Un popolo di protestatari allo stato embrionale

L’EDITORIALE
di don Giorgio

Un popolo di protestatari allo stato embrionale

Gli italiani sono un popolo di protestatari: protestano sempre, per qualsiasi cosa; ci prendono gusto a protestare; se non protestassero, non si sentirebbero “qualcuno”. Sono “qualcuno” perché protestano, e protestano perché sono “nessuno”.
Gli italiani sono un popolo rimasto nella fase embrionale della vita, senza mai uscire alla luce. E non  arriveranno mai, perché amano stare nella placenta della madre. Ma di quale madre? Questo è il dilemma.
Gli italiani, in fondo, sono un popolo più unico che raro, anche pittoresco, diciamo carnevalesco, necessariamente chiassoso e irrequieto. Si divertono, e divertono, anche nelle realtà più drammatiche. E sì, perché sanno trovare sempre quel senso di umorismo e di stupidità, che dà motivo di un continuo dibattere, litigare, contrapporsi tra contendenti spara-cazzate, senza mai interrogarsi anche sul loro stato di salute mentale.
Gli italiani sono un popolo credulone: basta poco perché si emozionino, a pelle più che di cuore, per qualsiasi fatto o per qualsiasi personaggio, esponendo qualche bandiera o lenzuolo fuori dalla finestra di casa, o ponendo magliette con scritte pro o contro questo o quello. E così si sentono in pace con la propria coscienza, e si sentono importanti, “qualcuno” o meglio “nessuno”. Sì perché, quando ci si fa massa, omologandosi sotto una stessa bandiera o dietro ad una scritta sulla maglietta, ci si priva della propria personalità.
Gli italiani passano facilmente dall’identificarsi con un fatto o con un personaggio alla loro condanna, quando si sentono punti sul vivo, per quella malattia tipicamente nostrana che si chiama gretto campanilismo . Ma attenzione: l’esaltazione è forte, solo quando l’evento o il personaggio hanno una risonanza universale. Poi tutto svanisce di colpo, in poco tempo, e si torna ad essere un popolo di protestatari con l’occhio e la pancia entro il proprio orticello.
In altre parole, è stato più emotivo sentirsi in massa “Je suis Charlie”, ma meno, molto meno, sentirsi “Io sono Amatrice”, anche perché qualcuno ha iniziato a riflettere sulle contraddizioni di chi prima gridava a tutto fiato “libertà d’opinione”, ed ora querela la stessa libertà d’opinione.
E già, siamo un popolo, con la memoria corta, che grida libertà senza sapere che cosa sia libertà, che grida giustizia senza sapere che cosa sia giustizia, che grida verità senza sapere che cosa sia verità. Tutti pronti a difendere libertà, giustizia e verità, ma facendo a pezzi la fratellanza sociale, appena qualcuno si permette di entrare nel nostro orticello.
Tutti pronti ad emozionarci per attentati o altro, a piangere sui morti per un fatale terremoto, senza chiederci se la responsabilità è anche nostra, di amministratori e di cittadini. Ma a che servirebbe, se poi, passate le emergenze, tutto torna nella normalità più normale, ovvero nella quotidianità della più sfacciata indifferenza, senza però mai perdere il vizio di contestare tanto per contestare? Sì, noi italiani siamo bravi nel saper conciliare indifferenza e contestazione, con quell’arte che io chiamo capacità di sopravvivere, fingendo di prendercela con qualcuno, che è poi “nessuno”.
Un popolo di coglioni, sempre pronti a cogliere ogni occasione di evasione e di divertimento, per riprenderci qualche energia, per poi metterla al servizio del proprio voler star bene, da soli.
“Je suis Charlie”, e poi alle vittime si manda un saluto dal mare con le chiappe al sole.
“Io sono Regeni”, ma che cazzo è mai questo tizio, dalla faccia strana, che ci rompe le palle, quando i giornali non hanno nulla da dire?
 “Io suis…”, “Io sono…”. Ma forse sarebbe il caso di dire “Je suis merde” (in italiano, no, sarebbe volgare) ma la realtà non cambia: siamo veramente pezzi di merda, che anche il Padre Eterno tiene lontano dalle sue narici, tanto è nauseato di ogni prodotto umano che dalla pancia va a finire nella fogna.
NOTABENE
C’è una specie di politicante castrato nella mente, che ogni giorno si diverte a cambiare le scritte sulla propria maglietta, pensando così di fare pubblicità di non so quale prodotto fecale, attorniato dai soliti zoticoni buoni a nulla, neppure a coltivare un proprio pensiero decente, tanto sono poveracci mentalmente, eppure mai stanchi di protestare correndo dietro a fantocci o a caproni, fuori di testa, talora ubriaconi, che se la spassano sulla povera gente.
“Je suis merde”! Viva la Padania “merde”!
E così la “merda” in salsa verde mi ha querelato.
Viva la libertà d’opinione solo per parlamentari castrati nella mente!
17 settembre 2016
EDITORIALI DI DON GIORGIO 1
EDITORIALI DI DON GIORGIO 2

2 Commenti

  1. Alberto ha detto:

    Scusi se cambio argomento don giorgio
    Ma ha saputo dell’eutanasia del minorenne in Belgio ??
    Nessun suo commento al riguardo ??

  2. Giuseppe ha detto:

    Ma gli italiani sono un popolo? La domanda non è oziosa, perché nelle mie reminiscenze storiche non mi pare di ricordare qualcosa che lo dimostri. Senza arrivare all’affermazione provocatoria, ma tutto sommato non tanto campata per aria, del malizioso principe di Metternich, primo ministro dell’impero asburgico all’epoca delle guerre d’indipendenza, che liquidava i movimenti insurrezionali dell’epoca affermando che dopotutto «L’Italia non è che un’espressione geografica», certamente sin dai tempi più antichi i suoi abitanti raramente hanno provato quel senso di unità e fratellanza che, ad esempio, animò in maniera determinante la rivoluzione del popolo francese. Suppongo che questa mancanza di coesione sia dovuta, oltre che alla conformazione geografica, all’eterogeneità di coloro che approdando sulle sue coste decisero di stabilirvisi, riuscendo solo in parte, e a fatica, ad integrarsi con i nativi e gli altri residenti. La conferma, se ve ne fosse bisogno, ce la dà la storia, che dal periodo dell’egemonia romana in poi, racconta di una terra di conquista, di un paese raramente libero e, comunque, in quei pochi sprazzi sempre scosso da insensate rivalità intestine tra città, quartieri e crocevia, diviso in fazioni e corporazioni orgogliose della propria individualità, ma in ogni caso sempre costrette a fare i conti con l’invadenza o la dominazione di qualcun altro, finanche del papa e dei suoi ministri e galoppini. Non è forse per questo che si ricorda la famosa frase attribuita a Massimo D’Azeglio al momento della proclamazione del regno d’Italia: «abbiamo fatto l’Italia, adesso facciamo gli italiani»? Sono passati più di 150 anni, ma il nostro paese rimane la terra del campanilismo, dell’individualismo e del qualunquismo, che si sente popolo solo sotto la spinta emotiva delle disgrazie e delle emergenze o delle competizioni sportive riscoprendo un orgoglio patriottico, in cui per la verità ha sempre fatto fatica ad identificarsi. Quanto a lamentarsi, non mi vorrei sbagliare, ma ho l’impressione che si tratti di una caratteristica della natura umana, che difficilmente ci fa sentire appagati e soddisfatti, anche se tutto sommato ci spinge ad adattarci, ma sempre controvoglia e borbottando. L’importante è dirlo, anzi farne argomento di discussione e di dibattito, magari sui social network e in televisione, dove ormai i cosiddetti “talk show” spadroneggiano.

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