Omelie 2021 di don Giorgio: SETTIMA DI PASQUA

16 maggio 2021: SETTIMA DI PASQUA
At 1,15-26; 1Tm 3,14-16; Gv 17,11-19
La Preghiera sacerdotale
Il terzo brano della Messa fa parte del capitolo 17 del Vangelo secondo Giovanni. Capitolo che riporta ciò che gli studiosi chiamano “La preghiera sacerdotale”, definita “il canto del cigno, pieno di dolcezza e di amore, ed altamente ispirata”.
È vero che ogni virgola dei Vangeli è Parola di Dio, tuttavia sembra che ci siano pagine che sono ancor più Parola di Dio, forse perché Dio parla sempre in modo del tutto diverso, del tutto originale, con ispirazioni più o meno forti, creando emozioni differenti, ma soprattutto perché ci sono aspetti del Mistero di Dio che richiedono più apertura di spirito da parte nostra. Basta poco, ovvero fare spazio al Mistero divino in noi, e il Mistero parla ancora più profondamente.
La ”Preghiera sacerdotale” conclude i cosiddetti Discorsi di addio che Gesù ha rivolto ai suoi discepoli nel Cenacolo, subito dopo che Giuda era “uscito”, come scrive Giovanni. “Ed era notte”. In un clima più sereno, senza la presenza del traditore, il Maestro può parlare “cuore a cuore”, nella libertà dello Spirito, con i suoi discepoli. Discorsi fatti a modo di conversazione e anche di lunghi monologhi. La conversazione serve a creare le migliori condizioni per i monologhi che non sono a senso unico, ma confidenze e rivelazioni del Maestro che, prima di andarsene, avverte, raccomanda, dà consigli, avvertimenti, parole di conforto, sapendo che i discepoli sarebbero rimasti soli e che si sarebbero dispersi.
Se non disturbo la vostra attenzione, vorrei già fare una breve riflessione. Quando penso a Gesù come Maestro e come Amico (lui stesso si è definito Amico), penso a questa società che di Maestri veri, come Gesù, ne ha ben pochi. E quando parlo di Maestri penso anche ai genitori: a coloro che generano la vita fisica, per poi abbandonare i figli a se stessi e in balìa di una società carnale. I genitori di oggi sono veramente Maestri e Amici così come lo è stato Gesù con i suoi discepoli? Gesù è stato tradito dai suoi discepoli, mentre oggi sono i genitori a tradire i figli. Talora ho l’impressione che i figli siano più saggi dei genitori o che aspettino dai genitori molto di più che qualche preoccupazione del tipo economico. Genitori che non parlano con i figli, e i figli frustrati poi se ne vanno di casa, abbandonati da una casa chiusa ad ogni elevazione spirituale. Chiusa parentesi.
Gli studiosi distinguono due Discorsi di addio. Anzitutto, Gesù invita i discepoli a volersi bene tra di loro: un volersi Bene che supplirà in un certo senso l’assenza “fisica” di Cristo. Qui sarebbe interessante chiarire meglio le parole di Gesù: “Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri; come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri”. Gesù parla di un comandamento “nuovo”, dunque di qualcosa di Sorprendente. Non è tanto un amore umano. Io non tradurrei “amatevi gli uni gli altri”, ma “vogliatevi bene”, dando alla parola “Bene” tutto il suo senso divino. È nel Bene divino che la parola “amore” trova il suo autentico valore. Il bene che ti voglio è lo stesso Bene di Dio.
Gesù poi chiama “amici” i suoi discepoli, ma anche qui attenzione: non si tratta di quella amicizia diciamo carnale di cui si sente continuamente parlare, e il cui elogio è stato fatto anche da autori sacri, da poeti e da filosofi. Cristo parla di una amicizia ben superiore, ed è quella interiore, ovvero mistica, quando due spiriti si uniscono nell’Uno divino.
Poi Cristo dice di più: egli se ne andrà ma solo fisicamente: tornerà nel dono dello Spirito santo. Anzi, Gesù dice che è bene che egli se ne vada fisicamente, perché altrimenti non potrebbe inviare lo Spirito santo.
Ciò che conta non è tanto il Cristo storico, ma il Cristo risorto. Ed è nel Cristo risorto che troviamo la forza di vincere il male che c’è nel mondo. Gesù parla di un mondo che odia i veri credenti. Non c’è alcuna possibilità di intesa tra Cristo e il mondo, come l’insieme delle forze del male. Anche Cristo è stato odiato dal mondo, così saranno i suoi discepoli. Si vive certo ”nel” mondo, ma non si è “del” mondo.
Nella “Preghiera sacerdotale” Gesù si rivolge al Padre celeste, perché Egli protegga i discepoli, costretti a vivere in un mondo che li odia.
“Non chiedo che tu li tolga dal mondo, ma che li custodisca dal Maligno. Essi non sono del mondo, come io non sono del mondo”.
C’è un contrasto tra “del” e “nel”. Siamo “nel” mondo, ma non dobbiamo essere “del” mondo. Viviamo in un mondo, a cui non dobbiamo appartenere in quanto mondo, ovvero come male, nella sua carnalità. La Chiesa viene meno alla sua missione evangelica, quando riduce questo contrasto. La radicalità evangelica sta in una opposizione radicale al male che c’è nel mondo. Tra carnalità e spirito non ci sarà mai dialogo e pace.
“Consacrali nella verità”.
“Consacrali nella verità”. Gesù usa un verbo che meriterebbe una particolare attenzione. Anche senza scoprire chissà quale recondito significato, già quel “consacrali nella verità” suscita qualcosa di suggestivo, un richiamo a qualcosa di solenne, di fuori dal comune.
La domanda comunque viene spontanea: che significa essere consacrati nella Verità?
La Verità di per sé non impone nulla al di fuori di essere accolta come Verità.
Che bisogno abbiamo di essere particolarmente consacrati nella Verità? Il nostro essere non è per sua natura predisposto ad accogliere la Verità?
Ho cercato qualche spiegazione che potesse soddisfare la mia esigenza di chiarezza, ma poi, non soddisfatto, ho riflettuto e ho trovato una risposta: siamo così contaminati da un inganno di fondo che sembra quasi impossibile da parte nostra essere trasparenti alla Verità, e che occorre perciò quasi una ri-consacrazione del nostro essere perché, purificato, possa aderire alla Verità divina. Ma c’è di più.
Nella consacrazione vi è come una determinazione o fortificazione perché non ci facciamo prendere da instabilità come se la Verità dipendesse dai nostri umori. Non è la Verità a emanare poca luce o è instabile: siamo noi che ci lasciamo condizionare dalle paure o dalle suggestioni dell’inganno.
Gesù sapeva che il “mondo” in cui lasciava i suoi discepoli era fortemente ingannevole, e perciò prega il Padre perché fortifichi la fede dei cristiani.
La Verità è lo stesso Logos eterno, ma in quanto Risorto. Ci vorrà lo Spirito, dono del Gesù morente, perché la Verità imponga se stessa come Luce, come Vita.
L’inganno ci ha resi talmente ciechi che abbiamo perso la via della Luce.
Che lo Spirito ci purifichi nel nostro spirito.

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