Omelie 2017 di don Giorgio: TERZA DOPO IL MARTIRIO DI S. GIOVANNI IL PRECURSORE

17 settembre 2017: TERZA DOPO IL MARTIRIO DI S. GIOVANNI IL PRECURSORE
Is 11,10-16; 1Tm 1,12-17; Lc 9,18-22
Fare il profeta è sempre difficile
Il primo brano della Messa fa parte del cosiddetto Primo Isaia, ovvero del testo scritto dal profeta di nome Isaia, che è vissuto sotto i re Acaz e Ezechia, nella seconda metà dell’VIII secolo a.C., quindi settecento anni circa prima della venuta del Messia. Ed è proprio in vista della venuta del Messia che il profeta esprimerà il meglio delle sue visioni.
Dunque, Isaia aveva svolto la sua missione profetica nel Regno del Nord, o d’Israele, che aveva come capitale Samaria, e dovette assistere alla sua distruzione.
Ecco un saggio degli strali di Isaia contro la capitale, quando definisce Samaria “superba corona degli ubriachi di Efraim” (Efraim era la principale tribù di quel regno). Samaria, infatti, era una ricca città posta su un colle: il pensiero del profeta corre a una corona di fiori che abbellisce il capo dei convitati di un banchetto. Ma, all’improvviso, nella festa irrompe, simile a una tempesta, un “inviato del Signore”, cioè il re assiro, strumento del giudizio divino. Costui afferra quella corona, la scaraventa a terra e la calpesta. È la raffigurazione poetica del crollo di Samaria, avvenuta nel 721 a.C., per opera del re assiro Sargon II.
È stato, dunque, un periodo assai difficile per Isaia, come del resto è sempre difficile per ogni profeta svolgere la propria missione. D’altronde, che senso ha fare il profeta se tutto fila via liscio? I profeti sorgono nei momenti più confusi e quando la libertà di un popolo è a rischio. Il problema è quando la libertà è stata tolta e il popolo si è assuefatto, e i profeti non ci sono, o, se ci sono, vengono maltratti dal popolo stesso, che non si accorge di vivere in schiavitù e che perciò ritiene il profeta un guastafeste o un uccello di malaugurio.
Capitolo 11 di Isaia: il germoglio o virgulto
Il capitolo 11 del libro di Isaia, di cui fa parte il brano della Messa, contiene alcune parole fondamentali per capire il messaggio messianico del profeta. Dunque, parole che richiamano, anche se dietro simbologie non di immediata comprensione, una novità che sta per nascere: si parla di germoglio o di virgulto.
Ma la cosa straordinaria è che non si parla di una realtà ex novo, che sta per sbocciare dal nulla, come se si trattasse di una nuova creazione, di qualcosa calato dall’alto.
Noi abbiamo un’idea sbagliata di creazione. A parte il fatto che nulla viene dal nulla, e neppure Dio ha creato il mondo dal nulla, ma casomai ha dato qualcosa di Sé. A maggior ragione, quando diciamo che Dio ri-crea, non lo fa dal nulla. La ri-creazione di Dio è ancor più straordinaria, perché sa trasformare le cose già create, ridando ad esse una nuova fertilità, anche quando sembrerebbero già definitivamente morte. Ridà a un grembo sterile la capacità di generare (pensate alle donne bibliche: Sara, Rebecca, Rachele, Anna, Elisabetta), e ridà a un ceppo morto la capacità di riprendersi: sul tronco sterile di Jesse, padre di Davide, spunterà un virgulto, un germoglio.
Quale differenza tra il nostro agire e l’agire di Dio! Noi pretendiamo di costruire sul nulla, presi dal delirio di onnipotenza, mentre Dio costruisce la storia con i rimasugli e gli scarti umani. Con le cose piccole fa cose grandi. Perché almeno noi cristiani non teniamo sempre davanti agli occhi il cantico del Magnificat?
Dio costruisce sul “resto”
Nel brano di Isaia torna per due volte la parola “resto”, quando dice: “In quel giorno il Signore stenderà di nuovo la mano per riscattare il resto del suo popolo superstite…”, e inoltre: “Si formerà una strada per il resto del suo popolo che sarà superstite dall’Assiria…”.
Che significa “resto”? La parola “resto” può avere una sfumatura anche negativa, come quando, al versetto 22 del capitolo 10, Isaia scrive che “la catastrofe che si è abbattuta su Israele è stata così grande che solo un piccolo gruppo è sopravvissuto”, ma in altri passi della Bibbia il “resto” ha un significato positivo: sta a indicare che la misericordia divina non abbandona mai il suo popolo. Sempre Isaia, al capitolo 1, versetto 8, scrive: “Se il Signore degli eserciti non ci avesse lasciato qualche superstite (letteralmente, “un resto”), già saremmo come Sodoma, assomiglieremmo a Gomorra”.
Ecco, è sul “resto” che Dio ricostruisce la storia distrutta dal potere che, come sempre e dunque anche oggi, si serve della massa per distruggere il futuro dell’Umanità. Se noi pensiamo che siano i forti ad avere la missione di ricostruire abbiamo la memoria corta, e se noi pensiamo che la ricostruzione debba partire dalla conversione della massa siamo altrettanto ingenui. Il Signore non si è mai servito dei potenti, se non strumentalizzandoli al modo suo, e tantomeno si è servito della massa, sempre in balìa del potere.
“Egli allora ordinò loro severamente di non riferirlo a nessuno”
Nel brano del Vangelo di oggi, Gesù, dopo aver chiesto ai discepoli: “Ma voi chi dite chi io sia?”, e dopo la bella risposta di Simon Pietro: “Tu sei il Cristo di Dio”, impone ai discepoli di non riferirlo a nessuno. Gli esegeti si sono da tempo chiesti come mai Gesù avesse imposto ai discepoli il silenzio sulla propria identità.
Ho ritenuto interessante la riposta di don Angelo Casati, un prete milanese di cui ho una grandissima stima sia per la lucidità di pensiero che per la sua determinazione nel dire le cose come stanno. Egli così commenta il silenzio imposto da Gesù.
«Mi capita di chiedermi – immagino che capiti anche a voi – se anche oggi Gesù, come allora, non debba ordinare alla Chiesa di tacere, se non debba essere severo con noi, che non siamo poi così immuni dal contrabbandare, a parole e a gesti, una falsa immagine di Gesù e di conseguenza del cristianesimo: un cristianesimo muscolare che sogna potere o un cristianesimo della compassione, della mitezza? Lui, Gesù, non si riconosce nell’immagine dell’uomo forte.  Si riconosce invece – e questa è da raccontare – nelle figure del Figlio dell’Uomo. “Il Figlio dell’Uomo”, disse “deve soffrire molto, essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi”, e nell’elenco ci sono proprio tutti! Proprio tutti quelli che contano! E poi “venire ucciso e risorgere il terzo giorno”.

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