Dalle omelie del Triduo pasquale del cardinal Scola: solo qualche sprazzo di luce

scola pasqua

di don Giorgio De Capitani
Durante i giorni del grande Triduo pasquale, il cardinale Angelo Scola ha tenuto cinque omelie: durante la Messa crismale, il mattino del Giovedì santo; durante la Messa “in Coena Domini”, la sera dello stesso giorno; durante la celebrazione della passione e morte di Gesù Cristo, il pomeriggio del Venerdì santo; durante la veglia pasquale, la sera del Sabato santo; durante la Messa solenne del giorno di Pasqua.
Le ho trovate sul sito della Diocesi milanese, le ho scaricate, le ho lette e poi ho segnato in rosso quelle frasi che ho trovato degne di attenzione. In realtà, sono poche. Questa è la mia impressione, che vorrei sottoporre ai miei lettori.
Prima di proporvi le cinque omelie, con le mie sottolineature in rosso, vorrei fare una riflessione. La maggior parte dei preti nei giorni scorsi (e non solo nei giorni scorsi!) ha tenuto delle omelie più o meno improvvisate. Chi ha parrocchia si giustifica dicendo che non ha il tempo per prepararle. Le cose da fare sono tante, ci sono le confessioni, la preparazione delle cerimonie è impegnativa ecc. ecc. Il tempo non è affatto una giustificazione: quando avevo parrocchia, le omelie delle festività natalizie e pasquali le preparavo parecchio tempo prima, proprio perché sapevo che poi non avrei avuto il tempo per farlo. Ho sentito nei giorni scorsi omelie di monaci e di prelati, che forse il tempo potevano anche averlo, che mi hanno deluso: tre o quattro parole buttate lì, senza suscitare particolare emozione e interesse.
Non è questo il caso del cardinale: si vede che le omelie sono preparate e messe per iscritto. Quando vedo un prete che predica con dei fogli davanti è già un buon segno: almeno le ha preparate.
Tuttavia mi chiedo: il cardinale, quando prepara le sue omelie, quale criterio usa? a che cosa o a chi pensa? che cosa vorrebbe in realtà dire alla sua gente?
Certo, ognuno ha il suo stile. Predicare è anche un’arte. Però, come si può predicare senza coinvolgere l’attenzione del pubblico? Non si tratta solo di dire cose interessanti: interessante è comunicare una Parola che è vivente.
Questo non lo noto nelle omelie del cardinale Scola. Non mi dicono nulla o quasi. Ho segnato in rosso alcune frasi, che potevano essere sviluppate, e non buttate lì.
Ad esempio, l’omelia della Messa crismale celebrata davanti a un migliaio di sacerdoti della Diocesi, che cosa ha suscitato in loro? Non era l’occasione per dire che cosa il vescovo si aspetta dai suoi preti? Io sinceramente oramai non mi aspetto più nulla dal mio vescovo, tuttavia avrei preferito contestarlo, piuttosto che dire: Che cosa ha detto ai suoi preti? Nulla. E non ditemi che contano di più i riti, la consacrazione degli oli ecc. perché allora proprio non ci siamo. La Parola di Dio conta, eccome, e va comunicata con la passione del buon pastore. Certo, già le cerimonie parlano, i brani scritturistici parlano, i canti parlano. Ma la parola del vescovo o del prete può dare un ulteriore tocco. E la gente ne ha bisogno. Ha bisogno di essere ulteriormente scossa.
Eminenza, il Giovedì santo, durante la Messa crismale, avrei sperato che dicesse qualcosa sulle omelie dei suoi preti. Oggi alla gente manca la Parola di Dio, comunicata con grande passione. I fedeli, sul sagrato, dopo la Messa, non discutono sulle cerimonie o sui canti, ma su ciò che ha detto o non detto il suo prete.
Eminenza, le sue omelie mi dicono poco o nulla. Solo questione di stile comunicativo? Penso di no. Secondo me, manca in Lei la Parola che sorprende. Tutto scontato. Tutto dogmatico. Lei cita autori che confermano, non autori che La sorprendono ogniqualvolta Lei li cita.
Se dai preti di oggi non mi aspetto nulla di buono, chiusi come sono in un mondo di fede tradizionale e senza alcun alito dello Spirito di Libertà, come può un vescovo restare immobile seduto sulla sua cattedra dogmatica, o dietro ad una scrivania di comando?
ARCIDIOCESI DI MILANO
MESSA CRISMALE
Ap 1,5b-8; Sal 88 (89); Eb 7,15b-27; Lc 4,15b-27
DUOMO DI MILANO, 17 APRILE 2014
OMELIA DI S.E.R. CARD. ANGELO SCOLA, ARCIVESCOVO DI MILANO
1. Il presente della vocazione
Il brano dell’Apocalisse che abbiamo appena ascoltato, presentando il dialogo liturgico con cui ha inizio tutto il libro, si rivolge a Gesù Risorto come «a Colui che ci ama e ci ha liberati dai nostri peccati con il suo sangue, che ha fatto di noi un regno, sacerdoti per il suo Dio e Padre» (Lettura, Ap 1,5-6). Con grande forza espressiva l’autore sacro fa precedere la memoria dell’opera di salvezza compiuta del Crocifisso Risorto – la liberazione dei peccati e la costituzione dei redenti come regno e popolo sacerdotale – dalla costatazione di un dato di fatto: il Signore ci ama.
Carissimi presbiteri, diaconi, seminaristi, religiosi, religiose e fedeli tutti. «Colui che ci ama»: il verbo è all’indicativo presente perché è il presente dell’amore di Cristo a rendere ragione compiuta dell’esistenza cristiana. Ogni cristiano, infatti – per la fede ed il Battesimo – è stato redento e reso membro del popolo di Dio, ma questi doni non sono una realtà che è rimasta confinata nel passato della sua storia personale. Al contrario sono il contenuto decisivo del suo presente. Si capisce bene allora perché la parola che definisce fino in fondo chi siamo e cosa ci è accaduto sia la parola “vocazione”. La vocazione cristiana, il fondamentale “stato di vita”, scaturisce dall’amore personale con cui Cristo mi ama e mi chiama alla Sua sequela.
2. L’oggi di Cristo
La nostra vita è quindi tutta segnata dall’oggi cui fa riferimento il Santo Vangelo: «Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato» (Vangelo, Lc 4,21). Con quell’“oggi” Gesù si appropria, per così dire, del Regno e si presenta dinanzi ai suoi contemporanei come l’Unto, il Messia del Signore. La consacrazione del crisma e la benedizione degli oli dei catecumeni e degli infermi che fra poco compiremo, ci aprono la porta del Santo Triduo Pasquale introducendoci sacramentalmente in quell’oggi. In che cosa consiste l’oggi del Cristo? Egli, una volta per tutte e per sempre, consegna, obbediente, al Padre la propria persona divino-umana: «È nello stesso tempo l’offerente e l’offerto, il sacrificante ed il sacrificato, il sacerdote e la vittima. In tal modo tenendo in unità ministero ed amore supera di peso e redime tutta la colpa del mondo» (H.U. von Balthasar).
Troppo spesso viviamo dimentichi del preziosissimo contenuto del sacrificio compiuto una volta per tutte, e perdiamo il prezioso quotidiano valore del “per sempre”, del carattere definitivo di quanto Gesù ha operato in favor nostro. Viviamo come se la redenzione dovesse ancora accadere! Come se il Figlio di Dio non avesse già caricato su di Sé tutto il peccato del mondo e il combattimento non fosse ancora deciso!
Non è assolutamente così! Noi, per grazia, siamo un popolo regale, cioè un popolo di uomini liberi perché già liberati, e tutto il male del nostro peccato personale e di quello del mondo intero non riuscirà mai a sopraffare la potenza liberatrice della redenzione. L’oggi, l’una volta per tutte e il per sempre della redenzione costituiscono il contenuto presente ed operante della vittoria di Cristo nella nostra vita. Sono l’alveo solido in cui scorre la nostra vocazione cristiana e, in essa, lo specifico stato di elezione ecclesiale rappresentato dal sacerdozio come ministero.
3. Una vittoria per il mondo
La vittoria di Cristo in noi, lungi dal costituire un motivo di vanto per i cristiani, li chiama ad una irrevocabile responsabilità: «Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione e mi ha mandato… ai poveri… ai prigionieri… ai ciechi…, agli oppressi, a proclamare l’anno di grazia» (Vangelo, Lc 4,18-19).
Il dono dello Spirito, che guida la missione salvifica di Gesù e fa di Lui l’Unto, il Messia, viene elargito ad ogni cristiano per la salvezza del mondo. Per questa ragione Papa Francesco non si stanca di ribadire il fatto che siamo discepoli missionari: «In virtù del Battesimo ricevuto, ogni membro del Popolo di Dio è diventato discepolo missionario (cfr Mt 28,19). Ciascun battezzato, qualunque sia la sua funzione nella Chiesa e il grado di istruzione della sua fede, è un soggetto attivo di evangelizzazione (…) La nuova evangelizzazione deve implicare un nuovo protagonismo di ciascuno dei battezzati» (Evangelii gaudium 120).
I giorni santi che abbiamo cominciato a celebrare non sono una “parentesi spirituale” in mezzo alla complessità della società plurale in cui la Provvidenza ci chiama a vivere. Sono giorni di rinascita: rinascere per vivere e consegnare sempre di più la vita per il bene del mondo. Non c’è, infatti, un’altra strada per il compimento della propria libertà. La Lettera agli Ebrei ci ha indicato con chiarezza il modo con cui Cristo ha compiuto il suo sacrificio redentore: «Lo ha fatto una volta per tutte, offrendo se stesso» (Eb 7,27) dice l’autore sacro.
La vocazione cristiana è, per sua natura, vocazione alla missione, all’unica missione della Chiesa, la quale, contro ogni pernicioso dualismo, «non si aggiunge a quella di Cristo e dello Spirito Santo, ma ne è il sacramento: con tutto il suo essere e in tutte le sue membra la Chiesa è inviata ad annunziare e testimoniare, attualizzare e diffondere il mistero della comunione della Santa Trinità» (Catechismo della Chiesa Cattolica 738).
I diversi ministeri/compiti e stati di vita – il ministero ordinato, la vita matrimoniale e familiare e la vita consacrata – sono le modalità storiche che il Signore sceglie con amorosa cura per ciascuno dei suoi figli affinché prendano parte all’unica missione della Chiesa in favore del mondo.
Il prossimo 8 maggio, con un gesto che vorremmo a tutti comprensibile, intendiamo comunicare alle sorelle ed ai fratelli della nostra terra ambrosiana ciò in cui crediamo (confessio fidei) e che, consapevoli di tutti i nostri limiti e peccati, ci sentiamo di proporre come forma bella e piena di vita. Come ministri ordinati inviteremo tutti i nostri fedeli a partecipare a questo gesto con tanta più semplicità ed energia, quanto più siamo consapevoli che, come afferma Teodoro di Mopsuestia: «Essi [ i ministri ordinati ] non esercitano un ministero di schiavitù, perché le realtà oggetto del loro ministero conducono a libertà tutti coloro che di diritto appartengono alla grande casa di Dio, cioè alla Chiesa» (Omelia catechetica 15).
4. Al servizio del popolo sacerdotale
In ogni azione del nostro ministero siamo chiamati ad assumere personalmente e quotidianamente sia l’evento oggettivo dello stesso sacerdozio di Cristo: i fatti della Sua passione, morte, risurrezione ed apparizione, sia la Sua amorosa  disposizione soggettiva alla completa offerta di sé.
Per questo lo stesso Prefazio parla di una «vita spesa per te a redenzione dei fratelli». Una vita spesa. Sappiamo bene quante resistenze permangano in noi all’offerta, al perdere totalmente la vita, eppure è veramente quello che vogliamo.
Questo è ciò che ci ha spinti a cominciare un rinnovato percorso di Comunità Seminaristica Adolescenti che affido a voi tutti.
La Messa crismale esprime in modo eminente l’unità del presbiterio con il Vescovo, nella comunione ecclesiale. È la ragione della odierna colletta in favore dell’Opera di Aiuto Fraterno. Mi preme anche comunicare che ho istituito una Commissione per lo studio del problema di una perequazione economica fra le parrocchie.
Anche quest’anno pronunceremo la nostra risposta alle domande dell’Arcivescovo, dicendo insieme ad alta voce; «Lo voglio» (Rinnovazione delle promesse sacerdotali). In queste due semplici parole noi proclamiamo la bellezza del sacerdozio ordinato. Rendiamole oggetto di quotidiana supplica. È la grazia che domando al Redentore, in questa Pasqua, per tutto il popolo ambrosiano e per tutti i ministri ordinati, a partire da me. Amen.
ARCIDIOCESI DI MILANO
MESSA IN COENA DOMINI
Gio 1,1-3, 5.10;1Cor 11,20-34; Mt 26,17-75
DUOMO DI MILANO, 17 APRILE 2014
OMELIA DI S.E.R. CARD. ANGELO SCOLA, ARCIVESCOVO DI MILANO
1. La consegna pasquale di Gesù
«Donaci ora, quale fonte di salvezza, il suo corpo che ha sofferto per la redenzione degli uomini»: la preghiera del Canone sottolinea il nesso inscindibile, nella liturgia ambrosiana, tra il mistero del Giovedì e quello del Venerdì Santo. È il motivo per cui questa sera abbiamo letto la prima parte del Passio di Matteo che narra, in successione cronologica, tutto quanto è avvenuto nella notte di quel primo Giovedì Santo, dalla Cena all’orto degli Ulivi, all’arresto e al processo, fino al rinnegamento di Pietro. La Messa in Coena Domini inserisce l’istituzione del sacramento dell’Eucaristia e di quello dell’Ordine nel quadro compiuto del Mistero Pasquale.
Questo duplice dono di Gesù ha luogo dopo la designazione del traditore – «In verità vi dico: “Uno di voi mi tradirà”. … Giuda disse: “Rabbì, sono forse io?”. Gli rispose: “Tu l’hai detto”» – (Vangelo, Mt 26,21.25). Gesù si offre a noi sacramentalmente con lo sguardo già rivolto alla Passione. Egli, infatti, nell’Ultima Cena anticipa il sacrificio della Croce. In questo modo rende possibile, nella celebrazione del banchetto eucaristico, a tutti gli uomini di tutti i tempi, e quindi anche a noi, la partecipazione al Suo unico e singolare sacrificio.
Entriamo dunque, fratelli e sorelle, nel cuore del mistero pasquale contemplando due aspetti del grande evento: Cristo che si consegna alla Croce, liberamente e in obbedienza al Padre, per la nostra salvezza e Cristo che si consegna a noi come nutrimento, vero cibo e vera bevanda, sostegno della nostra vita cristiana.
2. L’obbedienza dell’amore salva il mondo
«Allora tutti i discepoli lo abbandonarono e fuggirono» (Vangelo, Mt 26,56b). Gesù sa che deve attraversare tutta la sua passione in solitudine. Abbandonato da tutti, tradito da uno della cerchia più stretta di amici e rinnegato da Pietro a cui aveva affidato ciò che aveva di più caro, la sua Chiesa (cfr Mt 16,18).
Eppure, anche nel supremo combattimento (agonìa), nell’angoscia di questa prova terribile, Gesù non viene meno alla relazione con il Padre. «Padre mio, se è possibile, passi da me questo calice! Però non come voglio io, ma come vuoi tu!» (Vangelo, Mt 26, 39). E in particolare sta legato al Padre anche quando non ne sente la consolazione: «Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato? (Vangelo, Mt 27,46). Sono le formule dell’obbedienza dell’amore, che aprono la strada alla salvezza del mondo.
3. Lasciamoci coinvolgere nel Suo essere per
«Questo è il mio corpo, che è per voi; fate questo in memoria di me» (Epistola, 1Cor 11,24). L’espressione “Fate questo” domanda un’immedesimazione progressiva e continua con Gesù, con il suo modo di pensare, di agire e di amare, di vivere e di morire. Come scrisse Benedetto XVI nella Spe salvi: «Cristo è morto per tutti. Vivere per Lui significa lasciarci coinvolgere nel suo “essere per”» (Benedetto XVI, Spe salvi 28).
Riflettiamo su questo “essere per”. In Gesù, come abbiamo visto, l’essere per esprime innanzitutto il suo rapporto col Padre: Gesù si offre in obbedienza amorevole e grata in forza del suo essere figlio. Anche a noi, per poter consegnare la vita a Sua imitazione – come in ogni caso la morte prima o poi ci chiederà – è domandato di essere pieni di gratitudine, consapevoli che fin dal concepimento siamo stati donati a noi stessi.
La mancanza di gratuità, soprattutto nelle odierne società del Nord del pianeta, è l’esito di una cultura in cui molti uomini crescono orfani, senza legami di autentica generazione. Ricreare il tessuto sociale a partire dai legami costitutivi con Dio, con gli altri e con se stessi è la strada necessaria per l’edificazione del nuovo umanesimo di cui l’uomo del terzo millennio ha bisogno. La complessità e la frammentazione della nostra società non possono spegnere, anzi domandano a tutti noi questo impeto di costruzione comune, espressione connaturale della elementare esperienza umana. Il gesto della lavanda dei piedi oggi compiuto in pallida memoria di quello di Gesù sia per noi sorgente di appassionato servizio ecclesiale e civile.
4. Mistero di morte e resurrezione
«Dal profondo degli inferi ho gridato e tu hai ascoltato la mia voce. … Sono sceso alle radici dei monti, la terra ha chiuso le sue spranghe dietro a me per sempre. Ma tu hai fatto risalire dalla fossa la mia vita, Signore, mio Dio» (Lettura, Gio 2, 3.7). La preghiera di Giona nell’abisso prefigura l’indicibile – perché umanamente incomprensibile – certezza di Cristo di essere liberato dalla morte. Ed il suo mistero di morte e risurrezione getta viva luce anche sul nostro mistero di morte e risurrezione.
5. Abbiamo dove vivere e di chi vivere
La solenne Liturgia cui stiamo partecipando ci ha fatto entrare nel Triduo Santo, cioè nei tre giorni centrali dell’intera storia umana. Essa attua «una misteriosa contemporaneità tra quel Triduum [originario] e lo scorrere dei secoli» (Giovanni Paolo II, Ecclesia de Eucharistia, 5).
Per questo anche noi oggi, ascoltando Sant’Agostino, possiamo affermare con animo grato: «O sacramento dell’amore di Dio! … Chi vuole vivere ha dove vivere, ha di chi vivere. Si accosti, creda, sia unito al corpo di Cristo per divenire vivo» (“O sacramentum pietatis!… Qui vult vivere, habet ubi vivat, habet unde vivat. Accedat, credat, incorporetur ut vivificetur”, In Io. Ev. tr. 26, 13).
Gesù ci chiama in questa Eucaristia in Coena Domini. Ci chiama per accoglierci, come ci ricorderà fra poco il Canto dopo il Vangelo: «Oggi, o Figlio di Dio, come amico al banchetto tuo stupendo ci accogli». Amen
ARCIDIOCESI DI MILANO
CELEBRAZIONE DELLA PASSIONE E  DELLA DEPOSIZIONE DEL SIGNORE
Is 49,24-50,10; Sal 21; Is 52,13-53,12; Mt 27,1-56; Dn 3,1-24; Dn 3,91-100; Mt 27,57-61
DUOMO DI MILANO, 18 APRILE 2014
OMELIA DI S.E.R. CARD. ANGELO SCOLA, ARCIVESCOVO DI MILANO
1. Pasqua di crocefissione
Le Letture proposte dalla liturgia ci aiutano ad entrare nell’odierna celebrazione, che il nostro antichissimo rito segnala come Pasqua di crocefissione.
Alla presentazione del misterioso Servo di Yahvè delle prime due letture, tratte dal profeta Isaia, corrisponde il racconto della passione di Gesù del Vangelo di Matteo – che va dal punto in cui l’abbiamo interrotto ieri sera (nella Messa in Coena Domini) fino alla morte del Figlio di Dio incarnato. L’enigmatico personaggio del Servo trova la sua forma compiuta nel silente Figlio dell’Uomo crocifisso.
In questa liturgia, dopo la morte del Signore, verrà inoltre annunciata, attraverso il racconto del profeta Daniele, la liberazione. Gesù può essere gettato, come i tre personaggi di Daniele, nel fuoco della morte ma possiede la certezza di uscirne illeso.
Così il corpo di Gesù è consegnato al sepolcro.
2. Chi avrebbe creduto al nostro annuncio?
«Ecco il mio servo avrà successo, sarà onorato, esaltato e innalzato grandemente» (Lettura, Is 52,13). Ma «chi avrebbe creduto al nostro annuncio?» (Lettura, Is 53,1). La domanda del profeta è rivolta a noi questa sera. Noi crediamo all’annuncio della gloria della Croce?
Per rispondere guardiamo a come Gesù l’ha compiuto.
I passaggi di Isaia che abbiamo ascoltato descrivono l’inaudito cammino del disegno di Dio per vincere il male. Tutti conosciamo l’angosciante decisività della questione del male. Due elementi, in particolare, ci vengono offerti in proposito dal IV Canto del Servo.
Anzitutto lo stupore per un fatto inaudito: che la sofferenza generi salvezza (liberazione) e che dalla morte nasca la vita.
In secondo luogo l’incredibile scelta di Gesù di prendere il nostro posto, così che dalla sua morte noi riceviamo la vita: «Egli si è caricato delle nostre sofferenze… è stato trafitto per le nostre colpe, schiacciato per le nostre iniquità» (Prima Lettura, Is 53,4-5a); «Per le sue piaghe noi siamo stati guariti» (Prima Lettura, Is 53,5b).
3. Sponte. Morte e libertà
La vittoria sul male è frutto della libera scelta di Gesù come ha ben sottolineato Sant’Anselmo d’Aosta insistendo sull’avverbio latino “sponte”. Lo conferma esplicitamente il Catechismo della Chiesa Cattolica quando insegna: «Gesù ha liberamente accettato la sua passione e la sua morte per amore del Padre suo e degli uomini che il Padre vuole salvare: «Nessuno mi toglie [la vita], ma la offro da me stesso» (Gv 10,18). Di qui la sovrana libertà del Figlio di Dio quando va liberamente verso la morte” (CCC 609).
4. La certezza della liberazione
Dove si fonda questa sovrana libertà di Cristo? Nel Suo consegnarsi per amore alla croce che manifesta, a sua volta, l’amore del Padre. Infatti «l’amore esiste solo là dove c’è pienezza di libertà» (Vendredi Saint, in M.-J. Le Guillou, L’amour du Père révelé dans sa Parole. Homélies Année A, Parole et Silence, Paris 1998, 101).
Il Venerdì Santo ci chiede, sorelle e fratelli, una libertà piena. E la libertà è tale quando, nell’amore, “fa la verità”.
L’offerta totale di sé, frutto di un libero atto, genera in Gesù la certezza della risurrezione. La certezza della risurrezione è così potente che, in un certo senso, anticipa la risurrezione stessa. È l’esperienza di tutti i martiri. Ne abbiamo sempre più frequente testimonianza. Li vogliamo ricordare questa sera contemplando il Crocifisso. Questa certezza incrollabile della presenza amante al nostro fianco del Crocifisso che libera anche noi dal peccato e dalla morte si chiama “fede”. Per questo facciamo nostra in questi vesperi, segnati dalla Passione e dalla morte del Figlio dell’Uomo, la supplica del buon ladrone: «Signore ricordati di me quando entrerai nel tuo Regno» (Lc 23,39-43).
5. Dalla Pasqua di crocefissione alla Pasqua di risurrezione
« Lì, sedute di fronte alla tomba, c’erano Maria di Màgdala e l’altra Maria» (Vangelo, Mt 27,61). L’attesa silenziosa delle donne è già attraversata dalla speranza certa della Pasqua di risurrezione. Nella adorazione del Crocifisso partecipiamo a questa attesa. Amen
ARCIDIOCESI DI MILANO
VEGLIA PASQUALE
Gn 1,1-2,3a; Gn 22,1-19; Es 12,1-11; Es 13,18b-14,8; Is 54,17c- 55,11; Is 1,16-19;
At 2,22-28; Rm 1, 1-7; Mt 28,1-7
DUOMO DI MILANO, 19 APRILE 2014
OMELIA DI S.E.R. CARD. ANGELO SCOLA, ARCIVESCOVO DI MILANO
1. Un nuovo inizio
«Il mondo intero ammirato contempli che l’universo abbattuto e decrepito risorge e si rinnova, e tutto ritorna all’integrità primitiva in Cristo, da cui tutto prese principio» (Orazione dopo la Prima Lettura della Veglia). Attraverso la lunga catechesi biblica che la Liturgia della Parola ci ha offerto in questa Santa Veglia abbiamo potuto contemplare, stupiti e ammirati, il miracolo della perenne novità, cioè del nuovo inizio, che il Risorto ha introdotto nel mondo. Ci hanno preparato a questo le prime quattro Letture. Hanno descritto le grandi tappe dell’alleanza tra Dio e l’uomo proprio nei termini di un inizio: l’inizio della creazione (da Gn 1), l’inizio della rivelazione di Dio nella storia con Abramo (da Gn 22), l’inizio del popolo con l’uscita dall’Egitto (da Es 12 e Es 13). Per ritrovare l’integrità primitiva occorre sempre un nuovo inizio. A ben pensarci è ciò che avviene anche lungo la nostra esistenza.
2. Dio crea la vita e la ricrea
Ogni inizio è segnato da momenti di grazia – pensiamo alla nascita di un figlio – ma ogni inizio è anche un passaggio (Pasqua) che chiede di lasciare qualcosa, di cambiare vita. Così è per il cristiano. Lo vediamo nella scelta di 146 catecumeni di varia nazionalità che riceveranno nella nostra Chiesa, il Battesimo in questa Santa Veglia. Tredici saranno battezzati fra poco qui in Duomo. Nel Battesimo essi, come ci insegna la Chiesa, moriranno all’uomo vecchio per rinascere a vita nuova.
A questo morire per rinascere a vita nuova fa riferimento l’antichissimo Canto del Preconio: «Come l’onda fuggente del Giordano fu consacrata dal Signore immerso, ecco, per arcano disegno, l’acqua ci fa nascere a vita nuova. Infine, perché tutto il mistero si compia, il popolo dei credenti si nutre di Cristo». Dio, dopo la distruzione operata dal peccato, ricrea, rendendo possibile, in Cristo Gesù, ciò che all’uomo sarebbe impossibile: il perdono. Solo lasciando che Dio operi (obbedienza della fede), l’uomo può sempre sperimentare una novità di vita. Così si anticipa in noi la risurrezione finale della carne che Cristo ha inaugurato.
3. Non fuggiamo mai dalla resurrezione di Gesù
L’umana esperienza sembra opporre obiezione ad un’esistenza di risorti. La morte, con tutti i suoi anticipi (la malattia, l’ingiustizia nella relazione con Dio, con gli altri e con noi stessi, la violenza e le divisioni tra gli uomini come tra i popoli…), pare avere il sopravvento.
Dov’è allora la vittoria di Cristo?
Il Risorto vince la morte con l’amore. Il Padre infatti, con la sua inesauribile capacità, trova sempre nuove vie per realizzare, nel Cristo, il suo infallibile disegno d’amore: «Congregavit nos in unum, Christi amor», canterà alla Comunione la Cappella. «I miei pensieri non sono i vostri pensieri, le vostre vie non sono le mie vie… La mia parola non ritornerà senza effetto, senza aver operato ciò che desidero» (Quinta Lettura, Is 55,8.11).
Per questo, con profonda umiltà e gratitudine, possiamo dire: «Nessuno potrà toglierci la dignità che ci conferisce questo amore infinito e incrollabile… Non fuggiamo mai dalla resurrezione di Gesù, non diamoci mai per vinti, accada quel che accada» (Papa Francesco, Evangelii Gaudium, 3).
4. L’essenziale del Vangelo
Pietro, nel suo primo annuncio alle genti, dopo il dono dello Spirito nella Pentecoste, condensa l’essenziale del Vangelo: l’evento di Gesù di Nazareth consegnato, crocifisso e ucciso che «Dio ha resuscitato liberandolo dai dolori della morte, perché non era possibile che questa lo tenesse in suo potere». (Lettura, At 2,24). E Paolo sottolinea lo scopo di tale annuncio: «suscitare l’obbedienza della fede in tutte le genti a gloria del suo nome» (Epistola, Rm 1,5).
5. VederLo risorto è la verifica definitiva
«È risorto dai morti, ed ecco, vi precede in Galilea»» (Vangelo, Mt 28,7), disse l’angelo alle donne. In Galilea, cioè là dove tutto è cominciato per voi e là dove riprende la vostra vita quotidiana ormai segnata dalla risurrezione: «Là lo vedrete» (Vangelo, Mt 28,7).
Anche per noi, come per i primi, vederLo risorto è la verifica definitiva. Dove Lo possiamo vedere? Il luogo di verifica di questa strabiliante promessa è la vita nuova dei credenti che riconoscono la Sua presenza là dove sono chiamati ad essere e ad operare. Il quotidiano è la nostra Galilea. Cosa c’è di più naturale, allora, se non comunicare grati: «È risorto dai morti» (Vangelo, Mt 28,7)?
Happy Easter! ¡Feliz Pascua de Resurrección! Joyeuses Pâques! Frohe Ostern! Buona Pasqua!
ARCIDIOCESI DI MILANO
DOMENICA DI PASQUA NELLA RISURREZIONE DEL SIGNORE
At 1,1-8a; Sal 117; 1Cor 15,3-10a; Gv 20,11-18
DUOMO DI MILANO, 20 APRILE 2014
OMELIA DI S.E.R. CARD. ANGELO SCOLA, ARCIVESCOVO DI MILANO
1. Il vero giorno di Dio
«Questo è il vero giorno di Dio, radioso di santa luce» (Ambrogio, Inno per il giorno di Pasqua).
Dies Domini: giorno del Signore, oggi ed ogni domenica. La Chiesa nostra madre ci chiede di farne viva memoria, così che ogni volta possiamo entrare nell’esperienza descritta da un grande Padre della Chiesa, Ignazio di Antiochia: «Coloro che vivevano nell’antico ordine di cose si sono rivolti alla nuova speranza… vivendo secondo la domenica, giorno in cui è sorta la nostra vita, per la grazia del Signore e per la sua morte». Vivere secondo la domenica è vivere la rigenerazione del nostro io e di tutte le sue relazioni.
2. Si mostrò ad essi vivo
«Egli si mostrò a essi vivo… durante quaranta giorni, apparendo loro e parlando delle cose riguardanti il regno di Dio» (Lettura, At 1,3). Quaranta giorni, simbolo di un tempo di educazione per preparare i Suoi a ricevere il dono dello Spirito («riceverete la forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi», Lettura, At 1,8). Il dono dello Spirito genera un’intelligenza nuova e una nuova energia di affezione e di azione da vivere e da testimoniare al mondo.
«Si mostrò a essi vivo» afferma San Luca; «apparve» dice San Paolo. Cioè “si fece vedere”, ma secondo una modalità diversa da quella solita a cui i nostri sensi sono abituati. Infatti né la Maddalena, né i due di Emmaus, né gli apostoli dalla riva del lago di Tiberiade, all’inizio, lo riconoscono. Che cosa occorre perché possa essere riconosciuto ancora oggi, anche dall’uomo postmoderno decisamente poco propenso ad abbandonare il criterio della verifica empirica? Quale fu la strada per loro e quale quella per noi?
3. Una conoscenza amorosa
La prima apparizione di Gesù risorto che i Vangeli registrano è quella a Maria di Magdala, la peccatrice pentita perché rinnovata dal bell’amore. «Gesù le disse: “Maria!”. Ella si voltò e gli disse in ebraico: “Rabbunì” che significa: “Maestro!”» (Vangelo, Gv 20,16). La possibilità di riconoscere Gesù risorto – sembra dirci San Giovanni – è anzitutto una questione di conoscenza amorosa.
Vi sentiamo una particolare consonanza con quei versetti dell’Inno di Pasqua, in cui il nostro padre Ambrogio, riferendosi al buon ladrone, scrive: «Persino gli angeli stupiscono di questo fatto straordinario, vedendo il reo … ottenere la vita beata stringendosi a Gesù» (Ambrogio, Inno per il giorno di Pasqua).
4. Il seme del per sempre
«Non mi trattenere, perché non sono ancora salito al Padre» (Vangelo, Gv 20,17a). La resurrezione inaugura una nuova dimensione dell’esistenza. Un modo di vivere nella storia che la spalanca al per sempre di Dio.
A Pasqua la vita trionfa. Risorgeremo e risorgeremo nel nostro vero corpo. Nasciamo quindi per non morire più.
In questa prospettiva la Chiesa continua a proporre il Vangelo della vita a tutti gli attori della nostra società plurale. Afferma il bene universale della vita dal suo concepimento fino al suo termine naturale e invita a riconoscere il dono del figlio come frutto dell’unione d’amore tra l’uomo e la donna in cui spirito e corpo di entrambi siano coinvolti.
Riconoscere e valorizzare le strabilianti scoperte della tecnoscienza non significa subirne tutti i risultati, quasi lasciandosi dominare da una sorta di imperativo tecnologico: siccome si può fare, si deve fare.
La tenerezza del Risorto continua ad indicare all’uomo del terzo millennio la strada del bell’amore come criterio per lasciarsi educare all’umana pienezza.
Il Risorto ci fa godere la vita in tutte le sue condizioni perché nulla di noi andrà perduto. «Sono risorto ed ora sono con te» (Resurrexi et adhuc Tecum sum) ha cantato la Cappella all’Ingresso. Una vicinanza che chiede consapevolezza e libertà piena.
I cristiani propongono con rispetto, ma con decisione, come un insostituibile pilastro di vita buona questa visione integrale della esistenza anche nelle nostre società plurali.
La vita nel Risorto sparge nel terreno delle relazioni un seme di gratuità che le farà fiorire e dare frutti in favore di tutti.
5. Ogni evangelizzatore è strumento del dinamismo della risurrezione
«Maria di Magdala andò ad annunciare ai discepoli: “Ho visto il Signore!”» (Vangelo, Gv 20,18). Al riconoscimento del Risorto segue spontaneo ed inevitabile l’annuncio. Le apparizioni – che San Paolo nell’Epistola di oggi descrive nel dettaglio – di Colui che era morto ed ora vive per sempre nel Suo vero corpo, sono sempre in ordine alla testimonianza. Ce lo ricorda il Papa: «Ogni giorno nel mondo rinasce la bellezza, che risuscita trasformata attraverso i drammi della storia. … di fatto l’essere umano è rinato molte volte da situazioni che sembravano irreversibili. Questa è la forza della risurrezione e ogni evangelizzatore è uno strumento di tale dinamismo» (Papa Francesco, Evangelii gaudium, 276).
È questo un annuncio che veramente genera vita nuova. Buona Pasqua!
Augurio
Die Auferstehung leitet eine neue Dimension der Existenz ein. Es geht um eine Lebensweise in der Geschichte, die sie zum Für-Immer Gottes weitreichend führt.
In das Umfeld unserer Beziehungen wird ein Same der Unentgeltlichkeit gesetzt, die sie blühen und zugunsten unserer Menschenbrüder Früchte bringen lässt. Frohe Ostern!
The resurrection marks the beginning of a new dimension of our existence. A way of life in history, which throws it open towards the forever of God. In the field of our relationships is set a seed of gratuitousness which will make them bloom and bear fruit for the mankind. Happy Easter!
La resurrección inaugura una dimensión nueva de la existencia. Un modo de vivir en la historia abriéndola de par en par al para siempre de Dios. En la tierra de nuestras relaciones es sembrada una semilla de gratuidad que las hará florecer y llenarse de frutos a favor de nuestros hermanos los ombre. ¡Feliz Pascua de Resurrección!
La résurrection introduit une nouvelle dimension de l’existence. Une façon de vivre dans l’histoire qui la ouvre au “pour-toujours” de Dieu. Dans le terrain de nos relations une semence de gratuité est posée, qui les fera jaillir et fructifier en faveur des hommes nos frères. Joyeuses Pâques!

3 Commenti

  1. don ha detto:

    Condivido il rilievo di don Giorgio sulle omelie: è sempre un problema prepararsi, ma occorre organizzarsi per tempo, in modo da non arrivare all’ultimo minuto. Rifletto su ciò che dice Papa Francesco nell’esortazione apostolica Evangelii gaudium: “Un predicatore è un contemplativo della Parola e un contemplativo del popolo”

  2. Giuseppe ha detto:

    Credo che tu abbia centrato il nocciolo della questione. L’omelia, spesso tanto bistrattata, è un punto centrale della liturgia della messa perché è lo strumento che ha il prete per trasmettere la parola di Dio fino al cuore dei presenti. Dovrebbe essere, a mio avviso, una lezione di catechesi inquadrata nell’ottica della nostra realtà contemporanea, un modo per rendere la parola divina viva ed attuale, nonostante i nostri tempi siano molto differenti da quelli in cui il Cristo si è incarnato. So perfettamente quanto un’omelia prolissa, priva di contenuti e infarcita di luoghi comuni, o improvvisata e buttata lì come un fastidio di cui liberarsi in fretta, possa influire sull’attenzione, la voglia di partecipazione e il coinvolgimento dei fedeli.

  3. GIANNI ha detto:

    Beh, che dire?
    Mi pare scontato che molti preti, a partire dal vescovo, nelle loro omelie richiamino testi sacri, racconti biblici, o principi di dogmatica.
    Probabilmente, chi desidera qualcosa di nuovo, magari atto a stupire, ad innovare, sicuramente non andrà ad ascoltare Scola.
    Il suo metodo di elaborare l’omelia è appunto quello di richiamare, sia pur con uno stile tutto suo, a volte anche di difficile comprensione, cose abbastanza scontate.
    Talora c’è anche il rischio di annoiare.
    Io, sinceramente, sarà che anche in generale non sono molto portato ad ascoltare omelie, ma devo dire che ho letto saltando qua e là….
    per me era troppo noioso leggere tutto, parola per parola.
    Del resto, credo che anche molti che vanno a messa, magari durante l’omelia si perdano nei loro pensieri, invece che stare ad ascoltare, per cui semmai valorizzano la funzione rituale in quanto tale, a prescindere dalle parole del sacerdote.

Lascia un Commento

CAPTCHA
*