Pisapia e Scola parlano dell’anima di Milano e non s’intendono

pisascola
di don Giorgio De Capitani
Il cardinale Scola, nell’omelia della festività solenne di sant’Ambrogio, aveva tra l’altro detto: «Più che mai la Milano di oggi è alla ricerca di un’anima capace di sanare le contraddizioni e far vivere in unità e concordia tutte le diversità che la abitano. Rimettere al centro l’uomo, di questo Milano ha bisogno. Di un nuovo umanesimo non frutto di elaborazioni teoriche, ma dell’impegno quotidiano, coraggioso e costruttivo di tutti i cittadini, i corpi intermedi, le istituzioni. La nostra città chiede di essere amata in tutti i suoi abitanti, a partire da chi più è nel bisogno».
Giuliano Pisapia ha subito replicato: «Milano un’anima ce l’ha già, non deve ritrovarla, deve solo farla conoscere meglio ed esibirla». E, a domanda, a fine cerimonia della consegna degli Ambrogini, il sindaco risponde: «Chi è cristiano e crede nell’anima pensa che Milano non ce l’abbia, un’anima. Io invece credo di sì, solo che non sa rappresentarla bene».
Scola, a margine del Pontificale dell’Immacolata, ad alcune domande dei giornalisti, in riferimento alle critiche di Pisapia, risponde: «Nessuna discrepanza. Il sindaco ha voluto mostrare i germi positivi che anche io peraltro ho rilevato e che sono presenti nella nostra metropoli. Forse, quando parlo di anima ho un pensiero più filosofico, ma l’anima è ciò che tiene in unità le diverse articolazioni del corpo. In questo senso, ritengo che Milano sia ancora troppo frammentata e che, quindi, abbia bisogno di un’anima che ho chiamato un nuovo umanesimo, quale fattore unificante. Il sindaco vede la cosa da un punto di vista più sociale politico, io da un punto di vista più generale, perché resto convinto che il nostro rischio di uomini contemporanei sia lo spiritualismo astratto. Quello per cui quando si parla di talune categorie come vita buona, nuovo umanesimo, “uomo al centro”, si pensa a qualcosa, appunto di astratto, mentre si tratta di questioni concrete e decisive. Senza la ricerca dell’altro che può dare qualcosa di nuovo, senza apertura, dialogo, accoglienza, costruzione comune, allora non saremo una nuova Milano. Non è un particolare».
Avrei preferito che questo scambio di battute e di vedute venisse maggiormente approfondito. Ma la polemica è finita il giorno dopo.
Che dire?
Pisapia e Scola non si sono intesi sulla parola “anima”? Il sindaco la intendeva nel senso socio-politico, mentre il cardinale nel senso filosofico? Una cosa è certa, e mi pare che l’ironia traspaia da alcune parole di Pisapia: l’anima non dovrebbe essere il punto forte per un cristiano? Se non c’è più, la colpa di chi è? Forse di uno che non crede? Caro Scola – sembra invitare Pisapia – fàtti un serio esame di coscienza!
Ma per il sindaco di Milano – mi sembra di capire – l’anima sono i valori umani che non possono morire, ma che bisogna esprimere al meglio. Milano non riesce a “rappresentare” al meglio se stessa. C’è qualcosa che la blocca. Come dire: Milano c’è, ma non si vede ancora.
Il cardinale parla invece in senso filosofico, e per lui l’anima è quell’armonia che unifica le diversità: ecco ciò che manca a Milano, “un’anima capace di sanare le contraddizioni e far vivere in unità e concordia tutte le diversità che la abitano”. In altre parole, Milano è ancora troppo frammentata, ovvero disarmonica, caotica. E poi il cardinale, con un volo pindarico, passa dalla filosofia alla prassi: afferma che non si tratta di uno “spiritualismo astratto” ma di un “nuovo” umanesimo, con al centro l’uomo “concreto”, ecc. ecc.
Abbiamo capito dove il cardinale voleva andare a parare: alla integrazione tra extra e residenti, all’occupazione delle case da parte degli abusivi. Problematiche che ultimamente lo avevano scosso dal letargo. Ma vorrei fare un discorso più completo, al di là di queste realtà esistenziali, che tuttavia non vanno né ridimensionate né dimenticate.
 A me sinceramente non va giù che Scola parli di umanesimo, senza specificarne il senso,  dal punto di vista filosofico, teologico ed esistenziale.
La parola umanesimo non è una scoperta dei nostri tempi. Si parlava di umanesimo già nel mondo greco-romano. La prima affermazione umanistica nella filosofia occidentale può essere riferita al filosofo e matematico Protagora, filosofo greco vissuto nel V secolo a.C., il quale affermò: « … di tutte le cose misura è l’uomo, di quelle che sono, per ciò che sono, di quelle che non sono per ciò che non sono». Questa affermazione spostò l’interesse filosofico dalla natura all’essere umano che, da quel momento, diventò il tema centrale della speculazione filosofica. Questa impostazione fu ripresa immediatamente da Socrate e da Platone, e successivamente da Zenone, fondatore dello stoicismo.
Nel Medioevo Platone ebbe una larga influenza tanto da ispirare quel vasto movimento culturale, che, iniziatosi  negli ultimi decenni del Trecento e diffusosi nel Quattrocento, ebbe come caratteristica principale la riscoperta dell’uomo attraverso la ricerca e la letteratura dei classici latini e greci: “humanae litterae” o “studia humanitatis”, da cui appunto trae origine il termine “Umanesimo”.
Questa riscoperta è un’indispensabile premessa culturale del Rinascimento, con la quale la generazione dell’età umanistica sottolinea una netta distanza tra il mondo medioevale, caratterizzato da una visione della vita, che poneva Dio al centro dell’Universo e imponeva all’uomo una totale sottomissione al volere e al potere della Chiesa, e la loro visione in cui l’uomo è posto al centro dell’Universo ed è considerato artefice, padrone del proprio destino. Si diffonde una grande fiducia nell’intelligenza umana; si esaltano, in particolar modo, la dignità dell’uomo, la sua superiorità sugli altri esseri naturali, le sue innumerevoli capacità creative. Inoltre, si afferma il concetto di “humanitas”, inteso come la voglia di conoscenza che distingue l’uomo da tutti gli altri esseri animati.
Ho fatto una breve sintesi, per dire che l’Umanesimo non è una scoperta né della Chiesa né di Scola. Ma ciò che mi irrita di Scola è quell’aggiungere l’aggettivo “nuovo”, quasi che oggi bisognerebbe dare un volto nuovo all’Umanesimo. Che significa? Anche parlare di “nuova” anima, che significa?
Ho l’impressione che Scola abbia tante idee confuse, che nel suo schema mentale filosofico e teologico si ritrovano bene. Bene per lo schema, ma male per quella concezione umanistica, che non ama certe sottili distinzioni.
Io la penso così. L’Umanesimo, ovvero la realtà autentica dell’essere umano, in tutta la sua integrità e totalità (così intendo quando parlo di Umanesimo integrale), nessuno l’ha creato ex novo. Inventare vuol dire scoprire: in questo senso già i filosofi antichi si erano avvicinati all’essere umano, come essere, anche nella sua realtà esistenziale. Forse anticamente si passava facilmente da un estremo all’altro: dalla natura all’essere umano, oggi la scienza stessa ci invita ad avere una visione più cosmica, più olistica, più armonica. 
Non parlerei più di supremazia dell’essere umano sul mondo. Non parlare di una natura al servizio dell’essere umano. Parlerei di armonia, che non significa unitarietà intesa come uniformiamo o omologazione. Scola parla di «un’anima capace di sanare le contraddizioni e far vivere in unità e concordia tutte le diversità che la abitano. Rimettere al centro l’uomo, di questo Milano ha bisogno». Se per contraddizioni s’intende contrapposizioni ideologiche sono d’accordo, ma non sono d’accordo di “unificare” le diversità. E che significa che bisogna “rimettere al centro l’uomo”? Quale visione dell’essere umano?
Credenti e non credenti vanno in realtà d’accordo su una visione comune dell’essere umano? A me non sembra, anche se tutti parlano di essere umano, come se fossero d’accordo.
Torno all’aggettivo “nuova” (anima) o “nuovo” (umanesimo). Che significa “novità”? Anche a proposito della evangelizzazione, non parlerei di “nuova” evangelizzazione, ma casomai di ri-evangelizzazione (tornare alla fonte originale). Così non parlerei di “nuovo” umanesimo, ma di “umanesimo integrale”, da integrare nel cosmo, senza per forza legarmi al libro di Maritain (bisogna dire grazie alle intuizioni dei filosofi che ci hanno preceduto, ma andare poi oltre: grazie, ti saluto e io vado avanti!). Non si tratta di creare una “nuova” cristianità. Il vero cristianesimo è dentro l’Umanesimo, ma l’Umanesimo è oltre ogni religione. Identificare il cristianesimo, l’umanesimo e la religione cattolica è il più grosso errore che si possa commettere.
Certo, oggi i problemi esistenziali sono diversi da quelli di ieri, ma ciò non significa che richiedano un nuovo umanesimo, o un’anima nuova. Parlare di necessità di un “supplemento” di umanesimo o di “supplemento” d’anima, non vuol dire aggiungere qualcosa, casomai togliere qualcosa. Togliere cioè tutti quegli impedimenti o ostacoli che impediscono la realizzazione dell’umanesimo integrale o di quell’anima (o spirito o cuore) che si sente mortificata da un eccesso di anti-umanesimo o di anti-anima.
Parlerei invece di uno sforzo nuovo, di uno sforzo più grande, dal momento che tutto sembra andare verso una china paurosa. E qui, caro Scola, il vero problema non è inventare qualche iniziativa in più dal punto di vista caritativo o assistenziale, che serve solo a buttare tanto fumo negli occhi. La carità, quella autentica, ha bisogno di un contesto fortemente culturale. Anzi, succede, come è successo ultimamente non solo a Milano, che certe iniziative assistenziali suscitino proprio quelle contrapposizioni che sembravano prima latenti. Inutile negarlo: la nostra gente, caro Scola, è lontana non solo dall’umanesimo integrale, ma anche da quel minimo buon senso che talora potrebbe aiutare a capirci, ad accettarci, per quello che siamo. E dire “nostra gente” è dire quel popolo che affonda le sue origini e tradizioni nel cristianesimo dei santi patroni di Milano.
Radici cristiane: dove sono?
Certo, a Natale ci sentiremo tutti buoni. Prenderemo magari in casa un barbone. E poi? Cercheremo di offrire alloggi a chi è senza. E poi? Tutto doveroso, tutto bello, tutto caritatevole. E poi?
Urleremo contro un governo disattento ai veri problemi della gente di oggi, predicando il dovere della giustizia. E poi?
Ma che cosa in realtà manca all’uomo d’oggi?
In poche parole, manca una coscienza sociale, diciamo semplicemente umana, diciamo sensibile all’umanesimo integrale. Finché questa coscienza è rattrappita, addormentata, isterica, chiusa nella prigione di un egoismo pauroso, non arriveremo mai a creare le premesse per una società migliore.
Ora, se il cristianesimo ambrosiano, in tutta la sua storia millenaria, non è riuscito a fare di Milano una città Umana, che cosa possiamo chiedere al sindaco ateo? I miracoli? Lui crede che ci sia l’anima, tranne che si è assopita, e tu, Scola, parli di una “nuova” anima? Ma che cos’è questa “nuova” anima? Parli di un “nuovo” umanesimo, ma che cos’è questo “nuovo” umanesimo?  
Caro Scola, ho una brutta sensazione: che tu, parlando di “nuovo”, intenda parlare di restaurazione. Come si può restaurare qualcosa di falso o di illusorio o di idoli infranti? Facciamoci tutti quanti un serio esame di coscienza.
Sembra che oggi la gerarchia della Chiesa italiana non faccia altro che difendersi, accusando il marcio della politica, quando fino ad ieri aveva, e ancora oggi ha, tanti mostri negli armadi. Un po’ di dignità, un po’ di pudore, un po’ di onestà!
Questo non significa stare tutto il giorno nel confessionale a battersi il petto. Significa solo: conversione, e guardare avanti, con la mente e il cuore “nuovi”. Qui sì che la novità s’impone!  

 

2 Commenti

  1. zorro ha detto:

    Qui siamo alle solite cose trite l’anima si l’anima no ma Milano oggi e’ in degrado sociale pochi ricchi e tanti precari la crisi morde.Le istituzioni fanno quel che possono con le risorse disponibili il futuro e’ incerto e creare lavoro con la globalizzazione e’ assai difficile.Non c’e’ spazio come negli anni 70 80 90 le industrie sono chiuse davano alla massa e non all’elite il pane quotidiano.Oggi solo l’elite vive gli altri arrancano e in questo contesto fare filosofia a chi serve?Il cardinale e il sindaco non sono precari pero’ danno indirizzi ai precari in fatto di anima e cosi’ il popolo li vede sempre piu’ distanti e insignificanti.Poi si stupiscono se non c’e’ coesione sociale.Politicamente va bene cosi’ perché se ci fosse coesione sociale ci sarebbero moti di piazza uniti tutti contro il sistema corrotto.Chissa’ come andra’ a finire?a Dio piacendo alla prossima non dimentichiamolo

  2. GIANNI ha detto:

    Anche per onestà intellettuale, devo dire che mi è spesso parso, in molti discorsi di questo tipo, che dietro, quanto a significato, campo delle semantiche lo chiamerebbero i linguisti, ci sia poco o nulla.
    In che senso?
    Non possiamo non aver notato, sin dai primi studi di filosofia e letteratura, che spesso certe categorie culturali sono prese e riprese, da vari autori, e nel corso dei secoli, ma con significati molto diversi.
    Magari anche nello spesso periodo, con differenze tra un autore e l’altro.
    Così, mentre il linguaggio tecnico e scientifico tende a dare precisi significati a determinati termini, invece quello culturale, letterario e filosofico no.
    E così, parimenti, forse non esiste categoria più usata ed abusata dell’umanesimo, e giustamente, in certo senso, umanisti potrebbero considerarsi già i pensatori presocratici o altri ancora, pur distinti dal classico umanesimo quattrocentesco.
    A me pare che spesso, comunque, sopratutto in certe occasioni, non vi sia un serio intento di dare chissà quale significato alle parole, ma più che altro, sarò sincero fino in fondo, di fare un bel discorso, zeppo di termini eleganti e culturali, ma che poi resta un po’ fine a se stesso.
    Un cardinale, un vescovo, un’autorità politica o amministrativa, devono fare certi discorsi, e quindi magari colgono l’occasione per dire tutto e niente.
    Magari il sindaco coglie anche un’occasione politica, ben sapendo che certi suoi sostenitori non vedrebbero di buon occhio chissà quale armonia tra lui e Scola, e quindi fa una polemica, forse anche questa fine a se stessa.
    Sbaglierò, ma penso che spesso, dietro i discorsi di autorità civili e religiose, ci sia stato solo l’impegno per fare un bel discorso, sopratutto perchè lo si doveva fare.
    In fondo, che significa anche l’espressione anima della città?
    Forse una è più borghese, un’altra più operaia, eccetera, ma poi questo a cosa vuol parare?
    Forse, solo a fare bella figura?
    Non so, sarò io che sono troppo critico, ma a me pare proprio che certi discorsi dicano tutto e niente.
    Anch’io amo la filosofia, ma mi pare che poi, se uno non riempie i suoi discorsi di qualcosa di ben chiaro e definito, si rischia di cadere nel nulla.
    Almeno Scola ci dicesse se intende restaurare una chiesa di tipo medievale, chiesa al centro anche della vita politica e sociale, quindi, o ci dica che vuol intendere che Bergoglio sbaglia anche solo ad accennare a qualche tentata riforma, e con lui, la chiesa, allora si capirebbe meglio.
    Quanto a sindaci, non parlo solo di Pisapia, preferisco discorsi politici concreti, dove si dica: parlo di questo problema, di tale questione, ed intendo affrontarli in questo modo.
    Il resto mi sa solo di discorso di circostanza, sentito il quale uno se ne va senza aver acquisito nulla.

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