Omelie 2014 di don Giorgio: Festa di Pasqua

20 aprile 2014: Festività di Pasqua nella Risurrezione del Signore
At 1,1-8a; 1Cor 15,3-10°; Gv 20,11-18
In tutte le Chiese cattoliche del mondo, durante la Veglia pasquale di ieri sera, solennizzata da riti anche un po‘ strani e arcaici – tra parentesi: la recente riforma liturgica doveva puntare su una maggiore semplicità, evitando di appesantire le cerimonie: l’essenzialità e la bellezza sono indispensabili per accostarci al Divino – dicevo che ieri sera, durante la veglia pasquale, è stato proclamato l’annuncio gioioso: Cristo è Risorto!, al suono dei campanelli e dell’organo.
Se è vero che, come ha scritto san Paolo nella sua prima lettera ai cristiani di Corinto (qualche versetto dopo il brano di oggi), se Cristo non fosse risorto, vana sarebbe la nostra fede, è anche vero che è essenziale cogliere il senso della risurrezione di Cristo. Non basta credere ad un evento storico! Che cosa fa sì che la risurrezione di Cristo sia il fondamento reale della nostra fede?
Anzitutto, vorrei dire una cosa. Cristo è nato nel silenzio di una grotta. E che cosa è successo? Il Natale è diventato una delle feste più consumistiche della storia. Si è inventato di tutto pur di sfruttare un Evento, quello della incarnazione del Figlio di Dio, che è venuto in questo mondo nella più assoluta indifferenza. Nessuno si era accorto della nascita di Gesù. Ma, a pensarci bene, anche la risurrezione di Cristo ha scelto il silenzio più assoluto.
Vedete: la morte di Gesù ha scosso gli abitanti e anche i forestieri presenti in Gerusalemme. Matteo scrive che il velo del Tempio si è squarciato in due (il velo era la tenda che separava il Santo dei Santi da tutto il resto), l’evangelista scrive inoltre che la terra ha tremato, che le rocce si sono spezzate, che i sepolcri si sono aperti e che molti giusti sono tornati in vita. Anche se sono espressioni da non prendere alla lettera, tuttavia Matteo ci fa capire che la morte di Cristo non è passata in sordina.
La risurrezione, invece, non ha avuto alcun testimone. I discepoli si sono accorti, quando sono girate certe voci sulle apparizione di Gesù. I racconti di queste apparizioni (lo potremo vedere nelle prossime omelie), sono contraddittorie, difficili anche da comprendere. Questo per dire una cosa: ovvero che dobbiamo avere tanta cautela nel trattare la Risurrezione di Cristo. Dio ha voluto che sia l’incarnazione del Figlio sia la sua risurrezione fossero avvolte nel Mistero. Una ragione ci deve pur essere. Non credo di sbagliare dicendo che, proprio perché sono dei Misteri, non amano la spettacolarità, e chiedono che non vengano sfruttati con celebrazioni fuori posto. La liturgia, purtroppo, anche nelle sue migliori intenzioni, non sempre è riuscita a cogliere il Mistero con la delicatezza richiesta dal Mistero stesso. O, meglio, diciamo che la Chiesa, pur di soddisfare le esigenze della massa, ha lasciato correre, favorendo certe pratiche religiose, che non hanno nulla a che fare con la vera fede cristiana.
È vero che siamo fatti anche di sensi, di emozioni, di sentimenti, ma questo non deve comportare una mancanza di rispetto nei riguardi del Mistero. Il Mistero lo si coglie dentro di noi. Questo non significa che poi non dobbiamo comportarci di conseguenza: la nostra vita deve essere una testimonianza del Mistero in tutta la sua più profonda realtà interiore.
Dunque, Cristo è risorto nel silenzio della notte. Nessuno si è accorto. I veri testimoni sono solo gli angeli, puri spiriti. Eppure Cristo l’aveva preannunciato più volte: mi condanneranno, mi uccideranno, ma il terzo giorno (notate: non è esatto dire “dopo tre giorni”) risorgerò. Ma nessuno tra i discepoli l’avevano preso sul serio.
“Il primo giorno della settimana”, oggi diremmo la domenica, le donne – quelle che erano rimaste fedeli al Maestro fin sotto la croce –, si recano, di primo mattino, al sepolcro dove era stato deposto il cadavere di Gesù, per compiere quei riti di imbalsamazione che, per la fretta o per la paura, erano stati omessi. In realtà, il rito dell’imbalsamazione era stato in un certo senso anticipato quando Gesù era ancora in vita, dal gesto di Maria, sorella di Marta, durante la cena di ringraziamento per il miracolo compiuto da Gesù che aveva risuscitato il fratello Lazzaro. Maria aveva cosparso i piedi di Gesù con aromi profumati e costosi, tanto da suscitare la contestazione di Giuda Iscariota che aveva visto in quel gesto uno spreco di soldi.
La prima liturgia pasquale, quella narrata dai Vangeli, è stata una liturgia delicata, di donne che, in silenzio, alle prime luci dell’alba, vanno al sepolcro per compiere un atto rituale e, nello stesso tempo, un gesto di grande affetto. Perché nascondere che queste donne erano state affascinate dal grande Maestro? Che male sarebbe riconoscerlo?
Solo l’evangelista Luca parla di terremoto, per giustificare il ribaltamento della grossa pietra che ostruiva l’apertura della tomba. In realtà, non ci fu nulla di eclatante. Se ci fosse stato il terremoto, tutti si sarebbero accorti. Quando le donne arrivano, trovano il sepolcro già aperto. Qualcuno si chiederà: quante erano le donne, chi erano? L’ho già detto che i racconti degli evangelisti sono contraddittori. Giovanni, ad esempio, parla di una sola donna, Maria di Magdala. In ogni caso, si tratta sempre di donne. E qui non possiamo non notare che Gesù, comunque siano andate le cose, è apparso per primo a una donna. La meno pura. L’evangelista Luca parla di un gruppetto di donne che «assistevano Gesù con i loro beni». Tra loro c’era anche Maria di Magdala, da cui «erano usciti sette demòni».
Ancora ai tempi di Gesù, e lo sarà anche in seguito, le donne non erano considerate credibili, perciò non potevano neppure testimoniare in un tribunale. La loro parola non contava. Pensate: Gesù sceglie proprio una donna come prima testimone della sua risurrezione. Una cosa, a pensarci bene, sconvolgente. I maschi fanno una figura meschina sia durante la passione di Cristo sia durante le sue apparizioni da risorto. Scappano, credono e non credono, sono sempre dubbiosi, pensate all’apostolo Tommaso. Le donne rimangono sempre accanto al Maestro fin sotto la croce, e sono le prime ad accorrere al sepolcro.
Senza aggiungere tante cose con il rischio di cadere in frasi comuni, vorrei che la Chiesa gerarchica maschilista riflettesse, a partire dalla presenza della donna nei momenti più drammatici e nei momenti più luminosi della vita di Cristo. Nella Chiesa non dovremmo parlare di quote rosa. È un problema già sbagliato nel campo politico; nella Chiesa sarebbe del tutto fuori posto. E non si tratta di equilibrare o di armonizzare la ragione con il sentimento, come se la ragione fosse una prerogativa maschile e il sentimento una prerogativa femminile.
E non è neppure una questione di comando. Ed è qui il punto: si pensa ancora che la Chiesa debba fondarsi su una autorità di potere. Parlerei casomai di autorevolezza, che è un’altra cosa, e l’autorevolezza non è né maschile né femminile.
Vorrei concludere con un sequenza, che tradizionalmente veniva cantata durante la solennità pasquale. È una composizione che risale all’XI secolo, musicata a cominciare dal canto gregoriano, e successivamente da molti compositori del Rinascimento e del Barocco. Questa sequenza ha ispirato anche gli inni luterani. Si tratta del “Victimae Paschali laudes”, che ritengo uno degli inni gregoriani più belli e più idonei da cantare ancora oggi durante le feste pasquali. Sono sequenze, dove si alternano alcune immagini poetiche: l’Agnello immolato, il duello tra la morte e la vita, il sepolcro di Cristo, l’incontro con Maria Maddalena. La conclusione è segnata dall’invocazione “Tu, re vittorioso, abbi pietà di noi!”.
L’originale in latino è molto suggestivo. Eccolo, con la traduzione in italiano.
Victimæ paschali laudes immolent Christiani.
Alla vittima pasquale, s’innalzi il sacrificio della lode.
Agnus redemit oves: Christus innocens Patri reconciliavit peccatores.
L’Agnello ha redento il suo gregge:
Cristo l’innocente ha riconciliato i peccatori con il Padre.
Mors et Vita duello conflixere mirando: Dux Vitæ mortuus, regnat vivus.
Morte e Vita si sono affrontate in un prodigioso duello.
Il Signore della vita era morto: ora, vivo, trionfa.
Dic nobis, Maria, quid vidisti in via?
“Raccontaci, Maria: che hai visto sulla via?”.
Sepulcrum Christi viventis, et gloriam vidi resurgentis,
angelicos testes, sudarium et vestes.
“La tomba di Cristo vivente, la gloria del Cristo risorto,
gli angeli, suoi testimoni, il sudario e le sue vesti.
Surrexit Christus spes mea: præcedet suos in Galilaeam.
Cristo, mia speranza, è risorto! Vi precede in Galilea”.
Scimus Christum surrexisse a mortuis vere: Tu nobis, victor Rex, miserere.
Sì, ne siamo certi: Cristo davvero è risorto dai morti.
Tu, re vittorioso, abbi pietà di noi!

 

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