Omelie 2020 di don Giorgio: ULTIMA DOPO L’EPIFANIA

23 febbraio 2020: ULTIMA DOPO L’EPIFANIA
Os 1,9a; 2,7a.b-10.16-18.21-22; Rm 8,1-4; Lc 15,11-32; Lc 15,11-32
Primo brano
Certamente, sarebbe interessante soffermare la vostra attenzione sul primo brano, del profeta Osea. Dovrei avere più tempo a disposizione, e poi l’omelia non è solo o anzitutto una esegesi approfondita dei brani della Bibbia. Ma ci sono due motivi che mi trattengono dal porre anche solo qualche riflessione. Primo motivo. La vita matrimoniale del profeta Osea si intreccia non solo simbolicamente con il rapporto, definito dai profeti come uno sposalizio, tra il popolo ebraico e l’Alleanza divina, dove il popolo eletto, sempre infedele, è la sposa, e Dio, sempre fedele, è lo Sposo. Non basterebbe una conferenza per dirne qualcosa. Secondo motivo. Il brano di oggi, come potete notare sul foglietto, è spezzettato, e perciò rende ancor più difficile comprenderlo nel suo vero contesto.
La parabola evangelica
Vorrei invece soffermarmi sul terzo brano, che riporta la famosa parabola di Gesù, che è stata diversamente presentata: parabola del figlio prodigo, parabola dei due figli, parabola del padre misericordioso. Già questo denota il taglio diverso di lettura e di interpretazione della stessa parabola. Addirittura, tempi addietro, forse ancora oggi, la parabola veniva letta durante la preparazione prima della confessione, togliendo così la parabola dal suo vero contesto, che è sì quello di un Padre che accoglie il figlio uscito di casa, ma anche di un fratello, il maggiore, che se la prende con il padre che accoglie con una grande festa il ritorno del figlio minore.
Una stranezza
Leggendo la parabola notiamo subito una stranezza. C’è un padre, ci sono due figli, per di più maschi, ma manca la madre. Quindi, tutto al maschile.
A rimediare a questa stranezza ci ha pensato un pittore olandese vissuto nel 1600, H. Rembrandt, il quale, nel suo celebre dipinto, forse l’ultimo della sua carriera, conosciuto come “Il ritorno del figlio prodigo”, che ora si trova esposto al museo di San Pietroburgo (l’ex Leningrado), ha voluto dipingere la scena, mentre il vecchio padre riabbraccia il figlio più giovane, che è in ginocchio davanti a lui. Ad attirare gli sguardi dei visitatori della tela del pittore olandese sono le mani del padre: sono insieme simili e diverse. La mano sinistra appare forte e muscolosa, ha i tipici lineamenti di una mano maschile, ed è in corrispondenza del piede destro del figlio, semi-calzato col sandalo: è una mano che scuote con energia e sorregge, quasi a infondere nel figlio la fiducia che possa riprendere il cammino della vita. Invece la mano destra appare delicata, soave e molto tenera: ha i lineamenti di una donna che vuole quasi accarezzare, proteggere, consolare il lato più debole, infatti è in corrispondenza col piede sinistro del figlio scalzo e ferito.
Prodigo
Don Angelo Casati ha fatto osservare che il significato vero della parola “prodigo” andrebbe applicato al padre e non al figlio minore. È vero che prodigo significa anche dissipatore, scialacquatore, sprecone, dilapidatore, ma può significare anche generoso, generosissimo, largo, magnifico, splendido, magnanimo.
Scrive don Angelo: “Prodigo all’inverosimile è stato il padre”. Come vedete, ci sono certe parole che hanno doppi significati, uno positivo e uno negativo, e a noi piace evidenziare talora l’aspetto più negativo, magari screditando anche le persone.
“Allora ritornò in sé…”: primo passo
“Allora ritornò in sé…”. Credo che qui, in questo verbo, “ritornò in sé”, ci sia la vera ragione della conversione, almeno nel suo punto di partenza.
Certo, una vera conversione richiede diverse tappe. Prima quel figlio errante ha pensato all’opportunità di avere una casa propria, dove vivere dignitosamente, senza dover lavorare come schiavo di un padrone che sa sfruttare bene le situazioni per mandare i poveri cristi nei campi a pascolare i porci, senza nemmeno dar loro la possibilità di nutrirsi di qualche carruba.
Il problema secondo me, oltre a dover lavorare in condizioni disumane, a orari impossibili, in giorni feriali e festivi (cose che capitavano nell’ottocento, e cose che capitano tuttora), è quel subire il ricatto umiliante di padroni che assumono dettando loro le condizioni. Ma oggi chi sono i veri padroni? li vedete voi in faccia? Casomai avete a che fare con i capetti che eseguono gli ordini che ricevono da altri capetti, i quali prendono ordini da altri capetti, e così via.
Sentirsi ricattati penso che sia la cosa più umiliante, soprattutto per un giovane, che ha sogni diversi dal farsi omologare in un sistema che appiattisce anime e corpi.
Quel figlio, dunque, rientra in sé, quando capisce che è arrivato al capolinea, ovvero si è sentito così umiliato nella sua dignità da non avere neppure un amico con cui confidarsi. Sì, dicono che gli amici si trovano quando fiutano qualche buona opportunità per loro, ma nelle disgrazie spariscono.
“Allora ritornò in sé…”: secondo passo
Dopo il primo passo, quel figlio, pensando alla casa del padre con tutti i suoi comodi, vuole tornare. Anche la donna della prima lettura pensa la stessa cosa: “Ritornerò al mio marito di prima, perché stavo meglio di adesso”.
Ed ecco il secondo passo, più importante: rientrando in sé, scopre una cosa essenziale, ed è quel volto divino che dà un senso, quello vero, al proprio vivere. Non dimentichiamo che Gesù, raccontando la parabola, intendeva, più che mettere in evidenza gli aspetti negativi (quelli dei due figli, il maggiore e il minore), evidenziare il volto vero di Dio, che è quello di un padre o madre che, ripeto, è sempre in attesa di un nostro ritorno, ma che, per ritrovarLo, dobbiamo rientrare nel nostro io interiore.
Tutti siamo soggetti anche a esperienze negative, ma c’è sempre un’opportunità divina, forse più di una, da sfruttare al meglio e per il Meglio, che è quel Mistero divino che non ci lascia in pace finché rimaniamo fuori di noi stessi.
Non vorrei essere frainteso, ma bisogna toccare il fondo della nostra miseria umana per poter poi risalire, e ridiscendere in quel pozzo misterioso che è dentro di noi. La cosa più deleteria, ed è quanto constatiamo anche oggi, è quel convivere, che è anche un’arte diabolica, con il male che sembra del tutto indifferente. Forse certe esperienze negative possono aiutarci a rientrare in sé, e a convertirci. La cosa paurosa è l’appiattimento generale: si vive da alienati, e si cercano mille espedienti per poter sopravvivere.

2 Commenti

  1. Luigi ha detto:

    Nell’episodio dell’adultera Gesù ridicolizza i suoi detrattori che lo voglio condannare per un tradimento dal quale nessuno è escluso. I religiosi sono maestri in questo: cupi e tristi. Questo episodio forse è stato rifiutato e tolto dal vangelo di Luca perchè le comunità cristiane stavano diventando religiose. L’ha accolto il vangelo mistico di Giovanni. Nella parabola del figliol prodigo Gesù ridicolizza i due figli e mette a nudo i limiti di un amore solo paterno. Senza l’amore materno non si può gioire: “Non hanno più vino.” La chiesa cattolica attraverso Maria l’ha recuperato. Peccato per le immagini distorte su di lei. Lo stesso Gesù non è stato risparmiato. Lo si è sempre presentato più tragico che comico. Nei vangeli prevale più la passione che la resurrezione. L’adultera con Gesù risorge o muore? Il figliol prodigo è un morto che cammina come suo fratello o è un risorto?

  2. bartolomeo palumbo ha detto:

    E’vivificante leggere e meditare un tale commento.Grazie DON GIORGIO.

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