante: così lievi da poter essere dubitati. Presenze lievi nel giardino accanto alla tomba dissigillata, dialoghi appena sussurrati, fessure di luce, apparizioni che sono un soffio. Non i militari, ma le donne. Loro sì a capire. I maschi, i discepoli, ancora non ci sono. Li abbiamo di nuovo incontrati nella lettura degli Atti degli apostoli, dopo che il Maestro per quaranta giorni si era loro mostrato come il vivente. Ebbene altro ancora non sanno chiedere se non: “Signore, è questo il tempo in cui ricostituirai il regno per Israele?”. Il Regno! Sognano le parate, la chiesa delle parate: “Un po’ di scenografia”, sembrano dire, “non guasta”. E lui, pensate, in cambio a promettere altro, altro che sembra proprio l’opposto, l’opposto della visibilità e della imponenza. Promette lo Spirito santo… Lo Spirito! Ditemelo voi, che cosa c’è di più invisibile, di più inafferrabile, di meno appariscente? Ma non avevano capito che il Risorto andava e veniva senza stendardi, con la potenza, l’unica potenza, dello Spirito? Ebbene, pensate a una chiesa, pensate a noi che, non dopo quaranta giorni, ma dopo due millenni, ancora non capiamo che l’unica forza che possiamo invocare, anzi che ci è assicurata, l’unica che costruisce, è quella dello Spirito: essere abitati dallo Spirito, lo Spirito del Risorto! E ci basta. Ci bastasse!».
Risurrezione o rinascita
Già la parola “risurrezione” può portarci lontano dalla leggerezza dell’essere, che trova il suo spazio vitale non all’esterno, in un mondo dove tutto sembra respirare aria pesante di cose e cose che si sedimentano come ceneri l’una sull’altra, fino a toglierci la possibilità di respirare nello spirito, ma si trova all’interno, nel fondo dell’anima, dove avviene la perenne rigenerazione, che è quella divina.
Ecco perché, invece di risurrezione che può alludere o a qualcosa di un dopo che verrà e che perciò è lontano dal presente oppure a qualcosa di presente ma solo apparentemente sconvolgente, la Pasqua è una rinascita in quello Spirito, che non ama manifestazioni esteriori o promesse sempre rimandate.
Il Gesù storico, anche quello miracolistico, è stato crocifisso e, proprio sulla croce, mentre muore, dona lo Spirito santo. “Spirò”, così narrano gli evangelisti, mentre Giovanni scrive: “consegnò lo spirito”.
Emettere lo spirito o consegnare lo spirito viene inteso da alcuni esegeti non solo nel senso di esalare l’ultimo respiro, quindi morire, ma anche nel senso di donare lo Spirito santo. Dunque, mentre muore Gesù ci dona già lo Spirito santo. In altre parole, possiamo dire che, mentre muore, Gesù donandoci lo Spirito santo anticipa la risurrezione.
Perché allora soffermarci sulla tomba vuota (quanti dubbi ancora oggi!) o sulle apparenti manifestazioni visibili del Cristo risorto (sotto forme strane e curiose) o aspettare la spettacolare discesa dello Spirito santo nella Pentecoste, per parlare di un Mistero, quello del Cristo mistico o della fede, già presente sulla Croce che Giovanni, l’unico evangelista, presenta non immersa nel buio delle tenebre, ma nella luce della gloria?
È proprio la croce, come distacco dal corpo (certo, Gesù di Nazaret è morto), che diventa il segno più significativo della rinascita nello Spirito.
La Pasqua (lo dice anche il nome “pasqua”) è allora veramente un passaggio: passaggio da una vita fisica ad una vita spirituale. La Pasqua di Gesù è nel distacco di una morte che diventa il dono dello Spirito.
Se dobbiamo parlare di risurrezione allora diciamo che essa è la rinascita già ora del nostro essere che riprende a vivere e a rivivere a contatto con il mondo del Divino, che si rigenera ogni qualvolta si fa “Uno” con il nostro spirito.
La croce è distacco, perché ci permette di separarci da tutto ciò che ci impedisce di unirci spiritualmente, ovvero nello Spirito, al mondo del Divino in noi.
Pensate anche al grido di solitudine sulla croce di Gesù, che si è sentito perfino abbandonato dal Padre celeste: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”. Distacco perfino dal Padre o, meglio, da quell’immagine del Padre che Gesù uomo aveva forse frainteso o di cui si era fatto un’idea sbagliata.
Perché scandalizzarci, se dico che Pasqua è anche il distacco da certe immagini di dio, del dio di una religione che non ha ancora capito che fare Pasqua significa fare un passaggio radicale dagli idoli morti ad una rinascita interiore del Divino Spirito?

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