Omelie 2017 di don Giorgio: SECONDA DOPO PENTECOSTE

18 giugno 2017: SECONDA DOPO PENTECOSTE
Sir 17,1-4.6-11b.12-14; Rm 1,22-25.28-32; Mt 5,2.43-48
Il libro del Siracide e i suoi limiti
Il primo brano è tolto dal libro del Siracide, così chiamato dal suo autore, vissuto nel secondo secolo a.C., un certo Simone, discendente di Sirah. Nella sua antica versione latina, l’opera era nota come Ecclesiastico, perché molto usata nella comunità ecclesiale cristiana, a causa della vastità dei suoi insegnamenti, vera e propria sintesi della sapienza ebraica.
Vorrei subito dar notare che nel libro si parla sì della Sapienza divina, ma nell’ambito del contesto giudaico, ovvero dell’Alleanza tra Dio e il popolo eletto. Dunque, la Sapienza è per lo più identificata con la Torah, la Legge ebraica. E ciò pone dei limiti al concetto di sapienza di più ampio respiro, che si trova nella filosofia del mondo greco.
A parte, secondo me, la sconsideratezza da parte della Liturgia di presentare da leggere e da meditare un brano tagliuzzato (alcuni versetti staccati tra loro presi dal capitolo 17), avrete notato che ci sono affermazioni interessanti e positive, ma anche alcune dichiarazioni che pongono qualche dubbio e qualche perplessità sul come intendere la presenza dell’essere umano nell’universo.
Affermazioni interessanti e positive
Partiamo dalle affermazioni interessanti. Si dice subito che «Dio ha creato l’uomo dalla terra e ad essa lo fa di nuovo tornare». Più che della realtà della morte, che comunque è evidente dal testo, va sottolineato l’aspetto della fragilità dell’essere umano, anche quando conduce la sua esistenza su questa terra, da cui è stato tratto, ma a differenza della terra, che scomparirà (se scomparirà), alla fine del mondo (quando ci sarà), l’essere umano se ne andrà prima. Non ci avete mai pensato? Noi, esseri intelligenti, che ci crediamo il centro della terra, i padroni del mondo, siamo solo dei pellegrini, abitanti affittuari e precari su questa terra. Ma quanti miliardi di esseri umani sono già passati prima di noi su questa terra e quanti ne passeranno dopo di noi? E la terra è ancora qui quasi a sfidarci nella nostra folle onnipotenza, come a dirci: tu passi, io resto. Abbiamo magari un orticello che coltiviamo con tanta cura. Quanti prima di noi l’hanno coltivato, e l’orticello è ancora qui magari a subire le nostre angherie, oppure non scomparirà perché arriverà un proprietario pronto a costruirci sopra una casa.
Interessante e senz’altro affascinante l’affermazione, che non è nuova comunque, dell’immagine divina presente in ogni essere umano. Beh, diciamo subito: chissà perché parliamo di un’immagine divina presente negli esseri umani, dimenticando che tutto il creato è immagine di Dio. Certo, se lo ricordassimo, non saremmo gli usurpatori di questa immagine universale. Ci fa comodo allora, e questa è una tipica mentalità ebraica presente nell’Antico Testamento, affermare che abbiamo il diritto di essere i padroni della terra, ovvero di dominarla, di soggiogarla a nostro piacere. E questo non è affatto accettabile, tanto più che siamo intelligenti, e l’intelligenza man mano riduce il potere sulle cose per orientare la nostra unica vera attenzione verso il Divino, che è in noi, e che, contemporaneamente, come un tutt’uno, è presente nell’universo.
Simone Weil, la grande filosofa francese, parlava continuamente di attenzione, ovvero di quell’”ad-tendere”, tendere verso il Divino, senza farci distrarre dalle cose. Guai ad abbassare la guardia, guai a dis-attendere!
Ma non sono le cose che ci distraggono, siamo noi a vedere nelle cose ciò che esse non hanno: anche le cose sono divine, e come tali vanno trattate. È il nostro io (l’ego, l’egoità, l’appropriazione) a distorcere il vero valore delle cose, e in base a tale giudizio del tutto soggettivo, proveniente dal nostro egoismo, giudichiamo buona o cattiva una certa cosa. Se, come dicono i mistici, ci distacchiamo dalle cose, ovvero (attenzione!) ci distacchiamo dal nostro ego che distorce a modo suo, in senso appropriativo, la realtà, allora, solo allora potremo rivalutare le cose, vedendo in loro la presenza divina. Più le cose sono viste in senso soggettivo, da parte nostra, da parte del nostro ego, più diventano individuali, separate dal loro insieme, che è il Tutto divino. La frammentazione è opera del nostro io appropriativo, che separa per avere, distingue per prendersi qualcosa di suo.
E pensare che anche il libro del Siracide parla di intelligenza, come dono di Dio, presente in ogni essere umano. Ma che significa intelligenza, nella sua etimologia? Significa “intus legere”, ovvero leggere dentro: dentro la realtà, dentro i fatti, e non invece giudicarli dall’esterno, in modo superficiale, come fa la maggior parte delle persone, compresi politici, giornalisti, ecclesiastici.
I filosofi greci parlavano di “nous”, intelletto, ma dell’intelletto attivo, come diceva Aristotele, quello che non si lascia condizionare dal contingente, non subisce i vari condizionamenti imposti dalla società (questo è l’intelletto passivo), ma l’intelletto attivo è orientato verso l’alto, verso l’Assoluto, l’Incondizionato.
Noi solitamente parliamo di mente, ma attenzione alla parola: mentire deriva da mens. Ecco perché Gesù Cristo, riprendendo la predicazione del Battista nel deserto, parla di meta-noia. “Noia” deriva da intelletto o mente. Noi abbiamo tradotto “metanoia” in conversione: convertirsi significa “cambiare mentalità”, da menzognera renderla vera, orientarla verso l’alto, o, è la stessa cosa, verso l’interno, là dove c’è il richiamo perenne della voce dello Spirito.
Amate i vostri nemici…
Un accenno al brano del Vangelo, dove si dice: “Amate i vostri nemici…”. Mi sembra del tutto superfluo dire che non è vero che nell’Antico Testamento ci siano affermazioni invitanti all’odio verso i nemici, e che perciò le parole di Gesù: “Avete inteso che fu detto: Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico”, in realtà andrebbero interpretarle diversamente. Anche i bambini sanno che tutti coloro che erano fuori dell’ambito dell’Alleanza biblica, tra l’altro fissata nel codice da mani umane, i popoli gentili erano esclusi, visti come un pericolo per il monoteismo ebraico (così si diceva, in realtà il motivo era politico: erano ostacoli all’espansione del popolo ebraico), e perciò da combattere, eliminare. E questo che cos’era? Forse che oggi non ci sono ancora i nemici da odiare e da combattere?  E allora che significa: “Ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per i vostri persecutori…»? Ma chi sono oggi i nostri nemici? Non sono forse coloro che riteniamo possano toglierci la quiete e la pace, che ci rubino qualcosa di nostro?

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