Sentenza della Corte d’Appello di Milano: “motivazioni” arbitrarie, assurde e offensive!

di don Giorgio De Capitani
Divido l’articolo in due parti:
1. Considerazioni “personali” (per cui ne assumo tutta la responsabilità) sulle “motivazioni” della sentenza della Corte d’Appello di Milano.
2.  Lettera aperta alla signora Egidia Beretta, mamma di Vittorio Arrigoni.
1. Considerazioni personali  sulle “motivazioni” della sentenza della Corte d’Appello di Milano
Premessa
Non sono un addetto ai lavori nel campo giudiziario, civile e penale, e se, in questi ultimi tempi, ho imparato qualcosa del sistema giuridico e del suo linguaggio, è perché sono stato costretto a causa di alcune querele di cui sono stato fatto bersaglio, da parte anzitutto di una giornalista della Rai, Grazia Graziadei (processo penale già concluso, prima con la sentenza di condanna presso il Tribunale di Lecco, poi in Appello presso la Corte d’Appello di Milano), e inoltre da parte di Matteo Salvini (processo ancora in corso).
Leggere, pertanto, le “motivazioni” di una sentenza non mi è facile, a causa del linguaggio usato; tuttavia, per quanto possa aver compreso, mi ritengo in dovere di fare alcune “personali” considerazioni, con la schiettezza che da sempre mi contraddistingue.
Considerazioni
Se, leggendo le “motivazioni” della sentenza della signora Nora Lisa Passoni del Tribunale monocratico di Lecco mi erano sembrate in parte contraddittorie (per un verso condannato, e per l’altro assolto), leggendo le “motivazioni” della sentenza della Corte d’Appello di condanna (anche per la parte di cui ero stato assolto dal giudice Nora Lisa Passoni), mi sono sembrate talora arbitrarie, assurde e anche offensive nei miei riguardi e anche nei riguardi dei miei avvocati.
Procediamo con ordine.
A – Che si doveva risolvere l’incongruenza del Tribunale di Lecco (una condanna, per il mio personale articolo; e una assoluzione, per aver semplicemente riportato sul mio sito l’articolo di Vittorio Arrigoni, anche se l’assoluzione non  entrava nel merito delle parole di Vittorio), sembrava a tutti (al sottoscritto e ai miei avvocati, al pubblico ministero e alla parte offesa) un ostacolo da risolvere, ed è per questo che tutti siamo ricorsi in Appello: da parte mia, per ottenere la duplice assoluzione; da parte della querelante, per ottenere la mia duplice condanna.
B – La Corte d’Appello di Milano ha risolto l’incongruenza con la duplice condanna.
C – Fin qui, tenendo conto della ferrea logica dei Tribunali italiani secondo cui non c’è alcuna possibilità di apertura alla libertà d’opinione (ogni parola ritenuta offensiva va punita), la sentenza della Corte d’Appello di Milano non fa una grinza. In realtà, il Tribunale di Lecco, tramite il giudice monocratico Nora Lisa Passoni, pur arrampicandosi un po’ sugli specchi, aveva per lo meno tentato di evitare di condannarmi per l’articolo di Vittorio Arrigoni.
D – Leggendo ora le “motivazioni” della Corte d’Appello di Milano mi sono cascate le braccia di fronte ad alcune affermazioni, che ritengo del tutto inaccettabili, assurde e anche lesive della mia persona, oltre che fortemente riduttive delle ragioni pro libertà d’opinione sostenute dalla mia difesa.
a) Leggo:  
La morte del signor Vittorio Arrigoni nulla toglie alla piena antigiuridicità del suo scritto. Le parole: prostituta all’antica, meretrice che dona piacere per strada, puttana da quattro soldi sono espressioni gravemente ingiuriose, insultanti e aggressive della dignità di una donna. Espressioni che sono oltretutto, completamente fuori dell’oggetto della diatriba relativa a un processo a carico di Dell’Utri. Sono frasi ed epiteti che chiunque comprende perfettamente essere lesivi dell’onore e della reputazione della persona a cui vengono rivolte.
Calpestano senza alcuna giustificazione la dignità umana; nulla portano ad alcun tipo di ricerca della verità; sono totalmente all’esterno di qualsiasi concetto di continenza nel diritto di cronaca ed anche di critica.
Pertanto è errata la tesi del difensore che cerca di sminuire la responsabilità del proprio assistito sotto l’egida di un preteso ‘primato della verità’ .
L’argomento del contendere non era certo una vicenda di meretricio o simili, e quelle frasi non sarebbero state mai profferite nei confronti di un uomo. Per maggiore gravità, esse rivelano una connotazione biecamente maschilista e sessista, con corrosiva aggressione della dignità della giornalista Grazia GRAZIADEI.
Non posso accettare simili gratuite affermazioni. Sì, gratuite, perché prive di ogni fondamento, ma solo supportate da pregiudizi anti-maschilisti nei riguardi di chi (Vittorio Arrigoni e il sottoscritto) non aveva neanche nell’anticamera del cervello la benché minima intenzione di offendere la giornalista Grazia Graziadei in quanto donna, ma aveva criticato anche pesantemente un servizio giornalistico “vergognoso” sulla condanna di Marcello Dell’Utri. Non è assolutamente vero, perciò è falso, affermare: “L’argomento del contendere non era certo una vicenda di meretricio o simili, e quelle frasi non sarebbero state mai profferite nei confronti di un uomo”. Qui non ci siamo: a Vittorio e al sottoscritto non interessava che la giornalista fosse donna o no, ma che la giornalista non aveva fatto correttamente il proprio lavoro di giornalista. Era stata deontologicamente scorretta, per servire il potere dominante del momento, da qui le mie espressioni: “devota leccaculo”, “schiava” e “schiavetta” del potere. Anche queste parole sono da ritenere sessiste e lesive della donna? Ma, tornando alle parole di Vittorio Arrigoni, che appartengono a un genere letterario simbolico o allegorico, esse non valgono solo per la donna. Non ci sono forse uomini “puttanieri”? La prostituzione o meretricio non appartiene solo al mondo femminile. Anche se fosse stato uomo, la parola prostituzione o meretricio ci stava!!!
Ho notato che il presidente della Corte d’Appello era una donna (dott.ssa Ivana Caputo). Certo, posso comprendere la sua suscettibilità femminile, ma vorrei precisare che anche il giudice monocratico del Tribunale di Lecco era una donna, Nora Lisa Passoni, che però  non si è lasciata prendere dalla sua suscettibilità femminile, e non è perciò caduta nel tranello in cui è caduta il presidente della Corte d’Appello di Milano.
Ma non so se riesco anche solo farLe intuire quanto nelle nostre lotte per la giustizia siamo superiori a questioni di genere. Non siamo così meschini!
Comprendo quando voi giudici parlate di dignità della persona da rispettare, ma non accetto che si confonda la persona con la sua professionalità di servire la verità. Ciò che abbiamo voluto colpire è stato ”unicamente” il servizio di chi, in qualità di giornalista, doveva dire le cose come stavano, e non travisarle per far piacere al potere.
b) Leggo:
“In riferimento al punto 2 lettera D
la trattazione di questo punto è di breve momento, in quanto la tesi della ‘assenza di limiti’ nella manifestazione del proprio pensiero, e della ‘tacita abrogazione’ dell’articolo 595 c.p. viene espressa in modo solitario e non condiviso da nessuno, soltanto dall’avvocato Rigamonti . Non ha alcun fondamento giuridico, salvo nell’isolata opinione dell’appellante.
Cosa dice il punto 2 lettera D? Riguarda una sintesi della difesa:
Non vi è responsabilità penale dell’imputato in rapporto a nessuno dei due articoli, in quanto la Costituzione riconosce il diritto di manifestare il proprio pensiero, senza limiti (salvi quelli previsti dall’articolo 21 u.c. Cost.). A questo proposito, l’articolo 595 c.p. si deve ritenere tacitamente abrogato.
Che dire? Sono rimasto allibito. Anche qui, mi sono detto: “Qualcosa non va nella giustizia italiana!”. Ma con quale spudoratezza si liquidano le ragioni della difesa dicendo: sono affermazioni solitarie e peregrine di uno che non conosce la Costituzione? Solo l’avvocato Rigamonti in tutta l’Italia sosterebbe ciò che ha detto in  favore della libertà di opinione? E pensare che, viceversa (certo, i confronti possono essere offensivi, ma ci sta anche l’offesa anti-offesa!) il giudice di Lecco, Nora Lisa Passoni, era rimasta “colpita” dall’intervento definito di “alto spessore” di Marco Rigamonti, tanto da rimandare la sentenza ad un’altra udienza.
c) Leggo:
Non v’è nessuna persona in Italia, capace di leggere, che non sia perfettamente consapevole che la libertà di pensiero e di espressione trova il suo limite invalicabile nella dignità e nella onorabilità del soggetto di cui si parla. Oltretutto l’imputato sembra indossare l’abito talare, il che lo ammanta di maggiore cultura, e avrebbe dovuto suggerirgli carità cristiana, comprensione del prossimo, la lontananza dall’acrimonia e dall’utilizzo di espressioni sicuramente denigratorie nei confronti “dei fratelli” . Ma così sicuramente non è stato: né può ora accampare una gravemente errata convinzione di poter usare parole ed epiteti insultanti nei confronti di chicchessia. DE CAPITANI comprendeva perfettamente il disvalore delle frasi scritte dall’Arrigoni, che peraltro coscientemente e volontariamente ripubblicava sul proprio sito Web, e alle quali aggiungeva le proprie: schiava, schiavetta, devota leccaculo, ancora una volta gravemente ingiuriose .
Qui non basta più dire di essere rimasto allibito. Qui si è toccato il fondo!
Già nel Tribunale di Lecco avevo chiaramente chiarito, e lo ripeterò nel prossimo processo con Matteo Salvini, che l’imputato De Capitani Giorgio deve essere giudicato come cittadino, e non nel suo ruolo di prete. In quanto cittadino che ama la giustizia combatto e affronto anche duramente gli uomini politici. Quando mi sento dire: “Ma tu sei prete, e certe parole non le devi dire!”, vado su tutte le furie. Siccome sono un prete, allora dovrei essere caritatevole, far finta di nulla, sorridere a tutti, anche con  i mafiosi e i ladri, parlare di perdono e di misericordia, ecc. ecc. Ebbene, io non sono così.
Ma una cosa chiedo, e pretendo: quando sono citato in tribunale, la storiella che sono anche un prete non la voglio più sentire. Chiedo e pretendo di essere trattato e giudicato come un cittadino. 
Che significa poi la frase: “oltretutto l’imputato sembra indossare l’abito talare”. Sembra? E che significa? E che significa appellarsi alla “carità cristiana”?
Concludendo, una cosa ho capito: i giudici della Corte d’Appello di Milano hanno tante fette di salame sugli occhi, a differenza del Tribunale di Lecco che mi sembra più corretto e laico nel vero senso della parola.
Se accetto con rassegnazione e per necessità la duplice condanna, non condivido e non accetto le motivazioni della condanna, che, ripeto, mi sembrano “prevenute”, dettate da pregiudizi, talora ridicole, e anche offensive.
2.  Lettera aperta alla signora Egidia Beretta, mamma di Vittorio Arrigoni
Lo confesso: mi sento in difficoltà nel dire ciò che ho dentro.
Non mi è facile scrivere in sincerità ciò che da tempo soffro, constatando con quale indifferenza sono stato lasciato “solo”, dopo la condanna del Tribunale di Lecco ed ora dopo la condanna della Corte d’Appello di Milano.
Non ho mai ricevuto una parola “privata” di solidarietà.
Eppure, di mezzo c’è suo figlio, Vittorio, per il quale, e non mi pento affatto, mi sono esposto pubblicamente, riportando alcune sue parole, per le quali sono stato condannato.
Forse Lei, signora Egidia, si era illusa che la sentenza del Tribunale di Lecco fosse stata una assoluzione delle parole di suo figlio, ma non era così. Già avevo scritto che la sentenza di Lecco di assoluzione nei miei riguardi (per aver semplicemente riportato sul mio sito le parole di Vittorio) non era entrata nel merito delle affermazioni di Vittorio.
Ora la sentenza d’Appello di Milano ha tolto ogni dubbio. Anche Vittorio, se fosse vivo, sarebbe stato condannato!
E Lei, signora Egidia, sa anche perché ho scritto il mio articolo, successivo alla tragica morte di Vittorio, per cui sono stato condannato sia dal Tribunale di Lecco che dalla Corte d’Appello di Milano.
In ogni caso, vorrei che fosse chiara una cosa: quelle parole di Vittorio contro la giornalista le avrei pubblicate sul mio sito, anche se fosse state scritte da un altro. Le ho giudicate degne di attenzione, indipendentemente da chi le aveva scritte, e le ho fatte mie.
Certo, poi la tragica morte di Vittorio mi ha emotivamente coinvolto, ed è nato il secondo articolo.
Infine, un’ultima cosa. Ora, Signora Egidia, non faccia l’eroina, pubblicando le parole di Vittorio, quasi paladina di un figlio martire che esige anche il martirio della madre.
Un martire c’è già, ed è suo figlio; un altro povero cristo “condannato” c’è già, ed è il sottoscritto. Non mi tolga almeno l’onore di aver avuto due condanne, se non altro per aver sostenuto entrambi (Vittorio e il sottoscritto) la medesima causa, ovvero l’amore per la verità e la giustizia.
Lui è morto, e il suo ricordo continua tra onori e riconoscimenti universali.
Per il sottoscritto continua la lotta tra querele, condanne, pagamenti di spese processuali, e solo onori di una coscienza che mi dice: “Fregatene di tutto e di tutti: dei tanti nemici e anche dei pochissimi amici, pronti a tradirti per un piatto di lenticchie!”.
Ecco, ho detto ciò che provavo dentro.
Per leggere il testo integrale delle “motivazioni” della Sentenza della Corte d’Appello di Milano
⇒ ⇒ MOTIVAZIONI SENTENZA DELLA CORTE D’APPELLO DI MILANO

 

 

3 Commenti

  1. Luca ha detto:

    Caro Giorgio. Ho trovato e letto le motivazioni. Lasciano in bocca una sensazione di ingiustizia fortissima. Lasciano semplicemente allibiti. Credo che si dovrebbe, senza alcun dubbio, fare ricorso in cassazione. Personalmente ci vedo tanta protervia, con una distorsione delle motivazioni alle spalle del commento del tutto arbitraria e personale. Senza contare il tono paternalista che appare inopportuno e sprezzante.

    Se la sentenza avesse additato il tuo commento come offensivo, lesivo, sproporzionato, e pertanto sanzionabile, non credo ci sarebbe stato molto da obiettare (si poteva al massimo dissentire), ma una motivazione del genere lascia semplicemente allibiti. Allibiti e spaventati. Se è questo il tenore delle sentenze, piene di moralismi, luoghi comuni e stereotipi, è bene andare altrove: la fiducia nella magistratura italiana vacilla. Donne, ribellatevi a questo insensato femminismo, che è solo l’altra faccia del peggiore maschilismo. Amarezza.

  2. Giuseppe ha detto:

    Sono convinto che l’obiettività sia solo un’utopia. Una sorta di traguardo a cui, forse si può aspirare, senza mai però riuscire a raggiungerlo, perché siamo esseri umani e quindi, per definizione, limitati. Non dico che per questo si debba rinunciare a priori a cercare di essere imparziali, ma dobbiamo essere consapevoli che per quanto ci si possa provare, al massimo si può riuscire ad essere moderatamente ragionevoli. È evidente, perciò, che questo aspetto della nostra personalità si manifesti anche nelle nostre attività e, di conseguenza, sul lavoro che svolgiamo, indipendentemente dall’incidenza del suo impatto sul tessuto sociale. Il lavoro del giudice, oltretutto, è quanto di più delicato ci possa essere, perché si è chiamati a valutare l’operato di altre persone e, data la premessa, è inevitabile che, almeno in parte, nelle decisioni che si prendono non influisca anche l’insieme delle idee e delle emozioni proprie della nostra individualità. Lo so bene che ci si può avvalere degli strumenti messi a disposizione dalla legge e dalle norme di procedura, ma anch’essi non ci sono caduti dal cielo, bensì sono frutto dell’opera dell’uomo, e pertanto sono imperfetti, tant’è vero che si prestano ad interpretazioni e, finanche a manipolazioni, come sanno bene gli avvocati più audaci, smaliziati ed intraprendenti.
    Anche per quanto riguarda il lavoro del giornalista, sarebbe più che opportuno (oserei dire essenziale) sapersi mantenere il più possibile equilibrati nella descrizione delle notizie che si raccontano ed evitare di farsi influenzare dalle proprie opinioni personali sul contesto in cui gli avvenimenti si svolgono, lasciando che sia il lettore o l’ascoltatore ad esprimere le proprie, così da non influenzarle più di tanto. È uno dei motivi per cui una corretta informazione dovrebbe essere libera e indipendente, e in nessun caso condizionata da simpatie, pregiudizi o spirito di militanza. A meno che non sia chiaramente espresso che siamo in presenza di giornali, notiziari o organi di partito o di associazioni e movimenti.

    • Sonia Zuccalà ha detto:

      mi scuso se rispondo, è come se do per scontato che lei mi conosca, amo Vittorio e credo che con il ritorno di Cristo ci riuniremo trasformati anche a lui. la speranza. più che le parole, temerei i fatti infieriti da una massoneria-chiesa, che in quest’ultimo anno mi ha tolto lo spirito, l’anima e Vittorio. chissà se Vittorio è d’accordo? Basterebbe saperlo. ma visto che questo mondo è dominato da figli della menzogna più o meno consapevoli non mi fido più di quello che mi dicono. vorrei solo dirle una cosa su Vittorio è sì universale ma ha anche parlato di suoi eventuali figli.

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