Ancora oggi è scomodo essere chiari

L’EDITORIALE
di don Giorgio

Ancora oggi è scomodo essere chiari

Giudicatemi come volete, ma non sopporto più celebrazioni rituali o formali di profeti o di dissidenti del passato, quando di loro è rimasto il solo ricordo, magari vago e nebuloso, o, peggio, l’esaltazione o miticizzazione delle loro gesta, che il tempo, tra l’altro, sembra aver ridotto a pezzi di antiquariato.
Sembrerò implacabile, al limite del più irriverente cinismo, ma sto imparando a distinguere, con una certa anche fredda lucidità, tra il fare e il pensare. Attenzione: non si tratta di una distinzione sul piano ancora esteriore, come se il pensare fosse al servizio o in funzione di un agire più razionale o come conseguenza di principi e convinzioni in linea ancora orizzontale, in vista cioè di un impegno sociale di chi si butta, anima e corpo, in una rivendicazione di diritti umani, che talora di umano hanno solo l’intento per lo più illusorio di concedere più cose, distribuendole in uguale misura, ma sempre cose, onde garantire quel benessere materiale, che non sarà mai stabile, ma sempre in bilico, soggetto a continui rischi di crisi irreversibili. 
Il pensare, allora, è un’altra cosa: non si pensa solo in vista dell’agire sociale, ma si pensa soprattutto per dare al proprio essere tutta la sua essenza radicale, che è quella interiore, dove si esige un vuoto di cose.
Vorrei subito dire che il cristianesimo nei secoli ha saputo giocare una carta in più per barare, ed è la carta di uno “spiritualismo” prettamente religioso (perché dimenticare che la religione è l’oppio dei popoli?), unitamente ad un “umanismo” rivestito di “caritatismo” (neologismi che fanno già riflettere).
A dire il vero, non è stato solo cristianesimo a giocare sporco, ma si è creata anche quell’aureola diciamo ecumenica (nel suo senso più lato, anche laicista), che si riveste di “buonismo” umanitario, in nome di quel “solidarismo” che non ho ancora capito su quali basi sia fondato.
Se poi aggiungiamo quella politica che predica a tutto spiano l’amore di patria, come di una terra già conquistata da difendere con tutti i mezzi da “nemici” rapaci in cerca di un po’ di benessere da sempre a loro negato da civiltà sanguisughe, allora il quadro è quasi completo: un quadro, certo, molto variegato, soggetto a continue modifiche e ribaltamenti, ma che dà l’idea di quanto il vero bene, il sommo bene, sciolto da ogni determinazione egoistica, appartenga ad un altro pianeta, ancora ignoto ai più, anche ai cosiddetti intellettualoidi che usano la lingua per ritenersi superiori a tutti.
Da una parte la complessità dei fattori “buonisti” di carattere religioso e degli elementi “laicisti” stracarichi di “sentimentalismi” sempre rabbiosi, e dall’altra il “solidarismo” politico bipolare, di destra e di sinistra, a raggi incrociati sempre in perenne ricerca del consenso popolare, fanno capire quanto questa società, non da ora ma soprattutto ora, sia nelle mani di abili imbonitori che giocano subdolamente sula pelle dell’essere umano.
Anch’io, purtroppo, sono rimasto vittima di illusioni, certo in buona fede, e tuttora in parte sono tentato di farmi illudere, forse per non restare del tutto solo, concedendo qualcosa a questo miscuglio di “buonismo” e di “solidarismo”, che per un verso sono il retaggio secolare di una fede, talora solo astratta, in un Dio pietoso e slavato, per l’altro verso sembrano la più bella conquista di una civiltà, che però è rimasta coi piedi di piombo nel pantano di un egoismo spudoratamente barbaro.
Che ogni epoca conosca anche spiriti ribelli, sognatori di una nuova terra, all’insegna di una giustizia utopica, ciò fa parte di una storia che è “altra” da quella avventurosa e prepotente degli spiriti del male: spiriti malefici che, non si sa bene perché, sembrano più numerosi e più potenti degli spiriti del bene.
Ed è per questo, per quel senso di minoranza e di solitudine o emarginazione, che gli spiriti liberi ribelli vengono classificati “i migliori”, ovvero ritenuti “migliori”, quando il tempo oramai li ha denudati di tutto, anche del loro sincero lottare per una società più giusta e più solidale. Ritenuti tanto “migliori” che perfino il potere, sia religioso che politico, è costretto a riconoscerli con celebrazioni che durano poi un giorno o al massimo una settimana.
Ma, ecco il punto: tra questi spiriti ritenuti i “migliori” distinguerei i “facitori” (coloro che hanno fatto qualcosa o anche tanto) dai pensatori o pensanti, ed è lo stesso potere a fare questa distinzione, onorando con celebrazioni i facitori e ignorando i pensatori. Tanto, così il potere pensa, le loro opere sono oramai sepolte sotto l’oblio del tempo, e ora il tempo ha ben altro a cui pensare.
E, allora, che cosa fa paura al potere: l’azione o il pensiero? Che cosa ancora oggi fa paura di un profeta: il suo agire o il suo pensare? Ma per pensare che cosa s’intende?
Se, come si è detto, a resistere al tempo non è il pensiero-azione, che significa pensiero-pensiero?
Se il pensiero-azione rischia di consumarsi nell’azione, che a sua volta si consuma nel tempo, qual è il pensiero-pensiero, che dura nel tempo, e che non sarà mai oggetto di celebrazioni rituali o di fanatiche enfatizzazioni?
Diciamo subito che esiste anche un pensiero-pensiero banale, che è frutto di un intelletto legato alle cose, e che perciò ne è condizionato, ma (non è una scoperta di qualche filosofo o mistico contemporaneo) esiste anche il grande Pensiero che è frutto del grande Intelletto, che non si fa condizionare dalle cose, ma che è rivolto a ben altri valori, quelli primi e assoluti.
Questo grande Intelletto che è, ripeto, orientato non verso le cose, ma verso il Bene sommo (platonico o cristiano, interessa relativamente), è presente in ogni essere umano, ma non tutti se ne accorgono e perciò non lo usano, vivendo allo stato bruto.
Per lo più i nostri pensieri provengono dall’intelletto passivo, quello che è condizionato dalle cose, per cui ci comportiamo secondo il criterio stabilito dalle cose.
E c’è il rischio che anche i profeti o i dissidenti non siano proprio spiriti del tutto liberi, se si fanno condizionare, nelle loro proteste, anche nobili, dalle situazioni esistenziali o dalle ingiustizie sociali. Ed è qui il vero pericolo: cadere in quel circolo vizioso per cui si crede di dare un apporto all’apertura sociale, rivendicando diritti ai più deboli, senza però avere dentro quella luce superiore, che ci permette di cogliere la realtà, da cui provengono prima i doveri e poi i diritti, per dare così un segnale di svolta veramente radicale alla società.
Brutalmente, dico che ci sono stati nel passato profeti o dissidenti che oggi non ci dicono più nulla. O, è la stessa cosa, dico che il passato è passato e che bisogna vivere il presente, guardando avanti. Il tempo passato è passato, ma deve insegnarci qualcosa, ovvero che oggi urge una nuova rivoluzione, che non deve partire dall’esterno o dal sociale, ma dal proprio interiore.
Se è vero che i grandi contestatori del passato nel campo sociale sono stati in un certo senso ritenuti pericolosi e perciò emarginati, e che, sotto questo aspetto diciamo sociale, oggi sono stati, comodamente e opportunisticamente, rivalutati, anche perché non fanno più paura dal momento che la Chiesa e la società civile sono cambiate, e sembrano più “umanizzate” (la Chiesa) o più “civilizzate” (la società) – sembrano, e ciò basta per far crollare ogni contestazione di carattere strutturale – il pensiero libero e profondamente radicato nello spazio interiore è stato, è e sarà sempre combattuto da strutture temporali che, se cambiano con l’evolversi dei tempi, resteranno però sempre vittime di se stesse, ovvero di qualcosa di estremamente esteriore all’essere umano.
E così succede che l’opinione pubblica sia più portata a santificare i profeti o i dissidenti dell’agire, tanto più che, nel frattempo, anche la società e la Chiesa riconoscono di averli trattati male, e oggi promettono che non si comporteranno più allo stesso modo, scusandosi che a quei tempi non si poteva fare diversamente.
Ma il Pensiero resta fuori, per fortuna, da queste miticizzazioni che, col tempo, cadranno in pezzi. E i più onesti, gli spiriti aperti o liberi, sono qui a chiedersi se, fin dove e quanto sia servita alla causa dell’umanità una “dissidenza” del tipo sociale e politico, quando l’essere umano non è affatto migliorato, nonostante le battaglie in favore dei diritti sociali.
Non è forse mancata l’educazione ai doveri, insiti nella coscienza del proprio essere interiore? E, perciò, non sarebbe ora finalmente di puntare, di rischiare, di scommettere sulla realtà di ciò che è il nostro essere, sopraffatto da un avere che, sotto anche le forme più ipocrite di ben-essere, in realtà ha condizionato le lotte nobili per una società più giusta e solidale?
Sì, qualcuno dirà: “abbiamo conquistato tanti diritti sociali!”. Ma l’essere umano è migliorato o peggiorato?
22 luglio 2017
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